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Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


mercoledì 7 gennaio 2015

Battesimo del Signore



Battesimo del Signore – Mc 1,7-11

E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E subito, uscendo dall'acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».



Chi parla, in questo breve brano del vangelo di Marco, è Giovanni il Battista. Nei versetti che precedono Marco presenta Giovanni come un profeta fortemente legato alla concezione teologica ebraica, come il redivivo Elia perché come lui veste di peli di cammello con una cintura di pelle ai fianchi (1). Inoltre è presentato come un uomo puro, di quella purità rituale descritta nei libri del Deuteronomio e del Levitico che nulla ha a che vedere con il nostro concetto di purezza.

L’evangelista, per sottolineare questa purezza, specifica il cibo che usava Giovanni, locuste e miele selvatico, cibi sicuramente consentiti (2), oltre ogni ombra di dubbio, dalla legge ebraica(3); per questo Giovanni può battezzare, cioè purificare gli altri.

Il battesimo era un rito di immersione conosciuto in molte religioni antiche, oltre che dal giudaismo; l’immersione in acqua era il simbolo della purificazione rituale. Giovanni, pur ispirandosi a questi riti preesistenti, ne modifica gli scopi, mira ad una purificazione non più rituale ma morale e che rivesta, in un certo senso, l’aspetto di una iniziazione, di un ingresso del battezzando tra coloro che professano un’attesa attiva del Messia e costituiscono in anticipo la sua comunità.

Marco non ricorda la predicazione penitenziale di Giovanni (cfr. Mt 3,7-10 e Lc 3,7-14), ma si limita a riportare il suo annunzio messianico, di fronte al quale tutto il resto scompare. Il Battista parla di uno che viene “dopo” (in greco opisô) di lui; siccome l’espressione “andare dietro” oppure “essere dopo” caratterizza il discepolo (cfr. Mc 1,17.20; 8,34), è possibile che vi sia qui il ricordo di un periodo che Gesù ha trascorso come discepolo del Battista. Questi però lo designa come “più forte(in greco ischyroteros) di lui: abbiamo qui forse una punta polemica dei primi cristiani nei confronti dei discepoli di Giovanni, che assegnavano il primo posto al loro maestro.

Nei confronti di colui che viene il Battista assume un atteggiamento di grandissimo rispetto, ritenendosi addirittura indegno di sciogliere i legacci dei suoi sandali(4): questo gesto esprime l'umile servizio degli schiavi, considerato così degradante che il padrone non poteva esigerlo da schiavi ebrei.

Giovanni annuncia, “Io vi ho battezzato con acqua…“, cioè io vi aiuto a cancellare il passato, ma non basta che venga cancellato il passato, occorre una nuova forza per andare avanti nel presente: “…ma egli vi battezzerà in Spirito Santo”.

Forse non c’è bisogno di sottolinearlo, Spirito significa forza e provenendo da Dio è la forza di Dio, cioè l’amore di Dio. Il fatto che sia Santo non è una qualità, ma è la connotazione della sua attività: infatti quanti accolgono lo Spirito, questa forza di Dio, vengono separati (il verbo santificare, consacrare, significa separare) dalla sfera del male e attratti verso la sfera del bene.

Giovanni annuncia Gesù come colui che immerge in una forza che viene da Dio ed ha la capacità di allontanare l’uomo dal male.

Ed ecco che si presenta Gesù; c’è sempre abbastanza imbarazzo nei catechismi, nello spiegare perché Gesù è andato a farsi battezzare: il battesimo serve per il perdono dei peccati, allora anche Gesù aveva dei peccati? E se non li aveva perché è andato a farsi battezzare? Ha fatto finta? Ha fatto finta per darci l’esempio, ma è una spiegazione sciocca.

L’interpretazione odierna, che si basa molto sull’umanità di Gesù, prende lo spunto da un pensiero che era sorto nei primissimi anni del cristianesimo. Secondo quell’idea Gesù sentiva dentro di se la necessità di agire, ma non ne aveva ancora una coscienza chiara. Per questo, sentendo parlare di Giovanni, decide di seguirlo per qualche tempo, per vedere di far emergere e chiarire l’impellenza che sentiva. Per questo, ad un certo punto, chiede il battesimo e sarà per lui il momento cruciale della comprensione del suo destino perché riceverà lo Spirito di Dio.

“Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea…”; la formula “in quei giorni”, caratteristica di Marco che la usa qui per la prima volta, indica l’inizio di un compimento di una serie di eventi accaduti in passato; per Marco questo momento è il compimento delle promesse della antica alleanza. Gesù ha lo stesso nome di Giosuè (in ebraico non esiste differenza tra i due nomi. La differenza è stata introdotta dai traduttori per non creare confusione nel lettore). Giosuè è colui che ha condotto il popolo dalla schiavitù dentro la terra promessa e Gesù ha lo stesso nome di colui che ha realizzato questo esodo. Quindi per Marco la venuta di Gesù è il compimento dell’opera di Giosuè.

L’unica informazione su Gesù che Marco fornisce è la sua provienza dalla Galilea e non dalla Giudea, contrariamente a quanto ci si aspettava secondo la tradizione giudaica.

Oggi gli storici sono convinti che Gesù sia nato a Nazareth, anche se due evangelisti lo fanno nascere a Betlemme, forzando la realtà, poiché non era concepibile che il Messia nascesse dalla Galilea, regione disprezzata(5) e non dalla Giudea.

“…e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. il battesimo era un simbolo di morte: immergendosi nell’acqua si moriva a tutto quello che si era stati, per iniziare una vita nuova. Così per la tradizione ebraica lo schiavo a cui era stata data la libertà, o il pagano che voleva entrare nell’ambito della religione ebraica, si immergevano completamente in acqua per simboleggiare la morte al proprio passato.

Anche per Gesù il battesimo sarà un simbolo di morte, ma non ad un passato d’ingiustizia che Gesù non ha, ma al futuro. Gesù, con il battesimo, accetta anche la morte in futuro: infatti, secondo la tecnica letteraria degli evangelista, gli stessi termini adoperati nel battesimo, Marco li adopererà poi per descrivere la morte di Gesù.

E subito, uscendo dall'acqua… in realtà l’evangelista dice salendo dall’acqua. La traduzione in italiano non sarebbe stata corretta, ma avrebbe seguito il pensiero di Marco per il quale il battesimo è una discesa nella morte con conseguente risalita a nuova vita, ad una resurrezione.

Questa non è una concezione solo di Marco ma anche degli altri evangelisti che non alluderanno mai alla morte di Gesù senza associarla alla sua resurrezione; la cosa naturalmente non è percepibile ad una lettura un po’ frettolosa, ma ad una lettura attenta sì.

“…vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba.” E’ importante quel “E subito”. Mentre Gesù sale dall’acqua, immediatamente dal cielo c’è lo spirito che si fonde con lui.

In alcune traduzioni troverete: i cieli aprirsi. È sbagliato. Il verbo adoperato dall’evangelista è ‘squarciare’ o ‘lacerare’, ma non aprire. L’evangelista adopera questo verbo anche per il riferimento al passo del profeta Isaia 63,19: il profeta chiede: “Se tu squarciassi i cieli e discendessi…”. Esiste una sostanziale differenza tra il verbo aprire e il verbo squarciare: una cosa che si può aprire poi si può chiudere, una cosa che si è lacerata, o si è squarciata, non si può più ricomporre. Era credenza comune, ai tempi di Gesù, che il Signore, indignato per i peccati del popolo, avesse sigillato la sua dimora. Non c’era più comunicazione fra Dio e gli uomini.

Squarciare i cieli significa che da questo momento, con Gesù e attraverso Gesù, la comunicazione di Dio con gli uomini sarà totale e continuativa. Certo, bisognerà sintonizzarsi su questa lunghezza d’onda per comprendere la voce del Signore.

Lo stesso verbo squarciare lo troviamo nella morte di Gesù, (Mc 15,38) “il velo del tempio si squarciò in due dall’alto in basso”. Nel tempio c’era una porta con un velo enorme lungo circa 25 metri, che copriva una stanza vuota dove non c’era niente, dove entrava il sommo sacerdote, una volta l’anno, per pronunziare il nome impronunciabile, il nome di Dio.

In questa stanza si credeva che c’era la gloria di Dio, la presenza di Dio. Immediatamente, appena Gesù muore, il velo del tempio si squarcia: non è più possibile rammendarlo, è rotto. Il Dio che era nascosto dal velo del tempio, si è manifestato ormai definitivamente in Gesù, ma in un Gesù particolare, nel Gesù inchiodato sul patibolo dei delinquenti, nel crocifisso.

La croce è la suprema manifestazione di Dio, di un Dio che stiamo scoprendo non buono, ma esclusivamente buono. È un Dio amore, che desidera soltanto comunicarsi esclusivamente attraverso l’amore e non ha altra maniera per comunicarsi agli uomini.

Un Dio esclusivamente buono che desidera comunicare con l’uomo,  non assorbire l’uomo (il Dio della religione è quello che assorbe, che diminuisce l’uomo perché si fa servire), ma per comunicargli la propria energia, la propria capacità di vita.

Se l’uomo, per le sue ragioni esistenziali, si sente indegno, Dio non si ritrae, ma gli comunica abbastanza capacità di vita in modo che questa presunta indegnità dell’uomo venga eliminata.

Il cielo si squarcia, la comunicazione tra Dio e gli uomini è continua e lo Spirito (l’articolo determinativo in questo caso indica la totalità, cioè la totalità di Dio, la totalità della vita di Dio, della forza di Dio) scende su Gesù.

Al momento della morte di Gesù l’evangelista scriverà: Gesù dette un forte grido e spirò. Il verbo spirare ha la stessa radice di spirito (in greco “pneuma”). Gesù, morendo, effonde sugli uomini lo spirito che ha ricevuto nel battesimo e su quanti lo accolgono come modello di comportamento.

Il verbo spirare, prima dei vangeli, non indicava mai la morte di una persona.

Lo Spirito disceso su Gesù come colomba(6), significa che la dimora perpetua, perenne, dello Spirito, della forza di Dio, risiede in Gesù.

Ma non c’è soltanto questo significato. Nel commento rabbinico al libro della Genesi, della creazione, si dice che lo Spirito aleggiava sulle acque, aleggiava come una colomba. Quindi colui che scende su Gesù è lo Spirito creatore che in Gesù porta a compimento la creazione dell’uomo, portandola alla condizione divina. Ecco qual era il vero progetto di Dio sull’umanità: non un uomo che terminasse la sua esistenza nella morte, ma un uomo che, durante l’esistenza terrena, raggiungesse la condizione divina e avendo la condizione divina, potesse superare il fatto della morte.

E venne una voce dal cielo:…”  è la voce di Dio e indica un’esperienza intima, interiore, da parte di Gesù. Questo termine “voce” (in greco “phoné”), la troveremo per due volte nella morte di Gesù: prima il grido del gallo, poi il grido di Gesù.

Il gallo era considerato un animale demoniaco che cantava ogni volta che il satana aveva una vittoria, aveva ottenuto la punizione di una persona: quando Pietro, per la terza volta, ha rinnegato Gesù, il gallo ha cantato. Il grido di Gesù è più forte del tradimento di Pietro e al grido di vittoria delle tenebre, del gallo, corrisponde il grido di vittoria di Gesù. Quello di Gesù, sulla croce, non è lo strazio di un agonizzante, ma un grido di vittoria che annuncia l’effusione dello Spirito di cui Gesù è stato portatore durante la sua esistenza, e la sconfitta della morte con il dono di una vita indistruttibile. E questa voce dice: “…«Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento»”.

Così come in Matteo, anche nel vangelo secondo Marco, le parole dette dalla "voce dal cielo" sono le stesse; nel vangelo secondo Luca invece il testo originale sembra essere stato «Tu sei mio Figlio, l’amato, oggi ti ho generato», come riporta la Bibbia di Gerusalemme nelle traduzioni non italiane. Tale testo è stato poi modificato rendendolo conforme agli altri vangeli. Questa modifica è dimostrata da diversi documenti: in un manoscritto greco (Codex Bezae Cantabrigensis7) e in alcuni manoscritti latini, le parole della voce celeste sono «Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato».

Il testo in questa forma era inoltre molto diffuso presso i Padri della Chiesa tra il II e il III secolo, cosa che costituisce una testimonianza importante in quanto la maggior parte dei manoscritti del Nuovo Testamento che sono giunti fino a noi è posteriore a queste testimonianze; ebbene, in quasi tutti i casi, in testimonianze che vengono dalla Spagna alla Palestina e dalla Gallia al Nordafrica, è la forma «oggi ti ho generato» ad essere attestata. Depone inoltre a favore dell'autenticità di questa versione il fatto che l'altra parte della frase è identica a quella riportata in Marco e la convinzione che coloro che copiavano tendevano ad uniformare i testi, invece che a introdurvi discostamenti.

La ragione della modifica del testo da «Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato», la versione originale di Luca, a «Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto» sarebbero da ricondurre a un tentativo di rimuovere ogni possibile appiglio agli Adozionisti, una corrente delle origini del cristianesimo per la quale Gesù non era nato Figlio del Padre ma era stato da lui adottato all'atto del battesimo nel Giordano; rimuovendo il riferimento alla «generazione» dal vangelo di Luca, si toglieva forza alla posizione degli adozionisti(8).
È anche interessante notare un altro fatto. Epifanio di Salamina, un cristiano del IV secolo che compose un'opera contro le eresie, narra che nel Vangelo degli Ebioniti (un vangelo utilizzato dalla corrente cristiana degli Ebioniti(9) nel II secolo, e ora andato perduto) vi era scritto: “E mentre usciva dall'acqua, i cieli furono aperti, ed egli vide lo Spirito Santo discendere nella forma di una colomba ed entrare in lui. E una voce dal cielo disse «Tu sei il mio figlio prediletto; in te mi sono compiaciuto»; e, continuando, «Oggi ti ho generato»(10).

Come si vede, gli Ebioniti tentarono di risolvere le contraddizioni tra le varie versioni facendole confluire in un'unica versione che diceva tutte e due le cose. Non diversamente da molti esegeti moderni o presunti tali!

Nella forma riportata dalla CEI, il grido è la citazione di un salmo, il salmo 2,7 dove Dio si rivolge al re che lui stesso ha stabilito.

La discesa dello Spirito significa che Gesù è stato consacrato e costituito da Dio come il Re, Messia, l’atteso, e Dio stesso lo sostiene contro i suoi nemici. Nel salmo si diceva che Dio dava a questo re tutta la sua protezione contro i nemici. Il Padre, con questa voce dal cielo, dichiara un amore senza limiti per Gesù, accomunando ben tre termini. Questa esplosione d’amore divino è la risposta all’impegno di Gesù e l’approvazione piena della linea che Gesù ha deciso di seguire. L’amore del Padre per Gesù viene espresso nella comunicazione del suo Spirito, dice “Tu sei mio figlio, l’amato”.

La definizione di “Figlio”, come si è visto più volte nel contesto ebraico, non significa soltanto chi è nato da qualcuno, ma soprattutto colui che gli assomiglia nel comportamento. Questo ci permette uno sguardo sul volto di Dio: se Gesù viene chiamato figlio è perché assomiglia al Padre, questo ci fa capire chi è il Padre. La dedizione di Gesù agli uomini, anche a costo di incontrare la morte, diventa la rivelazione dell’amore di Dio per l’umanità. L’espressione “tu sei mio figlio” non indica tanto chi è Gesù, quanto chi è Dio. 

Note: 1. Vedere 2Re 1,8 e seguenti – 2. Vedere Lv 11, 22. – 3. Da notare che le locuste erano consentite, ma la lepre no. Il fatto che Marco indichi nelle locuste il cibo normalmente usato da Giovanni è una forzatura letteraria che gli consente di rimarcare la stretta osservanza della Legge da parte del personaggio. – 4. Esiste un’ulteriore interpretazione che fa riferimento alla legge del levirato. – 5. La Galilea è lontana dal centro del potere politico e religioso, è regione di frontiera con una popolazione che è una mescolanza di giudei e di pagani, e quindi di impuri, di peccatori, di reietti. Il territorio è arido e brullo; i suoi abitanti sono rozzi e duri. I galilei si distinguono per essere tra i più temerari e feroci affiliati alla setta degli zeloti, i fanatici fautori della lotta armata contro l’invasore romano, e Nazareth è proprio uno dei loro covi. I giudei non nascondono il loro disgusto per i rozzi galilei e lo manifestano apertamente con una ricca serie di proverbi, racconti e detti popolari. (cfr Talmud, ‘Erubim B. 53a, 53b.). – 6. Naturalmente queste sono delle immagini metaforiche che l’evangelista adopera; infatti l’attaccamento della colomba al suo nido originale era proverbiale; c’era un proverbio ebraico che diceva: “come amor di colomba al suo nido”, per indicare proprio questo attaccamento. – 7. Il Codex Bezae Cantabrigensis è un importante codice del Nuovo Testamento datato 380 - 420 (secondo altri è più tardo, V-VI secolo). È scritto in latino e greco. Contiene in maniera frammentaria solo i Vangeli, gli Atti degli Apostoli, la Terza lettera di Giovanni. – 8. Vedi anche: Bart Ehrman, Gesù non l'ha mai detto: millecinquecento anni di errori e manipolazioni nella traduzione dei vangeli, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2007. pp. 183-185. – 9. Ebioniti è il nome con cui alcuni scrittori cristiani indicano un gruppo di fedeli, di orientamento giudaizzante, dapprima considerati scismatici e quindi eretici da diversi Padri della Chiesa; rifiutavano la predicazione e l'ispirazione divina di Paolo. – 10. Vangelo degli Ebioniti, citato nel testo: Epifanio di Salamina, Contro gli eretici, 30/13,7-8.

lunedì 5 gennaio 2015

Epifania del Signore



Epifania del Signore - Mt 2,1-12
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo
che sarà il pastore del mio popolo, Israele
».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.

Erode, così come è descritto dagli storici dell’epoca ed in parte anche dai vangeli, sembra la caricatura di un qualunque uomo di potere, ma dal punto di vista storico è stato un tiranno sanguinario ed astuto. Erode non sarebbe potuto diventare re dei giudei, perché in lui non scorreva sangue ebraico: era un idumeo1; la madre era un’araba e i nonni forse degli schiavi. Non è chiaro, (gli storici non l’hanno ancora scoperto), in che modo Erode giunse al potere. La Bibbia dice che chi non ha sangue giudeo non può essere re degli israeliti, per cui Erode, nella sua scalata al potere, eliminò quelli che conoscevano la sua origine, in particolare certi farisei, e incaricò il suo storiografo di corte di costruirgli la fama di unto del Signore.
Uomo abile ed intelligente, capì subito che il popolo andava tenuto calmo con quella che da sempre era la droga usata dai potenti: lo sport. Infatti finanziò quelle che erano le olimpiadi della sua epoca, ma a questo aggiunse la promessa, mantenuta, di diecimila posti di lavoro per la ricostruzione del tempio.
“Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme…”. Qui abbiamo dei personaggi che hanno talmente scandalizzato le prime comunità cristiane che sono stati completamente snaturati nel loro significato: i magi. La parola magi sia in greco che in italiano non esiste; nel testo greco di questo brano è riportata la parola magoi che ha una sola traduzione: maghi.
Sono in realtà dei personaggi talmente scabrosi, talmente scandalosi che la tradizione cristiana ne ha snaturato il nome: da maghi li ha fatti diventare degli innocui magi, affinché non si sapesse bene cosa e chi fossero.
Per comprendere il perché di questa presenza dobbiamo rifarci alla linea teologica di Matteo. Matteo racconta un Gesù che si presenta ed agisce al di fuori della religione ufficiale di allora. Gesù dimostrerà che tutto il castello che si chiamava religione ebraica e che veniva fatto credere alla gente come espressione della volontà di Dio, non solo non era la volontà di Dio, ma gli era contraria ed era falsa.
Gesù si è trovato bene con i peccatori, i miscredenti, la gentaccia, ma si è sempre trovato in pericolo con le persone pie, le persone devote. Matteo con questo episodio intende dire che, mentre nella religione ebraica c’è ostilità nei confronti del Dio di Gesù, quelli che vivono al di fuori della religione (e questa sarà una costante in tutti e quattro i vangeli), sono i primi a riconoscerlo, ad accettarlo e ad accoglierlo.
Nel vangelo di Matteo l’unico che riconoscerà in Gesù il Figlio di Dio sarà un centurione romano, un pagano. Gli unici che Gesù loderà per la loro fede saranno dei pagani. Con queste premesse si comincia a comprendere il senso della presenza di questi maghi.
Nella lingua greca del tempo con il termine magoi = maghi2 si indicavano sì gli indovini e gli astronomi, ma al tempo in cui l’Evangelista scrive, con questa parola si indicavano anche gli imbroglioni, gli ingannatori, i corruttori. Potremo quindi dire che i maghi erano i ciarlatani dell’epoca.
Nella Bibbia era proibito avere rapporti con questa categoria di persone e nell’elenco di peccati del primo catechismo della Chiesa (la “didachè”), quello di esercitare la “professione” di mago era preceduto da quello di rubare e seguito da quello di abortire: erano peccati quindi considerati particolarmente gravi.
Nella Torah era prevista la pena di morte per chi osava accettare l’insegnamento di questi maghi ed inoltre, in questo caso, Matteo scrive che vengono dall’oriente, cioè sono pagani.
Diceva un detto ebraico: uccidi il migliore dei pagani e avrai ucciso il più schifoso dei serpenti. Per i pagani non c’era speranza di resurrezione, non c’era speranza di salvezza.
“…e dicevano: «Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo»”. Facciamo un attimo mente locale: queste persone, che esercitano un’attività maledetta dalla Bibbia, un’attività riprovevole, affermano che c’è un nuovo re dei Giudei. C’è un neonato re dei Giudei perché  Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”.
Quando si fa il presepio si mette generalmente una stella cometa: la cometa è tratta da una tradizione del millequattrocento3. In realtà i maghi parlano di una normale stella e occorre rifarsi ad una credenza dell’epoca che affermava che in occasione della nascita dei grandi personaggi sorgeva una stella che poi sarebbe scomparsa alla sua morte3.
Matteo nello specifico si rifà, lui che è un grande teologo, ad una profezia dell’AT dove, indicando il futuro capo del popolo, si diceva: “Io lo vedo, ma non ora; io lo contemplo, ma non in vicinanza; una stella sorge in Giacobbe, uno scettro si leva in Israele” (cfr. Nm 24,17).
L’Evangelista in pratica dice: quel segno che era dato per Israele, Israele non l’aveva compreso, ma l’avevano compreso delle persone pagane.
La lezione di Matteo è importante: sono i pagani quelli che faranno conoscere le profonde verità di Dio ai credenti e questo messaggio è presente in tutto il vangelo: saranno sempre i pagani, in questo vangelo, quelli che catechizzeranno gli israeliti.
All'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme”. Che Erode si turbi o meglio, si spaventi4 lo si capisce benissimo, lui è il re dei giudei e gli viene detto: dov’è il nuovo re dei giudei? Erode era ossessionato dal potere che aveva conquistato in una maniera oscura e illecita, era sospettoso persino dei propri familiari, ne assassinò una dozzina e mise a morte anche i propri figli, uno addirittura cinque giorni prima di morire5.
Erode quindi si spaventò e “con lui tutta Gerusalemme”. Questa seconda parte della frase necessita un spiegazione: dicevano gli ebrei che Israele era il centro del mondo, al centro di Israele c’era Gerusalemme ed al centro di Gerusalemme c’era il Tempio del Signore. Quindi Gerusalemme non era una città come le altre, era la città santa, la città sacra che Dio aveva scelto come sua dimora: nel tempio c’era la gloria di Dio, la presenza di Dio. Quindi Gerusalemme rappresenta l’istituzione religiosa giudaica.
Il tempio di Gerusalemme era una delle meraviglie del mondo, lo spazio sacro più grande dell’umanità, ed era di uno splendore incredibile. Gerusalemme era la città abitata dai sommi sacerdoti, da tutte le persone pie e devote, ma all’annunzio che è nato Gesù si spaventa, si sconvolge: nel vangelo la stella dei maghi non brillerà mai sopra Gerusalemme; Gerusalemme è sotto una cappa mortale e infatti Gesù resuscitato non apparirà mai in Gerusalemme; apparirà invece fuori Gerusalemme, in Galilea. Gerusalemme era la città assassina e maledetta che uccide i profeti e li uccide in nome di Dio.
Gerusalemme deve tutto il suo potere, il suo prestigio all’esistenza del tempio e lo basa sulla religione ufficiale, su quella che i sacerdoti spacciavano essere il vero rapporto con Dio.
Matteo non sta facendo altro che anticipare quello che sarà il contenuto di tutto il vangelo. Gerusalemme, anziché accogliere il suo re, all’idea che sia nato si spaventa perché tra le cose che farà Gesù ci sarà l’eliminazione del culto. Quando Gesù entra nel tempio e, fatta una frusta di cordicelle, incomincia a cacciare i mercanti, Gesù caccia quelli che vendono, ma anche quelli che comprano. Quello che Gesù non tollera è il culto così come veniva realizzato nel tempio, perché veniva presentato un Dio sanguisuga che chiedeva continuamente doni alle persone, doni che naturalmente non andavano a Dio ma andavano ai sacerdoti.
Ecco allora che tutta Gerusalemme è sconvolta, è allarmata, perché se questa nuova mentalità  va avanti, per loro è la fine.
Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo; due volte nel Vangelo di Matteo c’è questa espressione ed è sempre in una situazione rischiosa per Gesù. Qui Erode riunisce tutti i capi dei sacerdoti per conoscere il luogo dove è nato Gesù, per poi eliminarlo. Questa espressione “tutti i capi dei sacerdoti” la ritroviamo al capitolo 27, quando si riuniscono per decidere di eliminare Gesù, per crocifiggerlo.
“Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo
che sarà il pastore del mio popolo, Israele
»”.
Può sembrare strano: qui ci sono i teologi, gli scribi, i sommi sacerdoti, i sapienti, i conoscitori della scrittura, ma questa non incide nella loro esistenza. La conoscenza della scrittura non è garanzia della conoscenza del Signore. Si può studiare, si può stare tutto il giorno con il naso attaccato alla Bibbia, ma se non c’è il bene dell’uomo come valore massimo della propria esistenza, la Bibbia non si capisce: infatti non muoveranno un dito per andare ad accogliere il loro re.
Nella risposta dei teologi ufficiali, cioè degli scribi, Matteo mette insieme due testi, secondo la tecnica letteraria dell’epoca. Uno è la profezia di Michea, al cap. 5. In Michea si leggeva: E tu Betlemme di Efrata, così piccola per essere tra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore di Israele”. L’Evangelista cambia queste due ultime parole con un testo tratto dalla secondo libro di Samuele, cap. 5 che dice: “.. il Signore ti ha detto, tu pascerai Israele, mio popolo” 6.
C’era una tremenda profezia di Ezechiele (cfr. Ez 34) che diceva, voi siete i pastori del popolo, ma voi anziché curarvi del gregge lo tosate e lo sacrificate per il vostro interesse e, era il Signore che parlava, io vi eliminerò tutti quanti. Farò sorgere un pastore, un mio rappresentante che eliminerà voi, falsi pastori.
Quando sanno che nasce il Pastore, i sommi sacerdoti capiscono che per loro è finita. I sommi sacerdoti sono i falsi pastori che il vero pastore eliminerà.
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo».
Questo dal punto di vista storico non regge! Con tutti gli informatori, gli sgherri, le spie che Erode aveva, sapendo che Betlemme era un borgo di poche case, distante 8 km da Gerusalemme e quindi neanche tanto lontana, possibile che avesse bisogno di questi pagani, di questi stranieri? Erode è stata una persona di grande furbizia e di grande astuzia e non per niente è riuscito a governare per cinquant’anni. E’ chiaramente una costruzione letteraria per dare il tempo tecnico necessario all’incontro che segue.
Udito il re, essi partirono”, ricordate, quando leggete il vangelo lo dovete tenere presente, ogni volta che l’Evangelista usa l’espressione “ecco”, significa che c’è una sorpresa, “Ed ecco la stella…” . Dov’era finita la stella? I maghi avevano seguito la stella, ma sopra Gerusalemme la stella non aveva brillato.
“Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino“. Qui la stella si comporta come il Dio dell’AT che guidava il suo popolo.
Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Guardate le due reazioni contrapposte: i giudei a Gerusalemme all’annunzio della nascita del re si spaventano, sono terrorizzati; i pagani, i miscredenti, quelli ritenuti i maledetti da Dio, vedendo i segni di Dio provano una grandissima gioia. Sono quindi i pagani, quelli che provano un sentimento di pienezza come quello di una immensa allegria.
“Entrati nella casa...”: attenzione, nel presepio mettiamo Gesù in una grotta o in una stalla; nei vangeli, il testo lo dice chiaramente, Gesù nasce in una casa. Continuate a mettere pure l’asino ed il bue in questa stalla o in questa grotta, ma in questa casa non c’era né l’asino, né il bue: sono le tradizioni del passato che hanno romanticizzato questo episodio snaturandolo e facendo smarrire il significato originario7.
Gesù perciò nasce e dimora in una casa, naturalmente la casa palestinese di allora, che non assomiglia certo alle nostre case.
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. il padre, Giuseppe, è stato eliminato dell’Evangelista perché nella tradizione biblica il re veniva sempre presentato solo con la regina madre.
Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra.”. Questo verbo offrire è un verbo tecnico: a quel tempo c’erano delle precise regole di scrittura, avevano determinati verbi, determinati nomi che si adoperavano soltanto per alcune categorie o per esprimere alcune verità. Quando erano presenti i pagani non si usava mai il verbo offrire, perché il verbo offrire è un verbo esclusivo del popolo giudaico: invece qui l’Evangelista adopera il verbo offrire anche per questi maghi, per questi pagani.
Questa è la prima indicazione. “.. gli offrirono in dono oro, incenso e mirra”. Sono tre doni di una importanza straordinaria: in questo brano Matteo anticipa e riassume tutto il messaggio del Vangelo.
L’oro è simbolo di regalità ed offrendolo a Gesù, che insieme alla madre è stato presentato come si rappresentava il re, sta a significare che Gesù non è solo re dei giudei ma anche dei pagani. Quella che era una prerogativa esclusiva del popolo di Israele, quella di essere il regno di Dio, si estende, con l’offerta dell’oro da parte dei pagani a Gesù, anche a tutta l’umanità.
Vi sarà conflitto tra Gesù ed il suo popolo e tra Gesù ed i suoi discepoli, perché mentre Gesù è venuto ad annunziare il regno di Dio, loro pensano invece al regno di Israele.
Al posto del regno di Israele, al posto della patria, Gesù annunzierà il regno di Dio: non c’è più una nazione con i suoi confini, non c’è più il sacro suolo della patria, espressione ipocrita che nasconde soltanto gli egoismi di chi non vuole spartire con gli altri il proprio benessere, ma c’è il regno di Dio e non esistono più confini.
L’altra offerta è quella dell’incenso. Se guardiamo le cose dal punto di vista storico possiamo pensare che l’oro poteva far sempre comodo, ma a Gesù, a Maria e Giuseppe gli vanno ad offrire l’incenso! L’incenso era l’elemento specifico del servizio sacerdotale: era uno degli elementi adoperati nel rituale del tempio, per i sacrifici di ringraziamento, per le richieste di protezione ed era di uso esclusivo dei sacerdoti. Allora qui si realizza quello che avevamo detto prima: il privilegio di essere il popolo sacerdotale, non viene più limitato ad una singola nazione ma viene esteso anche a tutta l’umanità.
La cosa è clamorosa perché si tratta di pagani, di persone che venerano altre divinità, di persone che vivono al di fuori della legge: la possibilità di essere popolo sacerdotale, (sacerdote significa avere la possibilità di comunicare direttamente con Dio), viene estesa anche al mondo pagano. Vedete che qui l’Evangelista non fa altro che anticipare quella che poi sarà la predicazione di Gesù e delle prime comunità cristiane.
Infine la mirra: anche qui lo stesso discorso. Si capisce l’oro che può far comodo, l’incenso che già non si capisce, ma la mirra, questo unguento, questo profumo! Perché proprio la mirra e non un altro tipo di profumo? Nell’AT e specialmente nel Cantico dei Cantici la mirra è il profumo con il quale la sposa si profuma per il suo re. E’ il profumo della sposa, che lei sparge sul suo corpo e sul suo letto, per il suo sposo. Il rapporto tra Dio ed il suo popolo, (specie nelle parole dei profeti e Osea tra questi è stato tra i primi), era immaginato come quello tra uno sposo e la sua sposa. Dio era lo sposo ed il popolo di Israele era la sposa. Ebbene anche questa prerogativa esclusiva del popolo di Israele è estesa ai pagani: non c’è più un popolo sposa di Dio – sposa significa in comunicazione intima, un rapporto intimo – ma questo viene esteso a tutta l’umanità.
Quindi le tre caratteristiche che erano ritenute esclusive di Israele, quelle di avere Dio per re, quella di essere un popolo sacerdotale e sposa di Dio, vengono estese pure ai pagani. Vedete perciò che questo episodio dei maghi, al di là della aneddottica e delle figurine del presepio, si presenta con un grande valore, un grande significato teologico e dimostra quello che sarà il motivo conduttore dell’azione di Gesù, il Dio-con-noi.
“Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.”
L’autore del vangelo, (più avanti si smaschererà e parlerà di se stesso come di uno scriba), scrive per persone che sono del mondo culturale giudaico, e adopera anche delle sfumature che a noi non sembrano tanto importanti.
Guardate ad esempio questa espressione: “…per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”:  per chi conosce la storia di Israele si accende una luce. Il termine bet in ebraico significa casa, Bet-lehem significa casa del pane. Uno dei nomi di Dio in ebraico è El o Eli ed il primo santuario che è stato costruito in Israele è stato chiamato Bet-El che perciò significa la casa di Dio. Vi furono poi delle deviazioni dal culto originario: all’interno di questo primo santuario vi posero un vitello d’oro; dopo questo fatto il nome di questo santuario fu trasformato in Bet-Aven che significa casa del peccato o casa funesta. Nei libri dei profeti questa espressione “per un’altra strada” (che è rarissima nell’AT) viene usata per indicare l’abbandono del santuario di Bet-El che da casa di Dio è diventata casa del peccato. E’ una denuncia che l’Evangelista fa nei confronti di Gerusalemme: Gerusalemme non è più la casa del Signore, ma la casa del peccato, la casa funesta perché invece di accogliere il dono di Dio per l’umanità si è spaventata e cercherà in tutte le maniere di ucciderlo.

Note: 1. L’Idumea era un territorio a sud di Israele, corrispondente all’odierna Giordania del sud. – 2. Mi sembra inutile dirlo, comunque io non parlo di Re Magi in quanto la regalità dei "magi" non è attestata nelle fonti canoniche cristiane, né dai Padri della Chiesa, tuttavia i "magi" divengono “Re magi” nella tradizione liturgica cattolica in quanto la festa della Epifania è collegata al Salmo 71(72),10: Il re di Tarsis e delle isole porteranno offerte, i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi. A lui tutti i re si prostreranno, lo serviranno tutte le nazioni.” – 3. L'ipotesi che la stella di Betlemme fosse una cometa, o qualcosa di simile, risale a Origene, teologo e filosofo greco del II secolo, che non si basa su tradizioni precedenti, ma suppone che si sia trattato di una nuova "stella", cioè di un evento eccezionale, probabilmente allo scopo di non deviare dal rifiuto della pratica astrologica, consueto fra i cristiani (cfr. Contra Celsum, I, 58-59 citato nella voce “Stella di Betlemme”, del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede). Origene cita il perduto trattato "Sulle comete", scritto dal precettore di Nerone, Cheremone, secondo il quale era prassi accettata che l'apparizione di comete o nuovi astri segnalasse la nascita di importanti personaggi ed era quindi plausibile che i Magi si fossero messi in viaggio al suo apparire. L'identificazione della "stella" con una cometa diventò opinione comune solo nel XV secolo, un secolo dopo l'opera di Giotto, l'Adorazione dei Magi nella Cappella degli Scrovegni a Padova che la ritrae sopra la stalla. – 4. La traduzione con il verbo turbare appare non proprio esatta; meglio spaventare come la traduzione CEI del 1974. – 5. Erode era oramai molto grave ed il figlio già indossava gli abiti regali, pensando: tra poco mio padre muore e quindi regnerò io. Erode, sentendo che il figlio si atteggiava già a re, cinque giorni prima della sua morte lo fece strangolare. Questo, tanto per dare un’idea di chi era questo despota. – 6. Matteo fa questa operazione perché Gesù non sarà mai il dominatore di Israele, sarà il buon pastore. – 7. Lo si vede meglio nel vangelo di Luca: l’idea di questa coppia di sprovveduti che arriva a Betlemme proprio nel momento in cui Maria deve partorire il figlio; che nessuno vuole accogliere, che si rifugiano in un posto, che è inverno e fa freddo, ma per fortuna che c’erano un asino ed un bue che facevano un po’ da termosifone, tutto questo non c’è nei vangeli, sono fantasiose costruzioni medioevali che sono giunte fino a noi che, per inveterata abitudine, non conosciamo i vangeli, anzi non li leggiamo mai e ci fidiamo delle tradizioni.