Contenuti del blog

Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


sabato 29 gennaio 2011

Domenica 13 febbraio 2011 – VI domenica Tempo Ordinario – Mt 5, 17-37
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: «Stupido», dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: «Pazzo», sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo! Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. Fu pure detto: «Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto del ripudio». Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all'adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio. Avete anche inteso che fu detto agli antichi: «Non giurerai il falso, ma adempirai verso ilSignore i tuoi giuramenti». Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: «Sì, sì», «No, no»; il di più viene dal Maligno. Quando dico che Gesù ha sempre combattuto contro i mali della Legge e dell’autorità sacerdotale, vi è sempre qualcuno che dice: ma non è Gesù che ha detto “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento…” ? Nel Vangelo di Matteo, subito dopo avere proclamato le beatitudini, Gesù afferma “non pensate che io sia venuto per… a questo punto Gesù non dice abolire, il verbo utilizzato è diverso(1). Il verbo greco adoperato dall’evangelista, non significa, “abolire una legge”, ma “demolire” e si riferisce alla demolizione di una costruzione. Questo verbo è la chiave per comprendere le parole di Gesù. Facciamo un passo indietro: Gesù ha annunziato il suo programma, le beatitudini, ed ha provocato la delusione totale degli ascoltatori. Questi si ricordavano(2) la terza parte del libro del profeta Isaia, dove l’autore, in un clima di esaltazione, descrive il regno di Dio, e dice: Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore.(Is 60,6) Stranieri ricostruiranno le tue mura, i loro re saranno al tuo servizio (Is 60,10) I re saranno i tuoi tutori, le loro principesse tue nutrici (Is 49,23). Per chi ascoltava, quindi, il regno di Dio era rappresentato da Israele che sottometterà i popoli pagani e riscuoterà i loro tributi! Pensavano che, nel regno di Dio, le principesse e i principi pagani sarebbero divenuti i loro servi! Il Talmud, che è un testo che ha la pretesa di essere preciso, definisce che il numero degli schiavi per ebreo sarebbero stati 2480. Quindi, quando Gesù dice: per il regno di Dio fatevi poveri, la gente non capisce; la risposta di Gesù li delude, poiché dice: abbassate un po’ la vostra condizione economica, mettete a disposizione le vostre ricchezze per gli altri, così da far rialzare chi si trova troppo in basso; è una delusione totale! Di fronte a questa delusione, ecco che Gesù dice: No, non pensate che io sia venuto a distruggere, a demolire, la legge e i profeti(3), cioè la promessa del regno di Dio. Io non sono venuto a demolirla, anzi la porto a compimento, dove neanche una piccolezza verrà eliminata. Però non sarà come voi pensate, non si realizzerà dominando, ma servendo gli altri! Il regno di Dio, non si instaura con il dominio, ma con il servizio. Il regno di Dio non si manifesta attraverso la ricchezza, ma attraverso la condivisione. Gesù, quindi, in questa espressione, non afferma che è venuto ad osservare la legge e nemmeno a consolidarla. La legge, che è un sistema che regola il rapporto tra Dio e l’uomo, per Gesù, non ha più nessun valore(4). Invece, Gesù afferma che porta a pieno compimento la promessa di Dio contenuta nell’AT. "…Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi,…”. Padre Galliano in una conferenza affermava(5): “…minimo, nell’ebraismo, vuol dire esclusione, grande vuol dire ingresso. I "precetti", i "comandamenti" di questo brano sono le beatitudini. Se tu osservi le beatitudini ed insegni agli altri ad osservarle, entrerai nel regno di Dio; se tu non osservi le beatitudini ed insegni agli altri a non osservarle con il tuo comportamento, perché molti prendono esempio da noi, potrai dire tutte le preghiere, potrai fare tutte le adorazioni, potrai partecipare a tutte le Messe che vorrai ma non entrerai nel regno dei cieli. Questo è quanto ha detto Gesù. Lo vediamo alla fine del Vangelo di Matteo: ero affamato, ero ammalato, ero assetato, ero forestiero, ero nudo, ero carcerato, è lì che si gioca la nostra vita eterna. Questo è il programma per tutti. Mentre all’interno della comunità c’è il servizio, all’esterno c’è il vivere le Beatitudini. Questa è la strada per essere felici ed entrare nel Regno di Dio…”. Per farsi comprendere, Gesù riprende i comandamenti di Mosè, li esamina e li interpreta alla luce delle beatitudini portandoli alle estreme conseguenze(6). E lo fa riaffermando la sua superiorità nei confronti di Mosè: “Avete inteso che fu detto [da Mosè]… ma io vi dico…”; per Gesù la nuova legge, la vera legge sono le beatitudini nelle quali l’uomo si assume la responsabilità del benessere delle persone che lo circondano, delle nazioni, dell’umanità nel suo insieme. Così il cristiano non si accontenterà di rispettare il comandamento “Non uccidere”, ma lo amplierà fino a cancellare ogni aggressione morale nei confronti del fratello: i termini usati (testa vuota, stupido7 e pazzo8) sono assunti come esempio di questa ira che umilia ed uccide moralmente. Un uomo che si comporta in questo modo, che offende ed umilia il proprio fratello, non è degno di essere annoverato tra gli uomini, è una persona di nessun valore, un rifiuto della comunità e il suo destino è l’emarginazione e questo è espresso con una locuzione che deve essere spiegata. «Gheenna» è una parola ebraica che si ottiene contraendo due parole Ghe = valle, Hinnon = un nome proprio, cioè la valle di Hinnon. Chi va a Gerusalemme può ancora vedere la Gheenna: a sud della città c’è un burrone orrido, profondo, con molte caverne che, all’epoca dell’AT, era destinato al culto del dio Moloch. Moloch era un dio di origine fenicia che assicurava i buoni risultati alle imprese ed alle grandi azioni dell’uomo, purché questi, in cambio, avesse bruciato vivo un figlio, possibilmente maschio e primogenito(9). In questa valle c’erano dei forni crematori, ancora oggi in parte visibili, dove venivano sacrificati i bambini. I bambini, a quel tempo, non godevano della attenzione che c’è nella nostra cultura(10), quindi era una consuetudine abbastanza normale, che quando un uomo doveva concludere un affare importante, doveva intraprendere una impresa, doveva iniziare un viaggio all’estero, prendeva uno di questi bambini, andava nella valle e lo gettava nel forno crematorio offrendolo al dio Moloch(11). I sacerdoti ed i profeti, naturalmente, erano contro questo culto. Ci fu un re, Giosia(12), come si legge nel Secondo Libro dei Re, che profanò il «tofet», (tofet significa forno crematorio), perché nessuno vi facesse passare per il fuoco il proprio figlio o la propria figlia in onore a Moloch. Per mettere fine a questo culto, verso il tempo di Gesù, si provvide a far divenire questo luogo l’immondezzaio di Gerusalemme e quindi si incominciò a gettare i rifiuti della città in questo burrone. In questo modo, per la presenza dei rifiuti, il luogo era diventato impuro, e piano piano il culto al dio Moloch smise di essere praticato. All’epoca di Gesù la Gheenna era l’immondezzaio di Gerusalemme. Gerusalemme era una città di circa 40.000 abitanti, abbastanza popolosa per quell’epoca, che durante le principali tre feste annuali triplicava i suoi abitanti e i rifiuti di centomila abitanti sono abbastanza consistenti; attraverso una porta che ancora esiste ed è chiamata «porta del letame», i carri portavano le immondizie e le gettavano giù nella valle della Gheenna. In questa valle, luogo maleodorante come tutti gli immondezzai, c’era un fuoco che ardeva giorno e notte, perché bisognava incenerire i rifiuti: ecco il “fuoco inestinguibile”. (Mc 9,43). Ebbene Gesù prende questa immagine della valle come immagine della distruzione totale di un individuo che rifiuta sistematicamente ogni apertura all’amore. Gesù dice: chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna. Gesù usa questa immagine non è per indicare un castigo dopo la morte, ma come segno della distruzione e del fallimento, dell’annientamento dell’individuo. Anche in altre parti del vangelo di Matteo, e di altri evangelisti, Gesù prenderà l’immagine della Gheenna per indicare la distruzione totale di una persona che non accoglie il dono della una vita, il dono dell’amore di Dio. Ma l’insegnamento di Cristo non si ferma qui; punta il dito sull’ipocrisia di chi, pur avendo commesso dei torti nei confronti degli altri, tenta di ingraziarsi i favori della divinità. Il ragionamento di Gesù era abbastanza lontano dalla mentalità del tempo; infatti, secondo gli scribi, il proprio comportamento, se era rispettoso della lettera della legge mosaica, non comprometteva mai i rapporti con Dio. Sarà la parola di Cristo che identificherà l’amore verso gli altri con l’amore verso Dio, mancando il quale la nostra vita perde ogni senso. “Non commettere adulterio”: sempre facendo riferimento ai comandamenti del Decalogo, Gesù coglie in profondità lo spirito del precetto e lo conduce al suo valore radicale: «…chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore». Gesù non è così irrealistico e puritano da bollare irrimediabilmente una reazione primordiale dell’uomo, un’attrazione spontanea, ma, come sottolinea il rimando al "cuore" (che nel linguaggio biblico esprime la "coscienza"), egli punta al "desiderio" nel senso di macchinazione, progettazione, decisione intima e profonda. Infatti, anche se scritto in greco, il vangelo di Matteo è pensato in ebraico. Il verbo desiderare, in ebraico hamad(13), ha un significato diverso dal “desiderare” italiano. Lo spiega bene un biblista tedesco, Johannes Herrmann(14): «Hamad non significa "desiderare" nel senso di un semplice volere o augurarsi, ma include tutte le macchinazioni che portano a impossessarsi di quanto è desiderato». Siamo, quindi, in presenza non di una generica pulsione immediata, ma di un vero e proprio progetto tendente alla conquista di una meta prefissata, siamo davanti a una precisa scelta della volontà e della mente a cui ci si adatta con tutto l’essere personale. Sulla stessa linea delle estremizzazioni semitiche, è la frase che invita a cavarsi l’occhio o a tagliarsi la mano destra(15). Gesù vuole dire che se c’è qualcosa che risulta un freno, un inciampo (questo è il significato della parola “scandalo”) nella strada verso il regno di Dio, deve essere tolto con risolutezza. Più complessa l’interpretazione della frase: “Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto di ripudio…" perché la sua interpretazione richiedere la conoscenza del mondo ebraico del tempo. Già nel Vangelo di Marco, anteriore di venti o trenta anni di quello di Matteo, Gesù istituisce il matrimonio cristiano, che acquista, in contrasto con la Legge, la caratteristica della indissolubilità. Questa indissolubilità è la risposta di Gesù alle dispute in corso in quegli anni sulle motivazioni che rendevano lecito il ripudio. Vi era una scuola rabbinica, guidata dal rabbino Hillel(16), che considerava sufficiente, per ripudiare la moglie, il semplice atto di bruciare il pasto; una seconda scuola, guidata da Shammai(17), era invece favorevole ad una motivazione grave, per esempio l’adulterio. Cristo si inserisce in questa disputa eliminando, come al solito, la Legge di Mosè. La versione redatta da Matteo si presenta meno rigorosa: Matteo scriveva per gli ebrei convertiti al cristianesimo che si sentivano stretti nelle maglie del matrimonio indissolubile e ha creato, lui o uno dei redattori successivi, una spiraglio in caso di adulterio(18). La parola greca, che è stata tradotta con l’italiano “unione illegittima”(19), è “porneia”, per comprendere la quale è utile segnalare che da questa parola deriva la parola italiana pornografia. Non è facile interpretare correttamente questa frase, che potrebbe indicare sia una degenerazione dei rapporti matrimoniali per comportamento indegno di uno dei due coniugi, come uno stato di impurità rituale del rapporto, più vicino quindi all’ebraico “zenut” con il quale si intende un qualcosa di assai simile a “prostituzione”. Di fronte a queste due interpretazioni, la Chiesa Cattolica fa riferimento a Marco e quindi alla stretta indissolubilità del matrimonio. La Chiesa Ortodossa, invece, facendo riferimento a Matteo e alla misericordia divina(20), consente la ripetizione del matrimonio. I Protestanti fanno riferimento a Lutero che, pur affermando l'origine divina del matrimonio, aveva anche sostenuto che esso era stato istituito non in rapporto alla salvezza, bensì legato all'ordine naturale dei rapporti umani e quindi non era un sacramento. Di conseguenza Lutero reinserì il matrimonio nel diritto civile, ammettendo in alcuni casi il divorzio, e giudicò illegittimo tutto ciò che si opponeva all'unione dell'uomo e della donna. “Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare…” Gesù affronta tutti gli aspetti della vita, anche al di fuori del Decalogo: non giurare per non spergiurare. Il valore dell'autorevolezza, il tirare in ballo Dio (o i figli o l'onore) non serve a niente, dice Gesù. Il discepolo è chiamato ad essere trasparente, anche a costo di essere rompiscatole. In un mondo fatto di esteriorità e di apparenza, i discepoli sono chiamati ad essere veri, a mettersi in gioco, a crescere nella luce della presenza di Dio. Questo non significa farsi divorare dagli altri, o manipolare, ma essere corretti, sì, costi quel che costi. In un mondo di furbetti e di opportunisti, i discepoli del Nazareno cercano di dire "sì" quando è "si" e "no" quando è "no", senza ambiguità, senza opportunismi. Viviamo la nostra giornata nella più totale autenticità di sentimenti e di pensieri, sapendo che la nostra dignità di figli di Dio vale più di ogni riconoscimento del mondo, di ogni applauso. Note: 1. Capisco che può sembrare urtante e fastidioso, ma bisogna stare attenti ai verbi o ai termini usati dagli evangelisti, diversamente facciamo dire cose a Gesù, che lui non voleva dire. Talvolta i traduttori, avendo in testa un particolare significato della frase rimasto come ricordo di anni di letture e di tradizioni, tendono inconsapevolmente a tradurre “forzando” i significati delle parole per adattarle al proprio ricordo. Per l’analisi dei termini si rimanda agli eccellenti studi di Spicq C. in Note di Lessicografia Neotestamentaria, (Brescia: Paideia, 1988) e Mateos J., in Diccionario Griego-Español del Nuevo Testamento, (El Almendro: Cordoba, 2000) – 2. Era normale che moltissimi isrealiti dell’epoca di Gesù conoscessero a memoria gran parte del Pentateuco e i libri dei Profeti, specialmente le parti che riguardavano la venuta del Messia. – 3. La dicitura “Legge e Profeti” (e non “Legge o Profeti” come è non correttamente tradotto) nel pensiero degli scribi e nel sentimento comune del popolo significava l’Alleanza, quindi la promessa di Dio nei confronti di Israele. – 4. Paolo affermerà: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge”- Gal 3, 13. – 5. Padre Giuseppe Galliano, Settimana di spiritualità, Lozio (Bs), Casa della sapienza 10-16 agosto 2003. E’ laureato in Filosofia e Teologia presso l’Università Pontificia Urbaniana (Propaganda Fide) e è stato licenziato in Teologia Spirituale presso il Teresianum di Roma. – 6. Il portare alle estreme conseguenze un’affermazione era un modo tutto semitico di dare la massima importanza ad una affermazione. Questo ha sempre creato dei problemi se si legge la Bibbia in modo letterale. Ad esempio l’affermazione di Gesù: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo”(Lc 14,26, traduz. CEI 1974) intesa in senso letterale sarebbe terrificante, ma compresa nel suo senso semitico vuole solo invitare i discepoli a mettere il regno di Dio al primo posto nei loro pensieri. Tutte le affermazioni di Gesù contenute in questo brano devono essere lette in questo modo. – 7. Il greco raka (stupido) probabilmente è la trascrizione dell’aramaico reqa (insensato, senza cervello). – 8. Il termine greco moros (pazzo) aveva per gli ebrei un significato molto grave, perché poteva indicare una ribellione verso Dio. Inoltre, se l’accusa di pazzia veniva confermata, il malato di mente veniva escluso dall’accampamento con probabilità di morire molto elevata. – 9. “…li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti…” (Mt 13,42). – 10. A quel tempo la mortalità infantile era elevatissima, e quindi la vita di un bambino non valeva niente. Il Talmud dice: «è più importante l’unghia del padre che lo stomaco del figlio». – 11. "Hanno edificato alture a Baal per bruciare nel fuoco i loro figli come olocausti a Baal. Questo io non ho comandato, non ne ho mai parlato, non mi è mai venuto in mente. Perciò, ecco, verranno giorni - dice il Signore - nei quali questo luogo non si chiamerà più Tofet e valle di Ben-Hinnòn, ma piuttosto valle della Strage" (Ger 19,5-6). – 12. Giosia (648 a.C.– 609 a.C.) è stato il diciassettesimo re di Giuda e un importante riformatore religioso. – 13. Questo è anche il verbo utilizzato nella stesura dei dieci Comandamenti: “Non desiderare la casa del tuo prossimo, non desiderare la donna del tuo prossimo…(Es 20,17). – 14. Da Famiglia Cristiana, n.15 del 11.4.2004. - 15. Questa indicazione relativa alla mano destra, nella mentalità semitica, assume una valenza nettamente superiore a quella che riveste nella mentalità occidentale. Infatti la mano sinistra era riservata a tutte le operazioni ritenute inpure, la destra per quelle pure. Questo concetto si è trascinato anche in occidente: io, che sono mancino, da piccolo ho profondamente sofferto perché mi si vietava di usare la mano sinistra, cosa per me naturale, in quanto “mano del diavolo”! – 16. Hillel (circa I sec. a.C. – circa I sec. d.C.) fu un rabino ebreo, primo dei tannaim, i Maestri della Mishnah, che visse a Gerusalemme al tempo di Erode il Grande. – 17. Shammai (circa 50 a.C. – circa 30 d.C.) fu rabino della Mishnah, Tannà, ed Av Beit Din cioè vice nel Sinedrio. – 18. Anche Paolo sembra essere dello stesso parere di Matteo, anche se per cause diverse: vedere 1Cor 7,15. – 19. Mi dispiace doverlo dire, ma questa traduzione non è assolutamente giustificata dal testo greco, (come pure l’uso della parola “concubinato” presente nella precedente traduzione del 1974) ed è evidentemente realizzata solo per evitare dubbi al lettore sulla indissolubilità del matrimonio sancita dal Diritto Canonico. Sono questi grossolani errori decisionali che fanno sentire il credente un suddito e lo allontanano dalla Chiesa. – 20. E' tollerato un nuovo matrimonio dopo il divorzio dal momento che si ritiene possibile che il sacramento del matrimonio, ricevuto la prima volta, non sia stato accolto con quella piena consapevolezza e responsabilità che lo rende pienamente effettivo. Per tale motivo viene concessa una seconda possibilità.
Domenica 6 febbraio 2011 – V domenica Tempo Ordinario – Mt 5, 13-16
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli. Gesù è sul monte dove, da pochi minuti, ha finito di proclamare le beatitudini, la nuova legge del cristiano che ha superato e fatto perdere di importanza il decalogo di Mosè. La legge di Mosè era negativa(1), segnava dei divieti, considerava l’uomo un essere senza volontà e senza capacità di autogestione. La nuova legge di Gesù è tutta in positivo, non vieta niente, non dice all’uomo “non fare”, non impone niente, ma dice “ama e sarai felice, sarai beato”. L’uomo, con Gesù, passa dalla condizione di suddito, di schiavo, di oppresso dai divieti della legge, alla condizione di uomo libero, alla dignità di uomo, alla gioia di essere figlio di Dio. Con le beatitudini Cristo ci ha liberati dal peccato, che è, come dice Paolo, il primo frutto della legge mosaica (Rm 3,20; 1Cor 15,56). L’uomo, tornato a riprendere tutta la sua dignità, non può che fare partecipe della sua gioia ogni fratello che incontra; diviene così il sale che dà sapore alla vita resa triste dalla legge, la luce che illumina la casa, una luce che non deve essere nascosta(2), come non si può nascondere una città posta su un monte. Il cristiano, se abbraccia e mette in pratica le beatitudini, rende migliore il mondo intorno a lui, lo rende “saporito”. Non è facile mettere in pratica le beatitudini: la gente, oggi, non si lascia facilmente aiutare e chi ha operato nella caritas lo sa. Da una parte si vergogna di chiedere e nel donare occorre rispettare questo desiderio di dignità. Dall’altra ha timore di essere imbrogliata, tanto incomprensibile è diventato l’atto di amore del dono e del sostegno. A tutto questo si aggiungono i profittatori, coloro che chiedono non avendone bisogno. Il Concilio Vaticano II ha detto che i laici “sono soprattutto chiamati a rendere presente e operosa la chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze, in cui essa non può diventare sale della terra se non per mezzo loro”(3). Gesù, dicendo che i suoi discepoli sono “il sale della terra e la luce del mondo” assegna a tutti una grande dignità, ma anche una grande responsabilità. Lo dice a tutta la chiesa “segno levato sulle nazioni, sacramento, segno e strumento dell’intima unione con Dio e di unità di tutto il genere umano”(4). Quale grande fiducia ha in noi il Signore. Se io guardo la mia vita mi accorgo che ci sono più domande che risposte, più ombre che luci, più debolezze che sicurezze… come faccio ad essere luce e gusto della vita per gli altri? E’ vero che di mio c’è molto poco: ma se credo a Gesù io sono il figlio che può dialogare con Dio suo Padre, io sono fatto a immagine e somiglianza di Dio, io posso rappresentare il volto di Cristo sulla terra. Allora non posso nascondere la sua luce, non chiudo in dispensa a doppia mandata il suo sale che può dar gusto alla vita di tante persone. Il cristiano non porta se stesso, quando lo fa porta solo le proprie miserie, ma è chiamato a portare Gesù. Ci riuscirò allora nella misura in cui io scompaio per lasciargli il posto in me. Io ho difficoltà al perdono, ma Dio perdona me e tutti i miei fratelli. Io ho difficoltà ad amare certe persone, ma Dio ama tutti e ciascuno in modo particolare. Io ho difficoltà ad annunciare il Vangelo, ma se lo lascio parlare, Gesù riesce ad arrivare ad ogni cuore magari servendosi anche delle mie povertà e dei miei errori. Non perdiamoci d’animo: nonostante le nostre debolezze, ogni sforzo di amore non va perduto ma a suo tempo produce il frutto desiderato da Dio per il nostro bene e per quello dei fratelli. Note: 1. La forma negativa del decalogo suona male ai nostri orecchi, ma per la mentalità di allora suonava più o meno come la nostra dichiarazione dei diritti dell’uomo e questo è dimostrato dall’assenza dell’indicazione di castighi in corrispondenza di ogni divieto che invece è presente nel codice di Hammurabi (XVIII secolo a.C.) e nelle sue versioni successive. Se il decalogo fosse scritto ai nostri giorni si parlerebbe di diritto alla vita, alla proprietà, all’onore, all’assistenza degli anziani ed alla libertà di culto. Solo con il Deuteronomio (VII secolo a.C.) la legge mosaica diventa legge con effetti giuridici e si ripartisce in un rivolo di casi che comprendono tutti gli atti della vita di un uomo. - 2. Nell’antichità il moggio era un mobiletto a tre o quattro piedi. Nasconderla voleva dire metterla sotto: tutti sanno che c’è, ne individuano il chiarore, ma non serve più ad illuminare. – 3. Lumen Gantium n. 33 – 4. Lumen Gentium n. 1.

Avviso

Nelle prossime due settimane saro' in Arizona da dove avro' difficolta' di collegamento. Per questo anticipo i commenti domenicali delle due domeniche successive alla prossima. A risentirci in Italia.

lunedì 24 gennaio 2011

Domenica 30 gennaio 2011 – IV domenica Tempo Ordinario – Mt 5,1-12a
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Fare l’esegesi di questo brano richiederebbe la scrittura di un libro, tanto numerosi sono i concetti e le sorprese nascoste in queste poche frasi. Qui c’è tutto il cristianesimo, quello vero, libero da dogmi e norme di diritto che lo hanno snaturato nello sviluppo lungo i secoli. Questa è davvero la voce di Dio. Per contenere lo scritto in poche pagine, esaminiamo la prima beatitudine; tenete presente che le altre beatitudini sono sostanzialmente sviluppi e ampliamenti della prima.
Gesù salì su il monte e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli". Questo monte è fondamentale, perché è la condizione per poter sperimentare Gesù resuscitato. Gli evangelisti non adoperano nemmeno una parola a caso: in questo passo anziché scrivere il termine "popolo", che in bocca agli ebrei ha il significato di "popolo eletto", l'evangelista scrive le "folle", che è un termine che riguarda tutti, sia il popolo di Israele, sia i pagani. Matteo è ebreo, ma ha una capacità non comune di guardare al di là del muro di casa in contrasto con quella che era la culrura prevalente della sua epoca.
Per Gesù non esiste più un popolo eletto da Dio, perché ogni preminenza di un popolo fa scaturire un desiderio di dominio, di supremazia, di razzismo e di violenza. Niente è più nefasto di quando un popolo si considera eletto, superiore agli altri e investito di una missione particolare, perché da questo scaturisce sempre la violenza.
"Vedendo le folle, Gesù salì sul monte". In queste righe può sembrare che Gesù, vedendo le folle, se ne voglia allontanare salendo sul monte, ma non è così. L'unica altra volta che viene usata questa espressione "vedendo le folle" è nel capitolo 9 di Matteo, quando l'evangelista scrive: "Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore"(Mt 9,36).
La salita di Gesù sul monte è anch'essa espressione di questa compassione per il popolo, dal quale Gesù non si allontana, ma a cui si rivolge invitandolo ad entrare nel regno di Dio, abbandonando definitivamente la condizione di pecore perdute(1) per entrare nella condizione dei beati(2). Scrive l'evangelista: "salì sul monte". Questa espressione non intende una località geografica, ma allude a due monti principali nella storia di Israele: il monte Sinai, dove Dio diede a Mosè le sue leggi (Es 31,18), per cui l’evangelista invita a pensare che il monte delle beatitudini sostituisca d’ora in poi il monte Sinai, ed il monte Sion, il luogo dove risiedeva il tempio e la gloria di Dio. Il Dio di Gesù non si manifesta più in un tempio, ma attraverso la messa in pratica delle beatitudini da parte nostra.
"Prendendo allora la parola, insegnava loro dicendo: Beati i poveri in spirito, perché di questi è il regno dei cieli". Questa è la prima delle beatitudini ed è la più importante, perché poi tutte le altre beatitudini sono la conseguenza della prima. C'è, purtroppo, la convinzione che Gesù abbia detto "Beati i poveri"! Gesù non ha mai detto che i poveri sono beati; i poveri sono disgraziati ed è compito della comunità dei credenti toglierli dalla condizione di povertà. Le religioni sono state definite oppio dei popoli, ed in particolare questa accusa è stata rivolta al cattolicesimo, spesso con ragione. L'oppio è una sostanza che addormenta e rende inattiva la gente: in passato, per ignoranza e, purtroppo, anche per interesse, ai poveri è stato fatto questo insegnamento: siete i prediletti dei Signore, siete i preferiti del Signore, il Signore vi considera beati, perché andrete in paradiso, per cui state tranquilli e contenti nel vostro stato. Gesù, nel Vangelo di Matteo, dice "beati i poveri in spirito"; solo nel Vangelo di Luca, che ha anch'esso le beatitudini, Gesù dice "beati voi poveri", ma in quel caso si rivolge unicamente ai discepoli che già hanno abbandonato tutto e, da poveri, lo hanno seguito. Qui è importante comprendere cosa significa "in spirito". Al termine "in spirito" si possono dare tre significati. Il primo, "poveri di spirito" intendendo le persone che hanno dei problemi mentali o delle difficoltà di relazione oppure di apprendimento; sinceramente è molto difficile che Gesù abbia beatificato questa categoria, specialmente in questo discorso che assume il significato del nuovo decalogo; sicuramente le persone in difficoltà non vanno emarginate, anzi sarà compito della comunità cristiana soccorrerle e confortarle, ma è un significato così riduttivo, che non può essere stata questa l’intenzione di Gesù. Può poi significare "poveri nello spirito" e questa, naturalmente, è stata l'interpretazione che ha avuto più successo negli anni passati. Sono coloro che pur possedendo tante ricchezze ne sono spiritualmente distaccati. A convalida di questa interpretazione, non potendo prendere nessun esempio di un ricco buono nel Nuovo Testamento, si è dovuti andar in cerca di modelli nell'Antico Testamento, come Abramo, Giobbe o Salomone. Ma dal contesto del Vangelo di Matteo e del discorso della montagna si vedrà che non si può essere "poveri nello spirito" senza essere materialmente poveri. Gesù non si accontenta di chiedere al ricco, invitato a seguirlo, un distacco spirituale dalle sue ricchezze, ma dice "va’, vendi quello che possiedi e dallo ai poveri"(Mt 19,21) e continua: "difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago(3), che un ricco entri nel regno dei cieli"(Mt 19,23-24). Ci sono soltanto due uomini ricchi nei Vangeli: uno è Giuseppe di Arimatea, che essendo considerato "discepolo di Gesù"(Mt 27,57) deve aver certamente lasciato i suoi beni, perché Gesù ha detto "chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo"(Lc 14,33) e l'altro è Zaccheo. Zaccheo è descritto, nel Vangelo di Luca (Lc 19,1-10), come "piccolo di statura". Anche in questo caso l'evangelista non è andato con il metro a misurarne l'altezza, ma ci vuol dire che Zaccheo, poiché è ricco, non è all'altezza di vedere Gesù. Il ricco vive ad un livello tale che non è quello degli "alti", ma per l'evangelista è quello dei "bassi" che non possono vedere Gesù. Zaccheo vedrà Gesù quando deciderà di sbarazzarsi delle sue ricchezze e di restituire quattro volte tanto a quanti aveva imbrogliato. Perciò l'unica interpretazione possibile è "poveri per lo spirito". Per Gesù il metro per valutare la grandezza della persona sta nella sua generosità. Se la persona è generosa, vale ed è splendida; se la persona non è generosa, può essere la più pia, la più devota di questo mondo, recitare tutte le preghiere del mondo, ma agli occhi di Gesù non vale niente. Per questo Gesù invita tutti i credenti a fare un passaggio dalla categoria di "ricchi" alla categoria di "signori". Nei Vangeli c'è differenza tra questi due termini. Il ricco è colui che ha, il signore è colui che dà. Questo è il passaggio che Gesù ci vuol portare a fare: da ricchi - coloro che hanno e tengono per sé - diventare signori come lui stesso, ossia persone che danno agli altri quello che hanno. Quindi, non è un invito a una diminuzione dell'individuo, ma a una pienezza dell'individuo e questo va sottolineato, perché c'è quasi paura ad accogliere il messaggio di Gesù, che sembra quasi una trappola che ci voglia togliere qualcosa. No, Gesù non ci vuole togliere qualcosa, ma vuole consentire all'uomo di arrivare alla pienezza, ad essere, come Lui, signore. Per questo, nel discorso della montagna, c'è la prima beatitudine che racchiude e riassume tutto l'insegnamento. Se il cristianesimo, malinteso, è stato denunciato come oppio dei popoli, il messaggio di Gesù, se ben interpretato, è l'adrenalina dei popoli, perché causa una rivoluzione nel comportamento, in quanto ogni credente si impegna ad eliminare le cause della povertà. Diceva un grande dei nostri tempi, il vescovo brasiliano monsignor Edel Camara: "Se io mi occupo dei poveri, subito dicono che sono un santo, ma quando indago sulle cause della loro povertà, mi danno del comunista". Ecco cosa siamo chiamati a fare: naturalmente occuparci dei poveri, ma soprattutto eliminare le cause che provocano la povertà. Diceva uno dei primi Padri della Chiesa, Giustino: "Colui che ama il prossimo deve dunque pregare e darsi da fare perché il suo prossimo abbia le stesse cose che ha lui". Ecco la scelta della povertà! Gesù non ci chiede di spogliarci, non ci chiede di andare ad aggiungerci ai tanti, troppi poveri che già l'umanità produce. Non è questo il messaggio di Gesù; Gesù ci chiede di vestire chi non ha di che vestirsi e, se siamo onesti e coscienti, possiamo ben vestire tante altre persone senza bisogno di andare noi in giro nudi o mendicanti. Quindi, non si tratta di togliere quello che si possiede, ma di consentire che anche gli altri lo possano avere. Questa interpretazione era comune nei primi tempi della Chiesa; poi, per tutte le traversie storiche e politiche che la Chiesa ha avuto, è stata abbandonata, ma i primi Padri della Chiesa hanno compreso benissimo, specialmente quelli di lingua greca, che Gesù non elogiava la povertà, ma invitava a eliminare le cause della povertà. C'è uno dei primi Padri della Chiesa, Clemente da Alessandria, che dice chiaramente: non è detto "beati i poveri", ma "beati coloro che hanno voluto diventare poveri a causa della giustizia". Il termine "povertà", che va spiegato, non significa "miseria", ma disponibilità a condividere generosamente quello che si ha e quello che si è, con chi non ha e con chi non è. Un altro grande Padre della Chiesa, Basilio di Cesarea, scrive: "Questi poveri di spirito non sono diventati poveri per nessun'altra ragione che l'insegnamento del Signore che ha detto va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri". Infine, anche Cromazio d'Aquilea, Padre della Chiesa di lingua latina, lo ha compreso: "Non ogni povertà è beata, perché spesso è conseguenza della necessità; beata dunque la povertà spirituale... di coloro che rinunciano ai beni del mondo ed elargiscono spontaneamente le proprie sostanze". Ecco quindi il significato vero di cosa dice Gesù: coloro che volontariamente, per amore (questo significa per lo spirito), decidono di condividere generosamente quello che hanno, sono beati, perché di questi (e non di altri) si occupa Dio.
Rimane ancora da comprendere la frase “perché di questi è il regno dei cieli". Non conoscendo questa espressione, perché usata unicamente da Matteo (mentre tutti gli altri evangelisti parlano di "regno di Dio"), si era sempre pensato all'aldilà. Per cui la spiegazione che veniva data era: i poveri vanno in paradiso! Ma l'espressione "regno dei cieli" non indica mai l'aldilà. Gli ebrei evitano, tutte le volte che possono, di nominare Dio e di scrivere il nome di Dio, usando dei sostituti, quindi, "regno dei cieli" non significa il regno dell'aldilà, ma è un'espressione ebraica che significa "costoro hanno Dio per re"; cioè, la scelta coraggiosa di condividere quello che si ha e quello che si è con gli altri non porta nessuna conseguenza negativa, perché di questi si occupa Dio, di questi e non di altri. La scelta volontaria della povertà causa immediatamente l'intervento di Dio; non è una scelta per il futuro - "avranno Dio per re" o "di essi sarà il regno dei cieli" -, ma questo avviene nel momento preciso in cui ci impegniamo a condividere generosamente. La generosità è una caratteristica che tutti possono avere, meno i ricchi. Il ricco è tale perché non è generoso: se fosse generoso, non sarebbe ricco. Per tornare ad un'altra bellissima immagine, Basilio, Padre della Chiesa, paragona la ricchezza a un fiume. Il fiume, la ricchezza, è valido soltanto se fluisce e irriga e comunica vita, ma se il fiume si ferma l'acqua stagna e va in putrefazione. Quindi la ricchezza, quando viene trattenuta per sé, produce effetti mortali; quando invece viene elargita produce la vita. A questo punto permettete una piccola parentesi. Quando si parla di intervento di Dio, e io ci credo fermamente, di presenza di Dio, di assistenza da parte di Dio, non significa un Dio Babbo Natale o Fata dai capelli turchini con la bacchetta magica, che risolve le situazioni della vita. La presenza di Dio nella nostra esistenza non toglie le difficoltà a volte tragiche e dolorose che la vita ci presenta, ma ci dà una maniera nuova per viverle e per affrontarle. Questa prima beatitudine corrisponde al primo comandamento della legge di Mosè: "Non avrai altri dèi di fronte a me"(Es 20,3). La divinità che il popolo è tentato di adorare è il dio Mammona, la ricchezza, il profitto. Tutte le altre sette beatitudini sono soltanto una conseguenza di questa prima beatitudine, che potremmo semplificare in questo modo: occupatevi del bene, della felicità e del benessere degli altri, perché così finalmente permetterete al Padre di occuparsi della vostra felicità. E il cambio è vantaggioso.
Note: 1. Cioè coloro che seguono i tanti pastori, o sedicenti pastori, o che si presumono tali. – 2. Cioè coloro che, guardandosi intorno, sanno distinguere i falsi pastori e riconoscono in Gesù l'unico pastore. – 3. La cruna dell’ago era una piccola apertura nelle mura di una città, generalmente a lato di una delle porte, attraverso la quale passavano coloro che volevano entrare in città dopo l’ora di chiusura delle porte. L’apertura, con una larghezza inferiore alla larghezza delle spalle di un uomo, costringeva, per entrare, a procedere di lato ritraendo l’addome, e quindi si era del tutto inermi nei confronti delle guardie poste a difesa della porta. Nell’attraversamento si era impediti da un’eventuale obesità, caratteristica specifica dei ricchi che erano gli unici a potersi permettere di mangiare in abbondanza a quei tempi.