Maria Santa Madre di
Dio – Lc 2,18-21
[Appena
gli angeli partirono da loro per il cielo, i pastori si dicevano l’un l’altro:
andiamo dunque fino a Betlemme e vediamo questo avvenimento, l’accaduto che il
Signore ci ha fatto conoscere. Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e
Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto,
riferirono ciò che del bambino era stato detto loro].
Tutti quelli
che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte
sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne
tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e
visto, com'era stato detto loro.
Quando
furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo
nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel
grembo.
Il brano in esame è la prosecuzione di quello
letto la notte di Natale; per comprenderlo meglio occorre leggere anche i
versetti precedenti che il liturgista ha, incomprensibilmente, saltato.
Come detto commentando il brano della notte
di Natale, i pastori sono il simbolo, il prototipo dei peccatori incalliti,
quelli senza alcuna speranza di redenzione1. Luca afferma che questi
peccatori, ricevuto il messaggio che l’amore di Dio è per tutti, anche per
loro, cambiano totalmente atteggiamento e vogliono andare sino in fondo,
vogliono toccare con mano il dono che è stato fatto loro. Da questa loro
decisione si sviluppa un altro avvenimento: la sorpresa da parte dei genitori
di Gesù.
“Andarono,
senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella
mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto
loro”.
La prima sorpresa
è il fatto che Giuseppe li accolga e li ascolti; la seconda che sia presente
anche Maria ed il bambino, una vera rivoluzione nelle usanze ebraiche. Giuseppe
è un giusto2 (Mt 1,19), un attento esecutore di quanto
previsto dalla Legge, eppure Luca non accenna ad alcun moto di repulsione di
Giuseppe quando vede arrivare i pastori, persone sicuramente impure: infatti,
più che una situazione reale, Luca sta descrivendo quale sarà (o dovrebbe
essere) il comportamento degli uomini con la venuta del Messia che annullerà
ogni legge, ogni precetto, ogni usanza che risulti contraria al benessere ed
alla felicità degli uomini3.
“Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette
loro dai pastori.”
Guardate cosa sta dicendo Luca4:
tutti quelli che avevano ascoltato si stupirono, tutti, compresa Maria e
compreso Giuseppe, “…delle cose dette loro dai pastori”. Sono stupiti perché
c’è qualcosa che non quadra: c’era tutta una tradizione di un Dio che detestava
i peccatori, di un Dio che voleva sterminare i peccatori (Sal 37,22.38); c’era la tradizione che attendeva il Messia come il
giustiziere che avrebbe fatto piazza pulita dei peccatori (Mt 3,10-12); adesso si presentano i peccatori per eccellenza e
dicono: siamo stati avvolti dall’amore del Signore e Dio ha detto che è nato
quello che per noi sarà la salvezza.
Tutti, Maria compresa, si stupiscono di
questo.
Da qui in poi ha inizio la descrizione dell’incomprensione
da parte di Maria e da parte di Giuseppe: più volte Luca dirà che essi con
capivano queste cose ma proprio di qui inizia e si sviluppa quella che sarà la
grandezza di Maria: Gesù le presenterà qualcosa di nuovo, qualcosa di inaudito,
le presenterà un Dio differente da quello che lei aveva conosciuto dalla
tradizione e Maria lo accetterà.
Nel vangelo più
antico, quello di Marco, è riportato un episodio drammatico: tutto il clan
familiare ha deciso di catturare Gesù ritenuto ormai demente (Mc 3,21-35). Gesù, presentatosi come
l'inviato del Signore (Lc 4,18-21),
si è comportato infatti come un nemico di Dio, trasgredendo i precetti e
comandamenti più sacri (Mc 3,5.22;
7,15-23), e mentre le autorità religiose lo bollano come bestemmiatore
eretico ed indemoniato (Mt 9,3), per
la gente è solo un pazzo a cui lanciare pietre (Gv 8,59).
La richiesta dei
famigliari di Gesù “Tua madre e i tuoi
fratelli ti vogliono”, è interrotta dalla fredda risposta del Cristo: “Chi è mia madre?...”
Per Gesù suoi intimi
sono solo quelli che lo seguono e come lui vivono la volontà del Padre
traducendola in un amore incondizionato che si rivolge a tutti, prescindendo da
categorie religiose, morali e sessuali (Lc
10,29-37).
Maria deve scegliere:
o resta con il clan famigliare, che ritiene Gesù un matto, e salva così la sua
reputazione, o segue il figlio, conosciuto per essere “un mangione e un beone, amico di pubblicani e peccatori” (Mt 11,19).
A Nazaret Maria s'era
fidata dell'invito rivoltole dal suo Signore e da questo suo assenso era nato
il Messia di Dio. In questa seconda annunciazione5, più sofferta e
matura, Maria risponde ancora con un sì all'invito alla pienezza di vita che le
viene da Gesù e che la condurrà a una nuova nascita: la sua.
Ora sarà la madre che
rinascerà dal figlio: nuova nascita che avverrà “dall'alto” (Gv 3,3), da
colui che, innalzato in croce, trasformerà la madre nella fedele discepola (Gv 19,25-27).
Coronamento della
prima annunciazione era stata la beatitudine con la quale si aprono i vangeli: “Beata colei che ha creduto nell'adempimento
delle parole del Signore” (Lc 1,45);
la seconda annunciazione troverà la sua formulazione nella beatitudine con la
quale i vangeli si chiudono: “Beati
quelli che pur non avendo visto crederanno” (Gv 20,29).
Mentre
l'annunciazione di Nazaret culmina a Betlemme, dove lo sfolgorio di luce della
gloria del Signore avvolge la nascita del Figlio, e pastori e magi sono in
adorazione (Lc 2,1-21; Mt 2,1-12),
l'altra sfocerà nelle tenebre di Gerusalemme (Mc 15,33), dove bestemmie e sberleffi accompagnano la morte del
Cristo e la rinascita di Maria (Mc
15,29-32; Gv 19,27).
Presso la croce
l’evangelista non presenta una madre schiacciata dal dolore, che comunque sta
vicina al figlio anche se questo è un criminale, ma la coraggiosa discepola che
ha scelto di seguire il maestro a rischio della propria vita, mentre gli
apostoli, che avevano giurato di esser pronti a morire per lui (Mc 14,29-31), sono vigliaccamente
fuggiti (Mt 26,56).
Sul Gòlgota, più che
una madre che soffre per il figlio,
Giovanni mostra infatti la discepola che soffre con il suo maestro, la donna che condivide la pena dell' “Uomo dei
dolori” (Is 53,3; Rm 8,17). Maria ha
preso la sua croce, e si è posta a fianco del giustiziato contro chi lo ha
crocifisso, schierandosi per sempre a favore degli oppressi e dei disprezzati.
Non è stato facile
per Maria.
Per schierarsi col
crocifisso si è messa contro la propria famiglia e ha dovuto rompere con la
religione che, nella persona del suo rappresentante più alto, il Sommo
sacerdote, aveva scomunicato Gesù (Mt
26,65; Mc 3,22). Infine, scegliendo il condannato, ha osato pure mettersi
contro il potere civile che giustiziava quel galileo come pericoloso
rivoluzionario (Mt 27,38). Maria
presso il patibolo aderisce attivamente a Colui che “rovescia i potenti dai troni” (Lc
1,52): sta dalla parte delle vittime di questi potenti e fa sua la croce,
cioè accetta, come Gesù, di essere considerata un rifiuto della società pur di
non venire meno all'impegno di essere presenza dell'amore di Dio in mezzo al
mondo (Mc 8,34).
La grandezza di Maria non consiste nell’aver
dato alla luce Gesù, ma di essere stata capace poi di diventare la sua
discepola.
Tutti erano sconvolti, ma “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste
cose, meditandole nel suo cuore.”.
Il cuore nel mondo ebraico è quella che per noi è la mente, la sede del
pensiero e delle emozioni. Anche Maria è sconvolta, c’è qualcosa che non quadra
ma non rifiuta nulla: ci pensa, ci riflette nel suo cuore.
“I pastori poi se ne tornarono…” e qui Luca scrive
qualcosa di incredibile, qualcosa di straordinario che cambierà per sempre il
nostro rapporto con Dio e di conseguenza anche quello con gli altri. Scrive
Luca: “I pastori se ne tornarono,
glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era
stato detto loro”.
Dopo aver fatto l’esperienza del Dio amore, è
possibile anche ai pastori, quelli che la religione riteneva i più lontani da
Dio, lodarlo e glorificarlo, cioè essere gli intimi di Dio.
“Quando
furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo
nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo”.
E’ la conclusione della vicenda familiare; d’ora in poi tutto quello che
riguarda Gesù sarà pubblico, a cominciare dalla sua presentazione al Tempio.
Note: 1. Vivendo tra le bestie, i pastori
diventavano persone abbrutite, erano considerati come dei criminali, dei ladri;
si rubavano il bestiame tra di loro, si uccidevano e, secondo il Talmud, erano
considerati non-persone, non godevano di nessun diritto civile. Naturalmente,
abbrutiti da questo lavoro, essi non avevano né il tempo, né la possibilità di
fare le purificazioni quotidiane o di andare al tempio, cosa che li emarginava
sempre di più. – 2. Con il termine giusto,
zaddiq in ebraico,
non s’intende una persona retta, una persona di buona moralità: nel mondo
ebraico i giusti erano una specie, diciamo così, di confraternita, di persone
laiche, molto devote, che s’impegnavano
ad osservare nella loro vita quotidiana tutti quei 613 precetti che i
farisei avevano ricavato dalla legge di Mosè. Ne consegue che Giuseppe non
avrebbe potuto parlare con degli impuri senza diventarlo anche lui e che Maria,
come tutte le donne, non avrebbe potuto intrattenersi con persone estranee alla
famiglia sia pure in presenza di Giuseppe. – 3. Con ragione ha scritto Paolo: ”Cristo ci ha riscattati dalla
maledizione della legge” (Gal 3,13).
Il grande problema della Chiesa Cattolica è l’aver ricostruito, imitando i
farisei del I secolo, la rete di precetti, obblighi e dogmi contro i quali si
era battuto Gesù, dimenticando che l’unico imperativo morale, come ha insegnato
Cristo, è il benessere e la felicità dell’uomo. – 4. L’analisi che segue è
liberamente tratta da un articolo di P. Alberto Maggi “Maria, la fantasia di Dio”. - 5. L’episodio riportato da Marco (Mc 3,31-35) è considerato dai teologi la
seconda annunciazione a Maria certamente più importante della prima in quanto
non è vissuta passivamente (o quasi), ma ha comportato un’intima, corraggiosa
decisione autonoma.