Ascensione del Signore – Lc
24,46-53
[Poi disse: «Sono queste le parole
che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le
cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora
aprì loro la mente per comprendere le Scritture]1 e disse loro:
«Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e
nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei
peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io
mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città,
finché non siate rivestiti di potenza dall'alto».
Poi li condusse fuori verso Betània
e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e
veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi
tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando
Dio.
La risurrezione(2) di Gesù è presentata da Luca, sulla
falsariga sia di Marco (Mc 16,1-8) che
di Matteo (Mt 28,1-8), mediante il
racconto del rinvenimento del sepolcro vuoto (Lc 24,1-11). Luca prosegue poi descrivendo l’incontro di Gesù con i
discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35).
Infine Luca racconta, in parallelo con Matteo (Mt 28,16-20), un’apparizione di Gesù agli undici (Lc 24,36-48), che è l’oggetto del brano
proposto dal liturgista per questa domenica; infine Luca descrive l’ascensione
di Gesù (Lc 24,50-53).
“Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi
quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di
me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi”.
Come già si erano espressi i due angeli apparsi al sepolcro, anche Gesù si richiama a quanto aveva detto ai discepoli durante la sua vita terrena circa l’adempimento delle antiche Scritture (Legge, Profeti e Salmi).
Come già si erano espressi i due angeli apparsi al sepolcro, anche Gesù si richiama a quanto aveva detto ai discepoli durante la sua vita terrena circa l’adempimento delle antiche Scritture (Legge, Profeti e Salmi).
“Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture
e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il
terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione
e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete
testimoni”.
Come già aveva fatto con i discepoli di Emmaus, egli apre la loro mente
alla comprensione delle Scritture. A tale scopo si serve anche questa volta del
verbo “dovere”: ciò che è avvenuto non è effetto di casualità, ma “doveva”
capitare perché le Scritture lo avevano preannunziato. Con queste parole
l’evangelista presenta Gesù come il vero e definitivo interprete delle
Scritture, in quanto non solo esse si sono adempiute nella sua persona e nei
fatti che la riguardavano, ma anche perché ne precisa il senso.
Naturalmente il lettore ha tutto il diritto di chiedersi come mai, se
tutte queste cose Gesù le aveva dette già durante il periodo del suo ministero,
i discepoli non ne abbiano fatto tesoro, anzi sembrino ignorarle completamente.
La risposta non può essere che questa: il collegamento esplicito tra Gesù,
ormai definito il Cristo, e le Scritture di Israele è opera posteriore,
effettuata quindi molto tempo dopo la morte dalla prima comunità cristiana per
la quale l’evangelista scrive. La comunità, dopo la risurrezione di Gesù,
comincia a vedere nella sua morte drammatica il degno coronamento delle attese
di Israele e ne mette retrospettivamente l’annunzio sulla bocca di Gesù.
Gesù passa quindi ad elencare gli eventi, predetti dalle Scritture, che
si sono attuati nella sua persona. Tra di essi egli enumera non solo la
passione e la risurrezione dai morti il terzo giorno, ma anche la predicazione
a tutte le genti, cominciando da Gerusalemme, in questo distinguendosi da
quanto affermato da Marco circa quaranta anni prima e ripreso da Matteo.
L’annunzio dei discepoli avrà come punto di partenza la città santa, dove la
salvezza si è compiuta, e di lì dovrà raggiungere tutta l’umanità. Questa
predicazione dovrà avvenire nel suo nome e avrà come contenuto il reciproco “perdono
dei peccati”, come conseguenza della “conversione”: quel perdono che egli ha
espresso sulla croce (cfr. Lc 23,34),
deve essere proposto ormai a tutti, e reciprocamente, come conseguenza del ritorno a Dio (cfr. Gv 20,23).
Nessun testo biblico viene portato per avvalorare questa dichiarazione
del Risorto. Le Scritture di Israele non parlavano esplicitamente della morte e
della risurrezione del Messia; esse però parlavano del rinnovamento finale del
popolo di Dio, che a volte era espresso in termini di risurrezione. Inoltre si
era sviluppata al tempo di Gesù l’attesa secondo cui alla fine dei tempi, nel
momento in cui popolo sarebbe risorto definitivamente a nuova vita, anche i
giusti sarebbero risorti per partecipare pienamente alla felicità degli eletti.
Una volta affermata la risurrezione di Gesù, ormai considerato come il Messia
promesso dalle Scritture, era spontaneo pensare che anche questo dato fosse
presente in esse, rileggendo in senso cristologico i testi in cui non era
esplicitamente detto.
Gesù viene così interpretato come colui per mezzo del quale e nel quale
ha inizio il regno di Dio annunziato dai profeti. Chi aderisce a lui mediante
la fede entra già in possesso di questa realtà, alla quale sarà definitivamente
aggregato mediante la sua risurrezione corporea alla fine dei tempi.
Gesù conclude che “di tutte queste cose”, cioè della realizzazione in lui
di quanto le Scritture avevano predetto, i discepoli sono “testimoni”: secondo
Luca, Gesù durante la sua vita terrena aveva dato numerose attestazioni del
carattere universalistico della salvezza, ma egli stesso aveva riservato la sua
opera ai giudei. Solo ora, dopo la sua risurrezione, affida ai suo discepoli il
compito di “testimoni”: essi saranno gli strumenti attraverso i quali la
realizzazione del progetto divino, attuato da Cristo, sarà portato a compimento
mediante l’annunzio a tutte le genti.
La risurrezione di Gesù non viene dunque vista come il grande miracolo in
forza del quale si dimostra in modo incontrovertibile la divinità di Gesù. Al
contrario essa rappresenta l’inizio di una trasformazione di tutto il mondo,
nel quale Dio fa il suo ingresso portando quei valori di giustizia e di amore
che rappresentano l’essenza del suo regno. La nuova realtà di Gesù ha dunque un
valore esemplare per tutti coloro che credono in lui. Essi sono chiamati a
diventare come lui e a formare insieme agli altri credenti una società
alternativa, nella quale il regno di Dio viene significato e anticipato
all’interno di un mondo che obbedisce ancora ai vecchi canoni della violenza e
dell’egoismo. Per questo i discepoli devono annunziare il perdono dei peccati e
la conversione non solo a Israele, ma a tutte le genti. È significativo che
anche questo punto sia presentato non semplicemente come un comando di Gesù, ma
come l’adempimento del piano di Dio preannunziato nelle Scritture. Ciò è
importante per Luca in vista della sua opera successiva, gli Atti degli
apostoli, in cui mostrerà la continuità tra le nuove comunità cristiane, sorte nel
mondo greco e senza più la pratica della legge, e l’antico Israele
rappresentato dalla comunità di Gerusalemme.
“Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha
promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza
dall'alto»”.
Questo compito però,
sebbene già annunziato dalle Scritture, richiede capacità che solo Dio può
conferire. Perciò il Risorto preannunzia la realizzazione di un’altra promessa
fatta dal Padre, a cui non aveva fatto cenno nell’elenco precedente; con queste
parole egli allude chiaramente della venuta dello Spirito, che avrà luogo
cinquanta giorni dopo la risurrezione (cfr.At
2,1-13). I discepoli devono quindi restare a Gerusalemme nell’attesa di
questo evento che darà loro la «potenza» (in greco dynamin) di cui hanno bisogno. La venuta dello Spirito avrà luogo,
come tutti gli altri eventi salvifici, nella città santa.
Il racconto termina
con l’ascensione di Gesù al Padre: “Poi li
condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li
benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si
prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e
stavano sempre nel tempio lodando Dio”.
Luca è l’unico
evangelista (a parte la finale canonica di Marco, scritta dopo il vangelo di
Luca) che parla di questo evento, situandolo “verso Betania”, nella sera stessa di Pasqua; secondo lo stesso
autore in At 1,9-12 l’evento avrebbe
invece avuto luogo quaranta giorni dopo la Pasqua sul monte degli Ulivi.
Nel racconto del
vangelo Luca descrive l’evento ispirandosi a Sir 50,20-23. In questo testo è descritto il sommo sacerdote Simone
che alza le mani al termine della liturgia per benedire il popolo prostrato e
domanda a Dio che accordi ad esso la gioia. Anche Gesù alza le mani, benedice i
discepoli prostrati e viene portato in cielo mentre essi tornano con gioia a
Gerusalemme.
Con questa
presentazione dell’evento Luca ha dato un’appropriata conclusione al suo vangelo.
Esso era iniziato con la scena di Zaccaria, degno rappresentante del sacerdozio
ebraico, che, ricevuta la visione dell’angelo nel tempio, non ha potuto
benedire il popolo perché è diventato muto (cfr. Lc 1,22). Ora Cristo stesso, intronizzato come sommo sacerdote,
porta a termine la liturgia che l’angelo aveva interrotto.
All’antica alleanza
salvifica, diventata ormai muta e impotente, si sostituisce dunque quella
nuova, di cui il mediatore è Cristo. Il fatto che la scena si svolga fuori del
tempio significa che ormai il rapporto tra Dio e l’uomo non ha più come sede
privilegiata il luogo santo, ma si gioca nel mondo, al quale gli apostoli
dovranno annunziare il vangelo. Ciò non impedisce però che i discepoli
continuino a frequentare il tempio, che secondo Luca rappresenta il segno della
continuità tra Israele, in quanto popolo eletto, e la prima comunità
cristiana.
Questo evento è
chiaramente una scena simbolica che indica il compimento del ciclo di eventi
salvifici di cui Gesù è stato protagonista. Il suo ritorno al Padre non indica
un allontanamento dai suoi discepoli, ma piuttosto la continuazione per mezzo
loro della sua opera. Il suo andare nei cieli, il luogo simbolico in cui Dio
risiede, significa la piena comunione con il Padre, alla quale sono chiamati
tutti quelli che credono in lui. Come la risurrezione e la discesa dello Spirito,
anche l’ascensione si attua nei pressi di Gerusalemme, che rappresenta il luogo
centrale della salvezza il cui annunzio si espanderà per mezzo dei discepoli
fino agli estremi confini del mondo (cfr. At
1,8). Per Luca il collegamento con la città santa e con tutto quanto essa
significa per il mondo ebraico è essenziale per cogliere il vero significato
della salvezza attuata da Gesù.
Il modo in cui Luca
nel vangelo ha immaginato l’ascensione di Gesù mette in luce i rapporti
strettissimi che intercorrono tra la nuova e l’antica alleanza di salvezza. La
venuta di Gesù, annunziata per la prima volta proprio a un sacerdote ebraico,
conclude l’esercizio del culto che rappresentava per il giudaismo lo strumento
per eccellenza della purificazione e della salvezza. Ora si apre una nuova alleanza
che ha come centro il Signore risorto. Egli porta a compimento tutto ciò che
era contenuto nell’esperienza religiosa del suo popolo. Ma egli si sostituisce
al tempio e al sacerdozio, i quali perdono il loro ruolo di segni della
presenza di Dio in questo mondo. Ormai il culto consisterà unicamente nella
fede in lui e nella sequela, attraverso la quale si apre la via che conduce
tutta l’umanità alla comunione con Dio.
Note: 1. La
parte tra parentesi quadre non è compresa nel brano liturgico, ma è
indispensabile per comprendere il significato del brano stesso. – 2. L’esegesi
che segue è liberamente tratta da un articolo di padre Alessandro Sacchi
pubblicato su sito Nicodemo.net.