X Domenica del Tempo
Ordinario – Lc 7,11-17
In seguito si recò in
una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande
folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al
sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era
con lei. Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!».
E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse:
«Giovinetto, dico a te, alzati!». Il morto si levò a sedere e incominciò a
parlare. Ed egli lo diede alla madre. Tutti furono presi da timore e
glorificavano Dio dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato
il suo popolo». La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per
tutta la regione.
Questo è un
brano tipicamente lucano, e non ha brani paralleli negli altri due vangeli
sinottici.
Basandoci
sull’analisi letteraria si possono distinguere tre parti: 2 versetti
introduttivi (vv. 11-12), 3 versetti che raccontano l’agire di Gesù (vv. 13-15)
ed infine altri 2 che rendono conto della lode a Dio e del diffondersi della
fama dell’accaduto e della figura di Gesù (vv. 14-17).
“In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano
la strada con lui i discepoli e grande folla”.
Gesù
proviene da Cafarnao dove ha guarito il servo di un centurione(1) e
ha dichiarato che questo il centurione, un pagano, ha dimostrato una fede
superiore a chiunque in Israele. Giunge a Nain(2) in corteo, con i
discepoli ed una grande folla.
“Quando fu vicino alla porta della città,
ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e
molta gente della città era con lei”.
Sembra
di essere sul set di un film: questi due cortei, uno, quello di Gesù, allegro e
festoso per le cose viste poche ore prima a Cafarnao e l’altro mesto, con le
prefiche che piangono, gridano e si stracciano le vesti, ma soprattutto con la
madre disperata che accompagna il figlio al sepolcro. Luca sottolinea che il
morto era figlio unico di madre vedova, quindi la disperazione della madre è
doppia: prima di tutto ha perso il figlio, poi ha perso l’unico sostegno legale
che aveva. Senza il figlio lei è un essere senza diritti, inferiore ad un
animale da soma; non può lavorare per guadagnate tanto da mangiare, non può
possedere alcunchè, nemmeno un letto, una grotta dove dormire. Paolo afferma
che una donna senza marito e senza un figlio maggiorenne(3) è un
animale senza testa (cfr. Ef 5,23).
Verrà abbandonata fuori le mura del villaggio senza acqua alla mercè degli
animali selvatici. Ecco perché: “Vedendola,
il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!»”.
E’ singolare
come Luca non ci dica nulla sui sentimenti delle varie persone. Non sappiamo,
ad esempio, se la madre gema, soffra, anche se l’invito di Gesù (“non piangere”) presuppone molto; non
sappiamo se i presenti si profondano in lamenti, in consolazioni, oppure quali
pensieri agitino le loro menti... Ciò non certo perché se ne scordi, bensì per
il fatto che, lasciando tale vuoto, ottiene l’effetto di dar maggior risalto a
ciò che è più importante: i sentimenti di Gesù. Quindi tale silenzio nella
narrazione è voluto per manifestare la compassione e l’agire del Cristo.
La trama
comincia qui, con il fatto che Gesù vede la scena del corteo funebre e al suo
sguardo segue la parola e l’azione. Il suo è un vedere diverso, uno sguardo che
non resta indifferente di fronte alla miseria, ma si ricolma di compassione. Il
verbo avere compassione, nella cultura ebraica, è un attributo esclusivo di
Dio: solo lui può avere compassione, cioè ridare la vita dove la vita non c’è
più.
Lo sguardo
di Gesù non si rivolge al figlio defunto, ma alla donna: non è la morte che
provoca la sua compassione, ma la madre cha piange. E da ciò capiamo che la
sofferenza della madre è insopportabile.
“E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si
fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!»”.
Gesù poi si
accosta alla bara: e qui accade l’inaudito! In contrasto con la Legge egli
tocca la bara. La Legge vieta di toccare qualunque cosa che sia in contatto con
un cadavere perché ciò renderebbe la persona impura impedendole qualunque
comunicazione con Dio, anche la preghiera (Num
19,11). A Gesù non serviva toccare la bara, avrebbe potuto agire con la
sola parola, ma il gesto è molto importante: viene a dimostrare che
contravvenendo alla Legge di Dio si ha il ritorno alla vita(4), la
vittoria sulla morte! Dimostra così che è ben più importante promuovere la
vita, dare attenzione alle persone e consolare una madre in lutto che osservare
una legge esteriore. Egli manifesta così la priorità del benessere dell’uomo su
ogni legge, su ogni convenzione sociale, su ogni regola di buona educazione, su
ogni considerazione pubblica. E per prima cosa si rivolge alla madre: “non piangere”.
Il versetto
15b ci dice: “Ed egli lo diede alla madre”. Con questo gesto il Signore
ridona identità e dignità alla madre e al figlio: infatti la morte aveva
spezzato questo rapporto (il figlio non era più e la madre non poteva più esser
tale senza il figlio unico), ma Gesù lo ristabilisce.
E’ notevole,
anche sulla scorta di quest’ultima frase, il parallelismo con il racconto della
guarigione da parte del profeta Elia del figlio della vedova di Zarepta di
Sidone (1Re 17,17-24). Ci troviamo di
fronte ad una chiara rilettura in chiave cristologica.
“Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo:
«Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo»”.
E’ questo un
effetto dell’azione di Gesù: prima vi erano due gruppi, numerosi, ben diversi e
distinti, che andavano in direzioni opposte, con opposti sentimenti; due gruppi
che non si conoscevano e che non avevano motivo di comunicare tra di loro. Ora
invece si forma un’unica folla, riunita ed unificata dalla lode a Dio. Tale
folla si riconosce e comunica con il linguaggio del rendimento di grazie.
L’agire di Gesù pertanto riunifica gruppi diversi, estranei, forse anche
distanti tra loro e permette di creare armonia, comunicazione, unità.
Degno di
nota è anche il fatto che l’espressione della gente: "Dio ha visitato
il suo popolo" riecheggia il Benedictus (Lc 1,68.78) e richiama il verbo ebraico che fa riferimento
all’intervento potente di Dio. Tra l’altro in entrambi i casi citati del vangelo
di Luca si fa riferimento al dono di un figlio (qui resuscitato, lì concepito ad
Elisabetta e Zaccaria, una coppia sterile) come a ribadire che Dio è attento
alle sofferenze di tutti. Inoltre tale frase sottolinea che è finito il tempo
dell’assenza di un profeta, che Gesù porta una speranza inattesa e impossibile,
che Dio viene in mezzo agli uomini, nella nostra storia, rivelando in
particolare il suo amore misericordioso che diviene visibile nella compassione
di Gesù (e poi di coloro che seguiranno le sue orme).
Infine Luca
ci riferisce che “La fama di questi
fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione”. “Tutta la Giudea”, nel linguaggio
lucano significa la Palestina e comprende anche la Galilea (il villaggio di
Nain si trova appunto in questa regione). Ma proprio per rimarcare il fatto che
la fama di Gesù non si ferma ad un territorio, egli aggiunge “per tutta la
regione”. La parola usata per “regione” nel testo greco, usata anche nella Bibbia
dei LXX che Luca spesso imita (anche se in maniera velata secondo il buon uso
letterario del tempo) ci rimanda agli inizi, al momento in cui Abramo e Lot si
separano e Lot sceglie la valle pingue ed irrigata del Giordano (cfr. Gen 13,11), mentre ad Abramo rimane
Canaan. Tale vocabolo quindi fa riferimento a zone diverse e a popoli diversi,
quasi prefigurando, attraverso il rapporto rinnovato tra madre e figlio con la risurrezione
di quest’ultimo, attraverso l’unificazione dei due gruppi diversi e distinti in
un’unica folla che loda Dio e attraverso questa indicazione geografica che
accumuna ebrei e pagani, il rapporto nuovo che unirà popoli diversi nell’unica
fede in Cristo, dai più vicini ai più lontani, dai primi agli ultimi.
Note: 1. Quindi ha infranto la Legge che imponeva di non avere
rapporti di alcun tipo con i pagani. Talmud (Zohar I,46b,47a): "Ed egli creò tutte le cose viventi
cioè gli israeliti, in quanto sono figli dell'Altissimo, e la loro anima viene
da Lui. Ma da dove viene l'anima dei Gentili idolatri? Il rabbino Eliezer dice:
dal lato sinistro, che rende le loro anime immonde. Essi sono perciò immondi e
contaminano tutti coloro che entrano in contatto con loro." – 2. La
pittoresca città di Naim sorge a pochi chilometri a sud di Nazareth. – 3. In
Israele il maschio diveniva maggiorenne all’atà di 12 anni. – 4. Per questo
Paolo ha affermato: “Cristo ci ha
riscattati dalla maledizione della Legge” (Gal 3,13).