Cristo
Re – Mt 25,31-46
Quando il Figlio
dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono
della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà
gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le
pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che
saranno alla sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità
il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame
e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero
straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete
visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». Allora i giusti gli
risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da
mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto
straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti
abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?». E il re
risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo
di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». Poi dirà anche a
quelli che saranno alla sinistra: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco
eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e
non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero
straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in
carcere e non mi avete visitato». Anch'essi allora risponderanno: «Signore,
quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in
carcere, e non ti abbiamo servito?». Allora egli risponderà loro: «In verità io
vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non
l'avete fatto a me». E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti
invece alla vita eterna».
Questo
brano è la conclusione del cap. 25 nel quale Matteo, con le parabole delle
vergini stolte e dei talenti, vuole rispondere alla domanda escatologica
presente nella sua comunità giudeo-cristiana: chi non ha potuto o voluto
accogliere Gesù ed il suo messaggio che fine avrà?
La
risposta che Matteo costruisce è fondata sulla tradizione farisaica che non
prevedeva il giudizio finale per i discendenti di Abramo e lo prevedeva invece
per i gentili(1); Matteo, però, inserisce in questa concezione il
pensiero di Gesù.
Infatti
nel Vangelo di Matteo c'è un episodio abbastanza sconcertante, almeno secondo
la mentalità religiosa ebraica, ed è quello dell’incontro di Gesù con “il
giovane ricco” (Mt 19,16-22). Egli
chiede a Gesù cosa deve fare per avere la vita eterna. Gesù gli risponde: “osserva i comandamenti”. Il tale vuole
sapere “quali”, e Gesù, in maniera
sconcertante e scandalosa per le orecchie di una persona religiosa di
quell’epoca (ma forse di tutte le epoche) gli cita soltanto quei comandamenti
che riguardano i doveri nei confronti degli uomini. Questa è la novità
clamorosa portata da Gesù.
Nella religione, in tutte le religioni,
l'uomo si sforza di innalzarsi verso Dio, di sublimarsi, di spiritualizzarsi, e
lo fa separandosi dal resto della gente. Per questo le persone religiose si
separano dalle altre persone, le quali non possono o non vogliono vivere una
vita fatta di sacrifici, di preghiere ecc.
Questa concezione, all’epoca di Gesù, ha
portato alla nascita del fariseismo; il termine fariseo, infatti,
significa separato. Nei primi secoli della nostra era questa concezione
ha portato, in Egitto, alla nascita del monachesimo, movimento che fece proprie
le idee buddiste che giungevano dall’oriente portate dai mercanti.
Il fariseismo e il monachesimo non sono
concezioni di vita cristiane: nei Vangeli si denuncia che proprio queste persone,
tanto spirituali, devote e religiose, sono in pratica atee. Non solo. Gesù
spesso sottolinea che queste persone, tanto pie e devote, sono divenute disumane;
si sono talmente spiritualizzate da allontanrsi dalla loro umanità (vedi, a titolo di esempio, Mc 3, 1-6).
La novità che Gesù ha portato, che ancora
forse non è stata pienamente compresa, è che con Gesù non è l'uomo che deve
tentare di raggiungere l'altezza della divinità, ma ha la possibilità di
accogliere un Dio che scende e si abbassa al livello dell'umanità, un Dio che serve.
Gesù insegna che per incontrare il Dio che è
già in noi, non dobbiamo spiritualizzarci, non dobbiamo separarci dagli altri
attraverso determinate preghiere, devozioni, sacrifici, ma dobbiamo
semplicemente umanizzarci: più noi penseremo agli altri, più scopriremo il
divino che è in noi.
Proprio perché Dio si è fatto profondamente
umano, la relazione con lui non si baserà sugli atteggiamenti religiosi,
spirituali, ma su quelle che sono le normali regole umane, basilari, di
convivenza: “avevo fame‟, “ avevo sete”,
“ero nudo”, “ero straniero‟, “ero carcerato‟.
Vediamo quindi cosa dice questo brano(2).
Inizia con lo stile di un documento
ufficiale, come un atto diplomatico; sembra quasi che Matteo stia parlando di
un popolo straniero: “Quando il Figlio
dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono
della sua gloria”.
Gesù non proclama se stesso come il Messia,
ma come il “figlio dell'uomo‟. In
aramaico, la lingua parlata da Gesù, questa allocuzione significa semplicemente
“uomo”; se lo colleghiamo al linguaggio preso dal profeta Daniele (Dn 7,13), significa un uomo che ha raggiunto
il massimo della sua umanità, ed è quindi entrato nella condizione divina:
l'uomo-Dio.
Quando Gesù annunzierà la sua passione e
morte non dirà che il Sinedrio, i sommi sacerdoti, i farisei, i capi, odiano il
Messia; Gesù dichiarerà che l'odio dell'istituzione religiosa è contro il
progetto di Dio sull'umanità.
L'istituzione religiosa è riuscita, attraverso
l'invenzione del peccato, a inculcare il senso di colpa nelle persone per farle
sentire sempre indegne e bisognose della casta sacerdotale per ottenere il
perdono.
L'istituzione religiosa è riuscita a scavare
un abisso tra Dio e gli uomini: gli uomini, per quanto si diano da fare, non
riusciranno mai a raggiungere il Signore, perché la dottrina degli scribi e
farisei li fa sentire sempre in colpa, sempre indegni.
Nel Libro del Levitico si trova un elenco
dettagliato di tutto quel che può separare l’uomo da Dio, quel che lo rende “impuro‟.
Impuro secondo la concezione biblica dell'epoca significa separato da Dio,
nell’impossibilità anche di pregare. Il Signore è infatti situato nella sfera
dell'assoluta santità e della purezza.
L'uomo, per entrare in contatto con Dio, deve
purificarsi; per farlo deve ricorrere ai sacerdoti e al tempio per poter rientrare
in comunione con Dio. Su questo si è sempre basata l’istituzione religiosa a
costo di rendere difficile e senza gioia la vita dell’uomo
Per contro nei vangeli emerge una verità
profonda e importante: per Gesù non c'è un valore assoluto più importante del
bene dell'uomo. Nel caso che al bene dell'uomo viene sovrapposta una dottrina o
una verità più importante, questa non proviene da Dio, perchè prima o poi si
ritorcerà contro l’uomo.
Per Gesù non c'è nell'orizzonte del credente
un obiettivo più importante che il bene dell'uomo, più di qualunque dogma, più
di ogni verità. Gesù non chiede pratiche straordinarie, chiede di essere
profondamente umani cioè attenti ai bisogni e alle necessità delle persone
andando loro incontro, mettendosi a loro servizio per alleviare le sofferenze. Questo
è possibile per tutti. Quando accade questo l'uomo sente nascere dentro di sé
una nuova realtà, una vita di una qualità divina, perché l'uomo incontra Dio
quando si umanizza completamente.
Gesù sacralizza l'uomo e desacralizza tutto
quello che era ritenuto sacro dalla religione. Si comprende allora l'odio
dell'istituzione religiosa contro il “figlio
dell'Uomo‟, ritenuto un bestemmiatore, un indemoniato che merita la morte.
E lo ammazzeranno. Ma quando crederanno di aver vinto, quella sarà la loro
sconfitta perché l'uomo che ha la condizione divina non muore, chi ha lo
Spirito non muore perché lo Spirito è vita e dove c’è la vita di Dio non c’è la
morte.
Pertanto Gesù dichiara che quell’uomo che
sarà ucciso, con la morte più infamante, quella della croce, “verrà nella sua gloria”, cioè acquisterà
la condizione divina, e con lui tutti gli inviati (angeli). E’ l’affermazione della resurrezione(3).
Gli angeli sono gli inviati di Gesù, quelli
che hanno accolto il suo messaggio, e con lui e come lui hanno orientato la
propria vita per il bene degli altri. Sono quanti attraverso la sequela di Gesù
e l’accoglienza del suo messaggio hanno sentito la loro vita trasformarsi.
Allora “si siederà sul trono della sua
gloria”.
Questa espressione presa dall'AT indica la
presenza di Dio nel tempio. Con Gesù Dio esce dal tempio e per prima cosa va
incontro alle persone escluse dal tempio(4), perché per Dio non c'è nessuna persona che possa
essere considerata indegna. E’ una verità importante come lo stesso Pietro ha
capito dopo l'incontro con il centurione(5). E’ la fine della
religione.
Con Gesù non c'è una sola persona che possa
sentirsi esclusa dall'amore di Dio. Gesù va incontro agli esclusi, ai rifiutati
dalla religione, agli impuri e ai peccatori. A quanti non potevano avvicinarsi
al Dio del Tempio, il Dio di Gesù va loro incontro per comunicare a tutti il
suo amore.
Con Gesù c'è un cambio radicale nel rapporto
tra gli uomini e Dio. La nuova relazione con il Signore non sarà più attraverso
l’osservanza della Legge di Dio, ma mediante l’accoglienza dell'amore del
Padre. La legge di Dio non è altro che un vuoto contenitore diventato strumento
di potere da parte delle autorità religiose per consolidare e rafforzare sempre
di più il loro dominio e il loro prestigio sulle persone.
Gesù invece non agisce mosso dalla legge di
Dio, ma dall'amore del Padre; non dal bene della dottrina, ma dal bene
dell'uomo. Questo è il Gesù che si manifesta in questa scena: “Davanti a lui verranno radunati tutti i
popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore
dalle capre”.
La religione, ogni religione, non potendo
convincere le persone con le sue osservanze, le sue regole, che sono tutte
irrazionali, obbliga a osservare i suoi insegnamenti, spacciando per verità
divine quelle che sono solo dottrine di uomini, e per questo ricorre al
terrorismo religioso inculcando nelle persone la paura di Dio e del suo
giudizio. Un'immagine che ha angosciato generazioni di credenti, è proprio
l'immagine del giudizio universale.
I pittori si sono esercitati nel manifestare
questo giudizio; basti pensare alla Cappella Sistina: alle poche anime di eletti,
quasi tutti religiosi(6), corrisponde una gran massa di dannati; e
lì si è dato sfogo al sadismo, al masochismo per immaginare le pene più
tremende per quanti saranno castigati nel giorno del giudizio universale.
Ma l'immagine di un giudizio universale è
assente dai Vangeli.
Gesù dichiara che saranno riunite davanti a
lui tutte le genti e usa il termine greco ethne, da cui deriva la
parola italiana etnico, che indica le nazioni pagane. Pertanto questo
giudizio non è universale, non è per tutto il mondo, è per i pagani. Per il
giudizio di Israele saranno i dodici discepoli che giudicheranno le dodici
tribù (Mt 19,28). Per i credenti in
Gesù non c'è invece nessun giudizio.
Per il fatto di aver accolto Gesù come modello della propria esistenza e per il
fatto di aver orientato la propria vita verso il bene degli altri, i credenti
nel Cristo sono già nella pienezza della vita eterna e non vanno incontro a
nessun giudizio (Rm 3,24; 1Cor 6,11; Gal
2,16; Tt 3,7).
Ma quelli che non hanno mai sentito parlare
di Cristo, quelli che non l’hanno conosciuto, in base a cosa saranno giudicati?
È a questo interrogativo che risponde la parabola di Matteo.
“Egli
separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre…”
Prima Gesù si è presentato come il figlio
dell’uomo, l'uomo che ha la condizione divina. Ora Gesù si presenta sotto le
vesti del pastore. In nessuna di queste espressioni c'è qualcosa che indichi la
paura, il timore. Il pastore è colui che si prende cura delle pecore, quello
che va in cerca della pecora smarrita, il pastore che offre la vita per le sue
pecore, è il pastore che separa le pecore dai capri(7). Gesù si rifà
alla pratica palestinese dei beduini dove la sera i greggi venivano separati
per la mungitura, e afferma che porrà le pecore alla sua destra e i capri alla
sua sinistra.
“Allora il re dirà a
quelli che saranno alla sua destra...”.
Dopo il pastore, Gesù si presenta come re.
Israele, dopo il fallimento della monarchia, non aveva avuto più re e aspettava
un re ideale, quello che si prende cura degli orfani e le vedove. Gli orfani e
le vedove sono due categorie umane che non hanno un uomo, un maschio che pensa
a loro. Il re, nella simbologia ebraica, indica colui che protegge quelle
persone delle quali nessuno si prende cura. E Gesù dirà a quelli che stanno
alla sua de-stra: “Venite, benedetti del
Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione
del mondo”.
Come fa Gesù a riconoscere quelli che sono
benedetti?
Nella tradizione ebraica, che poi è confluita
nella spiritualità cristiana, si diceva che tutte le azioni di un uomo erano
scritte in un libro che Dio avrebbe consultato nel giorno del giudizio. Gesù
non ha bisogno di consultare nessun libro. Come il pastore distingue le pecore
dai capri, ugualmente il Signore distingue prontamente quelli che hanno
orientato la propria vita per il bene degli altri e quelli che invece sono
vissuti solamente per se stessi.
Gesù, parlando del regno di Dio, l’aveva
paragonato a un pescatore che tira fuori dalla sua rete pesci buoni e pesci marci(8)
(Mt 13,48). I pesci non sono cattivi, sono marci, sono senza vita, e non
vengono eliminati per la loro cattiva condotta, perché hanno commesso qualcosa,
vengono scartati perché sono marci, e quindi inutili. Ugualmente il contadino
esperto distingue subito il frutto buono dal frutto marcio. E così Gesù
distingue prontamente quelli che hanno vissuto per gli altri, perché chi
orienta la propria vita per il bene dei fratelli, trasforma la propria
esistenza, diventa una persona splendida: “…se l'occhio che è in te è
luminoso, tutto il tuo corpo sarà luminoso…” (Mt 6,22). L'occhio luminoso è
un'espressione ebraica che indica la generosità. Una persona che vive per gli
altri è una persona splendida.
Gesù non ha bisogno di consultare i libri.
Vede le persone che sono splendide e le persone che invece sono nelle tenebre.
Il Padre di Gesù benedice queste persone (benedetti
dal Padre mio) chiamate a ricevere “…in eredità il regno preparato per
voi fin dalla creazione del mondo…”.
Il Dio che emerge dai Vangeli è un Dio
completamente diverso da quello della tradizione religiosa. Il Dio della
religione è un Dio sempre scontento dell'umanità, un Dio che, secondo il
salmista, si affaccia, guarda la terra e si ritrae nauseato.
Il Padre di Gesù guarda anche lui l'umanità
ed esclama: che meraviglia! Non è che Dio non veda la realtà così come è, ma
Dio vede l'uomo come può diventare se coglie il suo amore. E’ un Dio talmente
innamorato della sua creazione che fin dalla creazione del mondo, ha pensato a
ogni sua creatura per farla erede del suo regno.
È lo stesso pensiero espresso da Paolo nella
lettera agli Efesini con l’inno dell'ottimismo di Dio sul creato: “…in Gesù,
Dio ci ha eletti prima della creazione del mondo…“(Ef 1,4). Prima ancora di
creare il mondo Dio aveva pensato a noi, aveva pensato a ognuno di noi per
renderci suoi figli adottivi.
E’ l'adozione di un potente, non è l'adozione
come noi la intendiamo, cioè l'accoglienza di un bambino per amore all'interno
di una famiglia, ma a quell’atto giuridico con il quale l’imperatore, quando
vedeva approssimarsi ormai la fine della sua esistenza, sceglieva tra i suoi
valorosi uno che riteneva avesse le sue stesse qualità per continuare a portare
avanti il suo impero come lui e meglio di lui.
Questo significa essere figli adottivi di
Dio: il Signore ci stima tanto, ci apprezza tanto e soprattutto ha tanto
bisogno di noi, che ci chiede di collaborare alla sua azione creatrice. La
creazione non è terminata fintanto che ci sarà il male e la sofferenza nel
mondo (Rm 8,18-23).
I primi capitoli del libro della Genesi, dove
leggiamo del giardino (in persiano: paradiso), dell'armonia tra l'uomo e la
donna, tra gli uomini e la natura, non sono la descrizione di un mondo
irrimediabilmente perduto, ma la profezia di un paradiso da costruire,
collaborando all'azione creatrice di Dio.
Collaborare alla creazione di questo mondo non
è nulla di impossibile o di strano: basta capire la frase “…perché io ho
avuto fame e mi avete dato da mangiare…”. Lavorare all'azione creatrice del
Padre significa esercitare nella vita opere che comunicano vita agli altri. “…ho
avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete ospitato, nudo e
mi avete vestito, malato e mi avete visitato…”.
Per collaborare col Creatore basta avere una
risposta d'amore, di tenerezza, di misericordia nei confronti di chi ha bisogno.
Collaborare all'azione creatrice di Dio significa comunicare vita a chi vita
non ce l’ha.
In queste sei azioni, chiamate le sei opere
di misericordia, non viene chiesto conto del comportamento nei confronti della
divinità. Quelli che sono benedetti dal Padre non lo sono perché hanno pregato,
perché hanno offerto sacrifici, ma perché hanno dato vita agli altri. Il
giudizio per quanti non hanno conosciuto Dio non è il rapporto che hanno avuto
con il Signore, ma con le altre persone.
Nel Talmud, libro sacro degli ebrei, c'era
una parabola simile a questa di Matteo. Nel Talmud si legge infatti che
nell'aldilà il Santo, che benedetto sia, - espressione ebraica per indicare il
Signore - prenderà un rotolo della Legge, i primi cinque libri della Bibbia, se
lo poserà sulle ginocchia e dirà: chi se ne è occupato venga e riceverà la
sua ricompensa. Nella tradizione ebraica per entrare a far parte della
benedizione, della ricompensa di Dio, bisognava aver osservato la sua Legge.
Con Gesù tutto questo è terminato. Quello che determina il gradimento di Dio
non è avere osservato o meno la sua Legge, ma il comportamento tenuto verso l’altro.
La novità portata da Gesù è che all’orizzonte
del credente c’è soltanto il bene dell’altro; non c'è nient'altro.
Da notare che queste opere di misericordia
erano conosciute del mondo antico anche presso gli scrittori pagani; e si
trovano sia nei testi religiosi sia nei testi laici. Ma in tali testi non si
trova la categoria dei carcerati con i quali il Signore si identifica: “…ero
carcerato e siete venuti a visitarmi”.
Gesù si identifica con gli ultimi della
società, non con i primi. Il Signore si identifica con gli affamati, con gli assetati,
con gli stranieri, con i nudi e - cosa veramente scandalosa per le pie orecchie
dell'epoca – con i carcerati.
Il carcerato veniva considerato una persona
giustamente punita per le sue colpe e verso il carcerato non c'era nessun
sentimento di pietà e di compassione o di misericordia, perché era responsabile
della propria condanna. Con l'immagine del carcerato Gesù indica tutte quelle
persone che per la loro condotta si trovano in una situazione di totale rifiuto
da parte della società e non meritano un minimo sentimento di pietà o di
misericordia.
A quell'epoca i carcerati erano detenuti
soltanto per il periodo in attesa dell'esecuzione capitale; e la sopravvivenza
del condannato non era determinata dai carcerieri ma dai familiari e amici che
dovevano portargli da mangiare. Quindi visitare il carcerato non significa
soltanto recare una visita di conforto ma dare vita a quelle persone che la
religione e la società civile ritengono i più lontani e non degni di un minimo
di compassione.
“Allora i giusti gli
risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da
mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere?”
Giusto nel Talmud significa “fedele”, colui
che è fedele all'osservanza della Legge. Il giusto con Gesù non sarà più il fedele
osservante della legge, che non determina più la condotta del credente, ma
fedele all’uomo, all’amore verso ogni creatura.
Allora gli chiedono: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da
mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto
straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti
abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”
Ed ecco la risposta clamorosa di Gesù: “In verità io vi dico: tutto quello che avete
fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli (= insignificanti)…”.
Gesù chiamerà fratelli i suoi discepoli dopo la resurrezione, ma qui
anticipa già che suoi fratelli sono le persone ritenute insignificanti dalla
società, le persone che non contano nulla, che sono invisibili. Le persone che
il mondo ignora, Gesù le considera suoi fratelli: “ …che avete fatto queste
cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, cioè insignificanti,
l’avete fatto a me…”.
Questo brano evangelico non giustifica in
alcun modo quell’errata spiritualità che consiste nel vedere Cristo nel povero.
Le persone che hanno aiutato l'affamato, non l’hanno fatto perché vi vedevano
Cristo, non hanno accolto lo straniero perché ospitando il forestiero
accoglievano il Signore; essi del Signore non sanno niente, e infatti si
meravigliano.
Le azioni di vita che loro hanno fatto sono
state nei confronti dei bisognosi in quanto tali e non del Signore. Non hanno
dovuto cercare qualcosa di divino nel bisognoso per amarlo, lo hanno amato
perché ne aveva bisogno.
Non si amano gli altri perché negli altri c'è
il Signore, ma con il Signore e come il Signore si amano gli altri, così come
sono, senza pensare a una possibile ricompensa divina. Non si tratta di vedere
Gesù nel povero, ma di guardare lo straniero e il carcerato con lo stesso
sguardo con il quale lo vede Gesù.
Nella religione (per religione si intende
quello che gli uomini fanno per Dio) il traguardo è Dio; tutto quello che
l'uomo fa, lo fa per Dio. Con Gesù la religione è finita; al suo posto c'è la
fede, che è la risposta degli uomini a quello che Dio fa per loro.
Con Gesù Dio non è più al traguardo
dell'esistenza, ma all'inizio: è Gesù che prende l'iniziativa di amarci, e noi,
avvolti da questo amore, con lui e come lui amiamo l'altro così come è:
pidocchioso, sporco, insopportabile. Non devo trovare Cristo nell'altro per
amarlo, ma devo scoprire in me lo stesso sguardo di Gesù, e con Cristo e come
Cristo amare queste persone.
Adesso vediamo invece il rovescio della
medaglia: questa pagina è drammatica perché vi sono delle parole di una durezza
che ci devono far riflettere veramente.
“Poi dirà anche a
quelli che saranno alla sinistra: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco
eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e
non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero
straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in
carcere e non mi avete visitato»”.
Sono parole tremende che uno non si aspetta
di trovare in bocca a Gesù, tanto più che poco prima aveva detto venite
benedetti dal Padre mio.
Adesso si gira, guarda quelli che ha
collocato alla sua sinistra, (ricordo che la divisione che Gesù ha fatto, non l’ha
fatta consultando un libro dove sono scritte le azioni delle persone ma è
bastato guardare perché ci sono persone vive e persone che sono già morte e
putrefatte), e rivolto a queste persone dice: “via, lontano da me”.
Gesù è la vita, ed è incompatibile con la morte,
con il marciume; Gesù è la luce, ed è incompatibile con le tenebre per questo
li allontana.
“…maledetti…”, ma non sono
maledetti da Dio.
Abbiamo letto prima nel testo: venite
benedetti dal Padre mio. Il Padre è amore, Dio è amore, e non ha nessuna
maniera di rapportarsi con le persone che non sia una comunicazione
traboccante, crescente, d'amore. Dal Padre, viene soltanto benedizione e amore.
Gesù non dice maledetti dal Padre mio; ma solo
maledetti: sono divenuti maledetti da soli, perchè Dio non maledice, Dio
benedice.
“…via lontano da me, maledetti”.
Questa espressione così forte appare un’unica volta nel Vangelo di Matteo.
L'evangelista si rifà al primo assassino della Bibbia, a Caino che ammazzò il
fratello; nel libro della Genesi (Gn
4,1-16) si legge: ora, sii maledetto. Richiamandosi a questa
maledizione l'evangelista vuol dire che negare l'aiuto all'altro è come
ucciderlo. Se la risposta era fattore di vita, avevo fame e mi avete dato da
mangiare, la mancata risposta è causa di morte.
Coloro che non aiutano l'altro, coloro che
non sono attenti ai bisogni e alle sofferenze degli altri, sono assassini e la
maledizione non viene da Dio, ma si sono maledetti da sé. Sono parole veramente
dure.
Quelle persone che vivono esclusivamente
centrate sui propri bisogni, sulle proprie necessità, ignorano i bisogni e le
necessità magari delle persone che sono loro accanto, con le quali vivono
insieme, a volte nella stessa famiglia. Chi vive unicamente centrato
egoisticamente su se stesso vede tutto il mondo orientato su di sé, pensa
soltanto a quello che gli devono gli altri e non apre gli occhi per vedere ciò
che lui deve agli altri.
Ma come si fa a non dare da mangiare a uno
che muore di fame? a non dare da bere a uno che muore di sete, a non vestire uno
che è nudo, a non visitare uno che è malato. Cercando nel Vangelo esempi del
genere, si vede che è possibile.
Ci sono due categorie di persone che
rientrano sotto questa maledizione: i ricchi e le persone religiose.
Il ricco lo troviamo nel Vangelo di Luca
nell'episodio conosciuto come “il povero Lazzaro” (Lc 16,19-31). In questa parabola il ricco non viene condannato
perché è malvagio, perché si comporta male nei confronti del povero, ma
semplicemente perché lo ignora.
La descrizione che Luca fa del ricco è
straordinaria dal punto di vista psicologico; dice: c'era un uomo molto ricco
che vestiva di porpora e bisso (oggi potremmo tradurre in maniera molto più
comprensibile: vestiva firmato dal capo ai piedi) e tutti i giorni banchettava
lautamente. Quindi il ricco è il vero povero e la povertà interiore ha bisogno
di essere mascherata con il lusso esteriore e l’abbondanza.
Questo ricco non si comporta male nei
confronti di Lazzaro, non lo fa picchiare, semplicemente lo ignora. Se ne
ricorda soltanto quando è nel regno della morte(9). Ma i ricchi non
cambiano mai; dirà ad Abramo “mandalo”, continuando la propria abitudine al
comando: si accorge dell'esistenza di Lazzaro soltanto per i propri bisogni.
Abramo dice che non si può.
Il ricco è tale perché è egoista, se non
fosse egoista, non sarebbe ricco, se fosse generoso non sarebbe più ricco.
L'ultimo favore che chiede ad Abramo: mandalo
a casa mia dai miei fratelli... Continua a pensare soltanto a se stesso: non dice mandalo
al popolo a dire cosa succede a chi vive per sé, no, mandalo a casa mia, ai
miei fratelli. Il ricco è colui che cade sotto questa maledizione non perché si
comporta in maniera malvagia nei confronti degli affamati, dei poveri, ma
semplicemente perché li ignora. Non sono nel suo orizzonte.
Gesù è molto categorico: nel suo regno non
c'è posto per i ricchi, ma solo per i signori. C’è differenza fra il ricco e il
signore: il ricco è colui che ha, il signore è colui che dà. Signori possiamo
esserlo tutti, perché tutti possiamo dare qualcosa, magari un sorriso. Il ricco
no, il ricco è quello che ha e trattiene per sé. Nella categoria dei maledetti
ci sono i ricchi, quelli che vivono e accumulano per sé.
L'altra categoria, ancora più tragica, sono
le persone religiose cioè quelle persone per le quali gli obblighi nei
confronti di Dio vengono prima e sono più importanti del bene dell'uomo(10).
Quando si ci trova nella vita di fronte a un
dilemma, di fronte a un conflitto, come ad esempio: cos'è più importante osservare
le leggi di Dio o fare del bene all'altro, le persone religiose non hanno
dubbi: è più importante l'onore e il rispetto di Dio(11).
Gesù invece mette sempre al primo posto il
bene dell'uomo. Non c'è altro valore, non c'è legge, non c'è dottrina che sia
più importante del bene dell'uomo. Questa è la novità portata da Gesù. E
naturalmente, è stato attaccato: a un dottore della legge (Lc 10,25-37) che si sente coplito da questa novità e vuole sapere
chi è il prossimo, Gesù gli racconta la parabola chiamata del buon samaritano:
c'era un uomo, scendeva per la strada che conduce a Gerico, capita in
un'imboscata, lo massacrano di botte, lo rapinano e lo lasciano moribondo; in
quelle condizioni la morte è sicura. Ed ecco, arriva un sacerdote che scendeva per
quella strada. Il fatto che scendeva, significa che era stato al tempio, era
stato a contatto con il Signore, era pienamente puro. Lo vede e passa
dall’altra parte. Perché? Perché la Legge dice che tu, sacerdote, non poi
avvicinare un ferito, perché se per caso anche una sola goccia di sangue ti
sporca le mani tu sei impuro. Qui c'è un sacerdote che è stato una settimana in
servizio a Gerusalemme, ha fatto tutte le abluzioni, le purificazioni, è puro.
E lui si trova di fronte al dilemma: cosa debbo fare? E’ più importante
osservare la legge di Dio, o il precetto dell'amore del prossimo? E decide che è più importante il precetto dell'amore di
Dio. Il prossimo lo ricorderò nelle preghiere, come fanno certe persone pie e
religiose quando chiedete loro un favore, in qualsiasi situazione difficile vi
troviate, queste sono quelle che vi dicono: vi ricorderò nelle preghiere, con
il risultato che tu stai peggio di prima.
Onorando l'uomo si onora Dio, spesso onorando
Dio, si disonora l'uomo.
“…Via, lontano da me,
maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli,…”
Qui occorre fare attenzione, perché veniamo
da tradizioni che, allontanatesi dal Vangelo, hanno distorto i significati
delle frasi del vangelo(12).
Se voi buttate qualcosa nel fuoco questa cosa
si distrugge, il fuoco la consuma tutta. Il fuoco nella Bibbia è il simbolo
della distruzione totale; se poi questo fuoco arde per sempre, è un fuoco che
distrugge tutto.
Il fuoco perenne nel quale vengono gettate
queste persone, non è un castigo a dei viventi, ma è l'inceneritore per persone
che sono già morte. Il fuoco perenne rimanda alla Gheenna: una valle che c'è
ancora a Gerusalemme, è un burrone che veniva usato come inceneritore, come
discarica di rifiuti.
Gesù più volte ammonisce: se non cambiate la
vita, guardate che finite là, cioè quando morite, andate nell'immondizia,
nell'inceneritore, nella distruzione totale. Quindi il fuoco perenne significa
l'annientamento totale, la distruzione totale.
Secondo la tradizione ebraica i malvagi
finivano in questo immondezzaio per 12 mesi e poi venivano completamente
distrutti, completamente annientati.
Il fuoco perenne, preparato per il diavolo e
per i suoi inviati, per i suoi messaggeri: è l'ultima volta che appare il
diavolo nel vangelo di Matteo, per la sua definitiva sconfitta; il diavolo è
stato definitivamente sconfitto da Gesù. Qui il diavolo va a finire nel fuoco
perenne cioè nella distruzione totale. Non c'è più posto per il diavolo nella
vita, nel mondo dei credenti in Gesù. Tutti gli evangelisti hanno questa
immagine.
Qui Matteo, con un’immagine ancora più
radicale, dice che il diavolo viene cacciato nel fuoco perenne, che, ripeto,
non indica un supplizio ultraterreno, ma l'annientamento totale.
L’annientamento totale è quello che nel NT si
chiama la morte seconda (Ap 21,8). Vediamo
cos’è questa morte seconda: gli evangelisti per indicare la vita adoperano due
termini greci: uno è bios, (adoperiamo
tutti la parola biologo); bios
significa una vita che ha un inizio, ha un massimo sviluppo, poi comincia il
suo declino fino alla fine. L'altro termine che adoperano i evangelisti per
indicare vita è zoe; questo termine da
qualche decennio sappiamo che indica la vita intellettiva, di relazione, una
vita prossima a quella divina che ha un inizio, ma non ha una fine.
Nell'esistenza di noi tutti c'è una crescita armoniosa della parte biologica e
della parte divina in noi fino al massimo sviluppo; poi, purtroppo, incomincia
nella nostra esistenza l'inevitabile lento declino che ci porta al
disfacimento. Ci dispiace a tutti, cerchiamo di tenerci in forma ma è
inevitabile per quanti lifting possiamo fare, fa parte della sfera biologica
che dopo il massimo sviluppo, va fino alla distruzione.
Nel momento in cui comincia a declinare,
l'altra vita, quella divina, continua a crescere. Paolo ha una bellissima
espressione in una delle sue lettere dice: “anche
se il nostro corpo esteriore si fa disfacendo quello interiore si rinvigorisce
di giorno in giorno” (2Cor 4,16).
C'è una prima morte alla quale tutti andremo
incontro, è la morte biologica ma noi, ci assicura Gesù, non ce ne accorgeremo,
continuere a vivere in Dio. Il rischio è, che quando arriva la morte biologica,
trova un corpo svuotato dell'altra vita. Non c'è la zoe, la vita divina. Questa
è la morte definitiva della persona, è l'annientamento totale della persona,
era un progetto di vita che è stato abortito.
Vediamo come si è espresso Gesù. “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o
assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”
Notate come queste persone sono rudi. Queste
persone spicce riassumono tutto: quando ti abbiamo visto affamato, assettato,
nudo, ammalato o in carcere - e attenzione alla spia - e non ti abbiamo
servito? Ecco quale è stato il motivo: loro hanno servito il loro dio e, se
avessero visto Gesù, lo avrebbero servito. Avrebbero fatto un servizio inutile,
perché Gesù ha detto: “…io non sono venuto per essere servito ma per servire…”
(Mt 20,28).
Noi non dobbiamo servire Gesù, non dobbiamo
servire Dio, ma come Dio e come Gesù dobbiamo metterci a servizio degli altri.
Questi hanno servito un dio, ma non hanno servito i fratelli; tutti presi dalle
cose divine si sono dimenticati delle cose umane. Ecco la denuncia che fa
l'evangelista.
Ma
egli risponderà: "In verità io vi
dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non
l'avete fatto a me». E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti
invece alla vita eterna».
Il contrario di quello che Gesù aveva detto
ai giusti È l'unica volta che nel Vangelo di Matteo appare il termine “punizione(13)” che, in
greco, deriva dal verbo “mutilare‟. Non è una punizione ultraterrena: non vuol
dire: adesso siete morti, adesso vi aspetta un'eternità di punizione. E’ invece
il fallimento totale dell'esistenza, hanno mutilato la loro vita, chi non vive
amando gli altri mutila la propria vita, rinuncia alla propria vita; se quelli
che hanno amato gli altri hanno come effetto una vita eterna, una vita per
sempre, gli altri sprofondano nella morte per sempre, per cui Gesù qui non sta
parlando di un castigo dopo la morte, ma la constatazione tragica, tremenda del
fallimento dell'esistenza.
Quando è arrivata la morte biologica non ha
trovato niente, è la mutilazione, era un progetto di vita che invece si è
mutilato completamente. E’ quella che, come abbiamo visto, si chiama la morte
seconda(14): se ne andranno questi alla punizione eterna, ma i giusti
alla vita eterna. Per Gesù il giusto non è colui che è fedele alla legge, ma è
fedele all’uomo, al bene dell’uomo. Questi sono i giusti del vangelo: questi se
ne andranno alla vita eterna; vita eterna significa una vita indistruttibile
che continua per sempre.
Detto questo, una sottolineatura. Questo
messaggio non è per la comunità cristiana. Questo messaggio è per quelli che
non hanno conosciuto il Signore, per quanti non ne hanno mai sentito parlare.
Per questi Gesù usa questa parabola.
Ma per i credenti la vita eterna non comincia
dopo la morte; per i credenti che hanno accolto Gesù, e con lui e come lui
hanno orientato la propria vita al servizio degli altri, la vita eterna
incomincia qui in questa esistenza.
Mai Gesù, quando parla ai suoi discepoli,
parla di vita eterna usando verbi al futuro. Non dice: credi e avrai la vita eterna, ama e avrai la vita eterna, ma chi crede ha la vita eterna, chi ama ha già la vita eterna.
Gesù dice: se oggi decidete di orientare la
vostra vita per il bene degli altri, già oggi stesso, in voi sgorga una nuova
vita che assomiglia a quella di Dio, è divina, una vita che vi permetterà
quando incontrerete il momento della morte, di superarla e di vivere per
sempre.
Questo fa comprendere perchè il messaggio di
Gesù si chiama la buona notizia.
Note: 1.
Questo tipo di distinzione non è presente negli altri tre vangeli canonici (e,
per quanto io abbia potuto verificare, nemmeno negli apocrifi) ed è quindi una
caratteristica specifica del pensiero della comunità giudeo-cristiana di
Matteo. – 2. Questa spiegazione è liberamente tratta dalla conferenza “Avevo
fame e non mi avete dato da mangiare” tenuta da P. Alberto Maggi a Cefalù nel
2007. – 3. Onde evitare malintesi,
sottolineo che qui non si parla del ritorno escatologico di Cristo, della parusia. L’idea della
seconda venuta di Cristo non è presente in maniera esplicita nel NT e il
versetto Gv 14,3, che, ad una lettura
superficiale, sembra annunziarla, può più propriamente essere inteso in modo
simbolico. Solo con l’interpretazione molto personale di Giustino si inizia a
parlare di “ritorno” di Cristo.
Giustino martire (Flavia Neapolis, 100 – Roma 162) è stato un filosofo
palestinese fortemente influenzato dalla filosofia greca e platonica in
particolare. Flavia Neapolis, la sua città natale, era il nome romano
dell'attuale Nablus. La Chiesa cattolica lo venera come santo e lo annovera tra
i Padri della Chiesa; i suoi due più famosi scritti Prima Apologia dei
Cristiani e Seconda Apologia dei Cristiani ne fanno uno dei primi
difensori del pensiero cristiano. Viene venerato come santo anche dalla Chiesa
ortodossa. – 4. Perché, come vedremo più
avanti, si trova alla presenza dei gentili. – 5. Pietro
aveva annunciato ai pagani che se si fossero convertiti e battezzati lo Spirito
Santo sarebbe sceso su di essi… e lo Spirito scende sui pagani senza che si
siano convertiti o passati attraverso il rito del battesimo… (At 10,1-33). E Pietro, da questa esperienza sconvolgente,
comprende una profonda e importante verità di fede: “Dio mi ha insegnato che
non c'è neanche un uomo che possa essere considerato impuro”(At 10,28b). – 6. L’insieme degli eletti, in greco, è espresso da una parola che in
italiano suona “il clero”. – 7. La parola è maschile, non femminile come la
traduzione CEI. Probabilmente il traduttore non conosce il mondo della
pastorizia, né si è informato prima di tradurre. – 8. Nel testo CEI il vocabolo
è stato tradotto con “cattivi” sottintendendo una connotazione morale. La
traduzione corretta è “marci”. – 9. Si ricorda che l’episodio di Lazzaro in
Luca fa riferimento alla concezione farisaica della retribuzione post-mortem,
con un periodo di 12 mesi di sofferenze diversificate in trimestri (fuoco,
gelo, prurito e insetti) seguite dalla distruzione totale della persona e dalla
scomparsa anche nel ricordo dei vivi. Al contrario il giusto proseguiva la sua
vita nel “seno di Abramo”. – 10. Purtroppo, e questo lo dico con profonda
tristezza, i precetti costruiti lungo tutti i secoli dalla teologia cattolica
risultano conformi a questa visione. La conversione a Cristo della Chiesa
cattolica è la grande speranza del mondo. – 11. Gesù ha sempre condannato
questo comportamento; per esempio nel passo Mc 3,1-6, che, per essere
correttamente inteso, richiede la conoscenza che nel centro delle sinagoghe era
presente un palo o treppiede con appesi i rotoli della Legge. – 12. Gli
studiosi (storici delle religioni e sociologi) danno una spiegazione
“strategica” della costruzione teologica dell’Inferno. Dopo l’Editto di
Costantino (313 d.C.) si ha una liberalizzazione delle attività di pensiero e
di culto del cristianesimo. Però nelle regioni rurali, ove risiede una quantità
enorme della popolazione imperiale, l’attaccamento ai culti pagani risulta
tenace. Per scalzare la resistenza del paganesimo, (religione mondana aperta,
per via delle influenze orientali, ai riti orgiastici), occorre aprire la
mentalità popolare sull’orizzonte dell’aldilà. E’ così che dal IV al VI secolo
la concezione cristiana dell’aldilà assume una forma suggestiva e, nello stesso
tempo, terrificante. La suggestione è legata al paradiso, che, presentato alle
persone colte come un luogo risplendente di fulgida luce e della visione
beatifica di Dio, diventa per il popolo una regione sublime, dove l’aria è
infinitamente dolce e la primavera eterna. Ma il fascino del paradiso non
basta. Per scongiurare la tendenza dell’uomo al peccato, occorre definire in
termini più incisivi e drammatici il destino che spetta a coloro che muoiono
peccatori. E’ in questo periodo che si definisce la teologia dell’inferno,
universo materiale ed eterno le cui componenti essenziali sono il verme e il
fuoco. La tradizione cristiana,
destinata a crescere nel corso del tempo, costruisce un enorme edificio
infernale su fragili basi scritturistiche, quasi inesistenti, e che diventa
un’arma pastorale di grande rilievo. Complementarmente alla teologia
dell’inferno, cresce anche e si diffonde la teologia del demonio. Maestro di
nequizie, il demonio diventa l’avversario dell’uomo, la causa e l’origine di
ogni suo male e della sua perdizione. La teologia demonologica identifica negli
dei pagani i rappresentanti del demonio. Sono essi, impotenti a dare la
felicità, a tentare l’uomo per mantenerlo nell’idolatria, il peggiore peccato
contro l’unico Dio. E’ questa l’arma terrificante che, lentamente, incide sulla
mentalità popolare e la rende cristiana. E’ il terrore, insomma, e non l’amore
di Dio che estirpa le radici del paganesimo. La maggiore arma pubblicitaria
dell’inferno e del purgatorio (che iniziava il suo percorso pastorale in quegli
anni e che lo culminerà nel Concilio di Trento) sarà Dante Alighieri con la Divina Commedia, anche se il poeta la
scrisse come simbolo della vita dell’uomo, carnale all’inizio, dubitante
nell’età di mezzo, adorante in quella matura. – 13. La traduzione con la parola “supplizio” non è corretta, ma è stata fatta per seguire la
tradizione. – 14. Anche al di fuori del NT si parla di
morte seconda, infatti S. Francesco, nel suo Cantico delle creature, scrive:
“Laudato si' mi Signore, per sora
nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po' skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.”
da la quale nullu homo vivente po' skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.”
L’ultimo
versetto è poi andato in disuso perché era in contrasto con la teologia
tommasea che si andava affermando in quel periodo.