Pentecoste – Gv
14,15-16.23-26
«Se mi amate,
osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un
altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre [lo Spirito della verità, che
il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete
perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da
voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché
io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e
voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è
colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi
manifesterò a lui».
Gli disse Giuda, non
l'Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al
mondo?». Gli rispose Gesù:]1 «Se uno mi ama, osserverà la mia parola
e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.
Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è
mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste
cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il
Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò
che io vi ho detto».
Io
penso che morirò prima di capire quali sono i criteri che ispirano i liturgisti
nella scelta dei brani di vangelo da inserire nel lezionario. Come si fa a
spezzare a metà un così importante, direi basilare, brano di vangelo che
costituisce, almeno secondo le parole di Giovanni, la motivazione teologica
della costituzione della Chiesa?(2) La risposta non esiste. Sento
quindi la necessità di sviluppare l’esegesi del brano nella sua interezza, dal
versetto 15 al versetto 26.
La struttura(3)
del brano in questione è complessa e prevviso che la sua comprensione richiede
un minimo di ragionamento teologico che può risultare un po’ ostico.
Il brano si può
dividere in due parti: la prima è delimitata dai vv. 15-21 e ha il suo centro nel
v.18, attorno al quale ruota tutta la prima parte: "Non vi lascerò orfani: verrò da voi"; la seconda parte,
delimitata dai vv.22-26, è introdotta da una domanda(4) di Giuda sul
perché Gesù si rivela soltanto ai discepoli e non a tutto il mondo.
La prima parte è animata
da numerosi soggetti e ne definisce i rapporti tra loro: Padre, Figlio, Spirito,
i discepoli e il mondo. La seconda parte, invece, pur riprendendo la prima,
definisce prevalentemente l’opera dello Spirito.
L'intero brano è
percorso da un continuo rincorrersi degli stessi concetti che in realtà, ad
ogni ripetizione, aggiungono qualcosa di nuovo. Questo è un modo caratteristico
di scrivere di Giovanni, modo che gli specialisti chiamano "pensiero a
spirale”: il v.15 annuncia il tema: "Se
mi amate, osserverete i miei comandamenti". La prima conseguenza è la
preghiera di Gesù al Padre perché mandi lo Spirito sui suoi discepoli; il v.21 riprende il tema e vi fa
un'aggiunta: il Padre e Gesù amano chi li ama e si riveleranno a lui; il v.23 riprende nuovamente il
tema e vi fa un'ulteriore aggiunta: il Padre e Gesù verranno da chi li ama e
prenderanno dimora in lui.
“Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”: il greco, che è una
lingua ben più ricca dell’italiano, per indicare l’atto dell’amare usa tre verbi:
"erao" per indicare l'amore fisico, sessuale; "fileo"
per indicare un amore affettuoso, amichevole; "agapao" per
indicare un amore al difuori della passione e dell’affetto, che si esprime in
un interesse profondo per la persona oggetto dell’amore che spinge a
preoccuparsi di lei ed ad adoprarsi per il suo bene.
Quando nel NT si
parla dell'amore di Dio per l'uomo o dell'amore del Padre verso il Figlio, il
verbo usato è "agapao". Possiamo dire che il verbo "agapao"
assume così dei connotati divini.
Per dire "se
mi amate", Giovanni usa proprio il verbo "agapao",
indicando, quindi, come l'amore che lega il credente a Gesù ha dimensioni
divine. E' un amore che non ha nulla a che vedere con il nostro sentimento o la
nostra passionalità(5), ma indica la totale apertura del credente a Dio,
il suo aderire a lui con la vita. Diventa quindi logico "l'osservare i
comandamenti". Il verbo greco usato è "tereo" che
significa "aver cura, custodire". Non si tratta, quindi, di eseguire
forzatamente dei comandi, ma di abbracciare una logica divina che porta alla
somiglianza con Cristo piuttosto che all’obbedienza(6).
E' questo il tipo di
rapporto che lega il credente a Gesù.
Gesù parla di "miei
comandamenti"; il termine greco usato (entolé) è lo stesso che
viene impiegato per indicare i comandamenti che Dio ha dato a Mosé(7).
Questi comandamenti sono qui qualificati dall'aggettivo possessivo "miei(8)".
C'è, quindi, una implicita contrapposizione tra Mosé e Gesù, tra la vecchia legge
e la nuova legge, tra obbedienza ed amore che si identifica nella persona
stessa di Gesù.
Diviene chiaro così
che il rapporto che io devo avere con questa nuova legge, che in realtà è una
persona, non è di una mera esecuzione formale, di obbedienza come lo era per la
legge mosaica, ma di amore, cioè di un'adesione che è tentativo di somigliare
che mi coinvolge esistenzialmente e mi proietta direttamente nella stessa vita di
Dio.
Più avanti sarà
chiaro che i rapporti che legano Padre-Figlio-Spirito e il credente sono
identici; questo significa che, quando amiamo, il nostro non è più un amore
umano, ma divino e il nostro vivere assume connotazioni divine, perché Dio vive
in noi. E' questo il senso che Paolo esprime nella sua lettera ai Galati quando
dice: "non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2,20).
“Io pregherò il Padre ed egli vi darà...”. Giovanni usa i verbi al futuro. E' da chiedersi,
perché Gesù non domanda subito a suo Padre il dono dello Spirito per i suoi
discepoli. Sembra quasi che lo Spirito, che risiede in Gesù dal momento del suo
battesimo nel Giordano(9), non possa essere ancora donato. Esso
verrà donato soltanto dopo la morte e risurrezione di Gesù. Soltanto al momento
della sua morte, quando, dopo aver dichiarato che "Tutto è compiuto"
(Gv 19,30), Gesù "chinato il capo,
spirò". La traduzione di quel "spirò" non è corretta:
il testo greco, infatti, dice "restituì lo Spirito". E'
proprio, quindi, nel momento della sua morte, dopo aver compiuto la missione
che il Padre gli aveva assegnato, che Gesù restituisce lo Spirito al Padre.
Sarà proprio con questo Spirito che il Padre risusciterà Gesù, facendone l’oggetto
di una nuova creazione e sarà proprio questo Spirito che verrà effuso da Gesù
risorto sui discepoli.
“...un altro Paràclito
perché rimanga con voi per sempre”: Gesù, quindi domanderà al Padre di dare ai
suoi discepoli "un altro consolatore".
"un altro",
ma quanti "consolatori" ci sono? Il primo è Gesù stesso; è lui
che fa da intermediario tra Dio e gli uomini e che intercede per essi presso il
Padre. Ma quando Gesù non ci sarà più, ci sarà "un altro consolatore"
che, a differenza di Gesù, rimarrà, invece, sempre in mezzo ai discepoli.
Questo consolatore,
definito, come "Spirito di Verità" diventa colui che prosegue
la missione di Gesù nel mondo: infatti, questo consolatore "v'insegnerà
ogni cosa e vi ricorderà ciò che io vi ho detto" (Gv 14,26) e "mi renderà testimonianza" (Gv 15,26) poiché "prenderà del
mio e ve lo annunzierà" (Gv
16,14).
Lo Spirito, quindi,
altri non è che l'azione del Cristo risorto in mezzo al mondo, che accompagnerà
sempre da vicino ogni credente e lo "guiderà alla verità tutta intera"
(Gv 16,13).
La rivelazione che
Gesù ci ha portato non è totalmente e immediatamente accettabile; c'è bisogno
di tempo, di elaborazione, di esperienza di amore. L'azione dello Spirito accompagna
il fedele lungo il cammino della storia, per farlo addentrare sempre più
nell’amore che Dio riversa su di lui. Lo Spirito è l'intelligenza stessa di Dio
che ci fa comprendere realtà che diversamente, con il solo sforzo umano, non
sarebbero comprensibili. Egli quindi ci conduce alla piena comprensione della
figura del Cristo, rivelazione piena del Padre e del suo progetto di amore per
gli uomini.
“... lo Spirito di verità ...” il testo greco dice "lo
Spirito della verità". Gesù stesso si definisce "Io sono la
via, la verità e la vita" (Gv
14,6). Questo Spirito, quindi, definito dall'espressione "della
verità" altri non è che lo Spirito di Gesù stesso o se vogliamo, quello
Spirito che opera e si manifesta attraverso Gesù.
E' uno Spirito che
"il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce ".
In altri termini, il mondo, che in Giovanni assume sempre una connotazione tendenzialmente
negativa, perché si contrappone alla rivelazione di Dio in Gesù (Gv 1,10), non è in grado di riceverlo.
Infatti "non lo vede", cioè non ha creduto in lui, non si è
aperto a lui, per questo non lo conosce, cioè non ha potuto sperimentarlo come
è accaduto per i discepoli.
“…egli rimane presso
di voi e sarà in voi..”; notate la diversità dei tempi dei verbi: uno al presente
(rimane), l'altro al futuro (sarà). Questo significa che lo
Spirito, in quanto pienamente presente in Gesù, già dimora in mezzo ai
discepoli, grazie alla presenza di Gesù; ma esso non è ancora nei discepoli
perché ciò avverrà soltanto dopo la risurrezione di Gesù quando Gesù effonderà
su di essi il suo Spirito di verità: "Dopo aver detto questo, alitò su
di loro e disse: <> " (Gv 20,22).
“Non vi lascerò orfani: verrò da voi”. E’ il versetto
centrale della prima parte (vv.15-21) ed è quello che le dà il senso. In Gesù
non opera soltanto lo Spirito, ma anche il Padre. Anzi dire Gesù e dire il
Padre è la stessa cosa. Infatti, a Filippo che gli dice "Signore,
mostraci il Padre e ci basta" (Gv
14,8), Gesù risponde: "... Chi ha visto me ha visto il Padre ... io
sono nel Padre e il Padre è in me" (Gv
14,9.11). Per questo la dipartita di Gesù è anche la dipartita del Padre e,
quindi, noi, che siamo suoi figli, rimaniamo orfani.
Ma Gesù rassicura i
suoi e afferma che non ci lascerà orfani, infatti egli ritorna a noi.
attraverso il suo Spirito. Lo Spirito è il prolungamento dell'azione di Gesù in
mezzo ai suoi e in mezzo al mondo, anzi è l'azione stessa di Gesù che continua
a compiersi. Questa azione divina, dopo la risurrezione, si stabilirà proprio
nei discepoli: "... sarà in voi". Quindi, quella di Gesù è una
dipartita soltanto provvisoria, poiché dopo la risurrezione egli prenderà
definitiva dimora nei suoi stessi discepoli, nella sua stessa Chiesa. Proprio
in tal senso, Matteo ci dirà: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino
alla fine del mondo" (Mt 28,20).
“Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più ..”; quando Gesù dice
queste cose è ormai giunto alla fine della sua vita; per questo il mondo non lo
vedrà più, perché il Gesù della storia sarà sottratto ai sensi e da essi non sarà
più coglibile. Da dopo la sua risurrezione e, ancor più dopo la sua ascensione,
Gesù può essere colto soltanto attraverso i "sensi" della fede. Per questo il mondo non lo potrà più
cogliere, perché non ha mai creduto e tuttora non crede. I discepoli che,
invece, hanno creduto fin dall'inizio, continueranno a vederlo, non
fisicamente, ma con la fede. Da dopo l'ascensione di Gesù, infatti, comincia
per il credente il tempo della fede.
“... perché io vivo e voi vivrete”; in greco per dire
"vivere" ci sono tre verbi, ma quelli che interessano noi sono
due: "byoo" che significa vivere la vita fisica (da cui
l’italiano “vita biologica”); e "zao" che vuol dire vivere una
vita superiore, intelletiva, di relazione elevata e qualificata(10).
Ebbene, qui il termine usato è "zao", e, attribuita a Gesù,
diviene la vita stessa di Dio.
Si noti come, anche
qui, c'è un verbo al presente (vivo) posto accanto ad uno futuro (vivrete).
Il verbo al presente sta ad indicare come questa vita in Gesù è costante e
persistente. Egli, infatti, sarà presentato nell'Apocalisse come il "Vivente":
"... Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente. Io ero
morto, ma ora vivo per sempre e ho il potere sopra alla morte e sopra gli
inferi(11)" (Ap
1,17-18). Gesù, quindi, vive di una vita divina, che neppure l'uomo, nella
sua crudele stupidità, è riuscito a spegnere. Ebbene, anche il credente,
proprio perché tale, proprio perché ha accolto la vita divina presente in Gesù,
anche lui vivrà della stessa vita divina che pulsa in Gesù. Ciò che garantisce
questa vita divina nel credente è proprio lo Spirito, quello stesso Spirito che
palpita in Gesù.
“In quel giorno voi saprete ...”; questa espressione è
strettamente legata al v.16 e ne è una sorta di completamento: "Io
pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito" (v.16); ebbene
"In quel giorno voi saprete ..." (v.20). Quindi il sapere e il
conoscere del discepolo dipende tutto dal dono dello Spirito, l'unico in grado
di condurci alla verità tutta intera (Gv
16,13).
Conosceremo che
"io sono nel Padre e voi in me e io in voi". In altre parole
comprenderemo quale tipo di rapporto intercorre tra Gesù e il Padre, tra Gesù e
noi e, quindi, di conseguenza, quale rapporto c'è tra noi e il Padre.
“Chi mi ama sarà amato dal Padre mio ...”; anche qui notate
l'accostamento dei verbi al presente e al futuro: l'amore per Cristo, che si
manifesta nell’impegno di vita verso gli altri, è motivo di amore che
scaturisce dal Padre. L'amare del Padre è posto al futuro perché l'amore del
Padre si attua e si manifesta soltanto attraverso lo Spirito. Quindi soltanto
quando lo Spirito sarà posto in noi, noi sperimenteremo l'amore del Padre, un
amore che ci colloca nella stessa sua vita, per questo Gesù si "manifesterà
a lui", cioè al discepolo che ama.
“... noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”: per la terza volta
Giovanni riprende il tema di fondo: "Se uno mi ama, osserverà".
Questo lo si è visto al v.15, al v.21 e qui, al v.23.
Qui vediamo un
ulteriore sviluppo delle conseguenze dell'amore del discepolo verso la parola
del suo maestro: Padre e Figlio verranno a lui. Il venire del Padre e del
Figlio esprime il movimento di amore che trasporta l'amante verso l'amato;
mentre il prendere dimora presso di lui dice la profonda compenetrazione tra
amante e amato al punto tale che i due formano una cosa sola. Questo amore, che
si concretizza nell'osservare la parola di Gesù, cioè nel conformare la propria
vita a Cristo, ci porta gradualmente in un rapporto sempre più profondo e
intimo con Cristo e con il Padre.
Tutto ciò è reso
possibile grazie allo Spirito; tutto ciò è l'azione propria dello Spirito in
noi.
”... egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà
tutto ciò che vi ho detto”: questo v.26 intende presentare una sorta
di carta di identità dello Spirito: innanzitutto viene definito Santo,
cioè Spirito che appartiene a Dio. Ci viene detto da dove proviene: "il Padre lo manderà";
quindi anche lo Spirito, come Gesù, è un inviato dal Padre e frutto dell'azione
del Padre.
Viene precisato che
esso non opera mai direttamente, ma passa per il tramite di Gesù: "manderà nel mio nome".
Ci viene detto che cosa fa:
"vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà ciò che vi ho detto".
"Vi insegnerà"
è il verbo proprio del maestro, il verbo che definisce la predicazione stessa di
Gesù. Ciò sta a significare che l'insegnamento dello Spirito è quello stesso di
Gesù. Infatti, Gesù dirà che lo Spirito "prenderà del mio e ve lo
annunzierà" (Gv 16,14). Lo
Spirito, quindi, non si inventa niente, ma dà soltanto attuazione a quanto il
Padre ha progettato e Gesù ha realizzato.
L'altra sua funzione
è quella di farci ricordare tutto ciò che Gesù ha detto. L'azione che lo
Spirito qui compie non è solo una sorta di ricostituente per la nostra memoria,
ma anche e soprattutto un far sì che questa memoria si compia in noi.
Il "ricordare"
nel mondo ebraico significa "fare memoria", cioè rendere
presente, attualizzare, avvenimenti compiutesi nel passato. Ed è proprio lo
Spirito che "attua" questa memoria, cioè rende presenti in noi
e in mezzo agli uomini gli insegnamenti di Cristo, ci aiuta a comprenderli e a
compenetrarli sempre più. Se Cristo oggi è vivo ed è presente ancor oggi in
ogni credente e nella sua Chiesa e per mezzo nostro ancora opera, ciò è dovuto
all'azione dello Spirito che, riprendendo la missione di Cristo, continuamente
la attualizza lungo il cammino della storia.
Con l’azione dello
Spirito si ha l’atto di nascita della Chiesa come assemblea dei fedeli, come
gruppo che agisce nella storia. La nascita della Chiesa è scandita in due
tempi: quello del Gesù della storia;
e quello del Gesù risorto.
Per quanto riguarda
il Gesù della storia,
leggendo attentamente i vangeli scopriamo che Gesù non ha mai avuto
l'intenzione di fondare una chiesa, tuttavia ne ha poste le premesse nella sua predicazione
del Regno di Dio (Mc 1,15), nell'aver
formato attorno a sé un gruppo di fedelissimi, a cui ha lasciato in eredità il
suo insegnamento, e nel suo tentativo di favorire con la sua predicazione e la
sua opera un grande movimento di persone da orientare verso il Padre. Se ne ha
traccia di questa sua intenzione nel suo lamento su Gerusalemme, riportatoci da
Matteo: "Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e quelli che ti
sono stati inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina
raccoglie i suoi pulcini sotto le tue ali, e non hai voluto!" (Mt 23,37).
Per quanto riguarda
il Gesù risorto, vediamo
come questi, subito dopo la sua risurrezione si incontra con i suoi discepoli e
affida a loro una missione che, a ben guardare, altro non è che la prosecuzione
o, se si vuole, il prolungamento della sua stessa missione, da lui iniziata
quando ancora apparteneva alla storia: "Mi è stato dato ogni potere in
cielo e in terra. Andate, dunque, e ammaestrate tutte le genti, battezzandole
nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad
osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28,18-19).
Ma tutto ciò non era
ancora sufficiente perché la chiesa venisse fondata e si qualificasse come una reale
prosecuzione della missione di Gesù. Era necessario e fondamentale che lo
Spirito del Gesù risorto entrasse nei suoi discepoli, facesse con loro un unico
corpo, così che l'agire dei discepoli fosse lo stesso agire di Cristo.
Ecco, pertanto, il
momento della Pentecoste, il momento questo in cui lo Spirito del Gesù risorto scende
sui suoi, li permea completamente di sé, ne fa un tutt'uno con lui.
Da questo momento in poi
il Cristo risorto continuerà la sua missione in mezzo agli uomini, non più in
forma diretta, come quando era nella storia, ma in forma mediata e
sacramentale, ma per questo, non meno vera e meno reale o meno efficace.
Soltanto quando lo
Spirito del Risorto si incarna nei discepoli tutta la missione del Gesù della storia,
che ha lasciato in eredità ai suoi discepoli, prende nuovamente vigore e
concretezza; diversamente egli sarebbe stato un semplice maestro, come tanti ve
n'erano all'epoca; mentre i suoi discepoli sarebbero stati i propugnatori del
pensiero filantropico del loro rabbi. La risurrezione di Gesù e il dono del suo
Spirito, che ha fatto ai suoi discepoli, riscatterà interamente l'opera del
Gesù della storia.
La Chiesa è nata
così, come il naturale prolungamento della missione del Gesù della storia, che
si è nuovamente incarnato nella sua Chiesa e in ciascuno di noi per mezzo del
suo Spirito.
Per attuare questa
missione l’assemblea dei fedeli si è data un’organizzazione, prima locale nei
vari paesi e città, quindi, man mano che la fede in Cristo si espandeva,
l’organizzazione si è fatta più complessa e, con l’editto di Costantino (313
d.C.) ha scoperto il potere. Da questa scoperta sono derivati i mali che
travagliano ancor oggi (forse più di ieri) la vita dei fedeli, che hanno
provocato divisioni e parcellizzazioni e, soprattutto, un evidente
allontanamento della Chiesa dai vangeli.
Note: 1. I versetti compresi nelle parentesi quadre non sono
stati inseriti nel brano liturgico, ma sono indispensabili per la comprensione
del brano stesso. – 2. Qui con la parola Chiesa io intendo l’assemblea dei
fedeli così come la esprime il vocabolo greco; quindi prendo in considerazione
l’insieme delle persone che fanno riferimento a Gesù e non la struttura
gerarchica che è stata costruita per dare all’assemblea una organizzazione
utile al suo funzionamento ma che non richiede, per questo, una motivazione teologica.
– 3. L’analisi che segue è stata, almeno in parte, liberamente tratta da uno
studio di Giovanni Lonardi,
un laico impegnato nell’esegesi e nella ricerca teologica, diplomato presso
l'Istituto Superiore di Scienze Religiose, che ha messo a disposizione di tutti
le sue conoscenze nel sito http.//www.webalice.it/lonardi48/. – 4. Questa domanda, che infatti non riceve risposta, è in
realtà un trucco letterario per separare le due sezioni senza interrompere il
discorso. – 5. Per questo andrebbero ripensate e nuovamente valutate con
attenzione certe esperienze mistiche dove l’amore verso la divinità assume
forme quasi passionali e comunque affettive che fanno fortemente dubitare sulla
loro natura. – 6. Il verbo obbedire, o il termine
obbedienza, non ha diritto di cittadinanza nei Vangeli. In effetti il verbo
obbedire nei Vangeli è citato 5 volte, ma sempre riferito a elementi contrari
all’uomo: il vento, il mare, gli spiriti impuri. Gesù non ha mai chiesto ai
suoi discepoli di obbedirgli, come mai Gesù ha chiesto ai discepoli di obbedire
a Dio. L’obbedienza non fa parte del lessico evangelico, ma al posto
dell’obbedienza Gesù inaugura la somiglianza: nel Vangelo troviamo sempre
l’invito “siate come il Padre vostro”. Nell’ebraismo il credente è colui che
obbedisce a Dio osservando le sue leggi. Nel cristianesimo il credente in Gesù
non è spinto a obbedire a nessuno, neanche a Dio, perché Dio non chiede
obbedienza, ma chiede di assomigliargli. – 7. Si intende il vocabolo usato nella traduzione della Bibbia in greco
effettuata nel II sec. a. C., la cosidetta Bibbia dei Settanta, l’unica
conosciuta dagli evangelisti. – 8. Si ricorda che i comandamenti di Gesù nulla
hanno a che fare con i 10 Comandamenti ricevuti da Mosè sul Sinai. Per poterli
conoscere si consiglia la lettura di Mt 5,1-12, Lc 6,20-22, Gv 13,1-17.34. – 9. Mc 1,10: “E subito, uscendo dall’acqua,
vide squarciarsi i cieli, e lo Spirito scendere verso di lui come una colomba”.
– 10. Questa interpretazione del
verbo zao è abbastanza recente. In
passato lo si riteneva un sinonimo di “byoo”
ed in italiano era entrato in uso con questo significato (ad esempio: giardino zoologico). Oggi, sulla base dell’esame
di migliaia di testi antichi possibile solo con le tecnologie moderne, si
attribuisce a questo verbo un significato più preciso volto a descrivere una
vita fatta di relazione con il mondo e con gli altri ad un livello superiore e
distinto dalla vita biologica. Interessante il fatto che nella traduzione
dall’ebraico al greco detta dei Settanta (II secolo a.C.), quando nella Genesi
Dio crea l’uomo e gli dà la vita con il proprio alito, il traduttore usa il
termine “zoe” e non byos. Gli studi proseguono perché da
questa constatazione potrebbe derivare una diversa definizione di “persona
umana”. – 11. Per evitare
fraintendimenti, qui con la parola inferi
non si parla dell’inferno che non è presente in alcuna parte della Bibbia.
L’inferno è una costruzione teologica medioevale sviluppata nell’arco di alcuni
secoli, approssimativamente dal IV al VI secolo d.C.