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Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


mercoledì 25 dicembre 2013

Sacra famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe



Sacra famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe - Mt 2,13-15.19-23 
I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».
Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».
Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino».
Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».


Questo brano del Vangelo di Matteo mette in crisi la maggior parte degli esegeti perché quanto racconta Matteo ha un importante significato teologico ma, con elevata probabilità, non ha valenza storica.
Molti storici moderni, infatti, negano la storicità dell’episodio che noi chiamiamo “strage degli innocenti”, dato il mancato riscontro nelle opere di Giuseppe Flavio(2), fonte principale della storia giudaica del I secolo.
Paul Maier afferma che “…la maggioranza delle recenti biografie di Erode il Grande lo rifiuta interamente…”(2). Stessa posizione si riscontra in Geza Vermes e E.P. Sanders(3). A questi pareri deve aggiungersi che, in qualunque modo venga fatto il calcolo, anche prendendo date diverse di riferimento, la morte di Erode sarebbe sopraggiunta tra 6 e 10 anni prima della nascita di Cristo.
E’ corretto però fare presente che altri studiosi cristiani ne accettano la storicità notando come l'episodio sia compatibile con la politica repressiva di Erode, il quale avvertendo il pericolo di un'usurpazione non esitò a uccidere in diverse occasioni una moglie, tre cognati, una suocera, tre figli e alcune centinaia di oppositori.
Il fatto che sia Giuseppe Flavio che gli storici romani, come pure gli altri evangelisi, non riportino l’episodio si spiega, secondo Giuseppe Ricciotti(4), storico biblista, con il modesto numero di bambini presumibilmente coinvolti. I nati a Betlemme in quel periodo, essendo circa 1000 gli abitanti adulti, potevano aggirarsi intorno ai 60 individui. Volendo però Erode uccidere solo i bambini maschi il numero degli uccisi è dunque, approssimativamente, di circa 30 neonati e, contando che la mortalità infantile in vicino oriente era molto alta, il numero si può restringere a soli 20.
La notizia, se giunse a Roma, non rappresentò però motivo di cordoglio da parte dell'imperatore che non esitava a soffocare nel sangue possibili rivolte. Secondo Macrobio(5), Cesare Augusto, ricevuta la notizia della strage, disse scherzosamente: «È meglio essere il maiale di Erode piuttosto che uno dei suoi figli» poiché Erode, essendo giudaizzato(6), non poteva mangiare carne di maiale, ma non esitava però ad uccidere i propri figli. Sembra più plusibile, però, che la frase non si riferisse a questo evento ma al successivo omicidio di Antipatro, ultimo figlio assassinato da Erode.
Matteo, pur essendo l’unica fonte canonica a tramandare il racconto della fuga in Egitto, nulla dice riguardo agli anni trascorsi dalla famiglia di Gesù in Egitto.
L'episodio della fuga e la vita di Gesù e dei suoi genitori in terra egiziana è narrato in diversi apocrifi del Nuovo Testamento; questi riportano storie miracolose, come alberi di palma che si inchinano davanti a Gesù bambino, bestie del deserto che gli rendono omaggio, incontri con i due ladri che saranno poi crocifissi con lui, oltre ad aggiungere dettagli come l'aggregarsi alla famiglia di Salomè come balia del bambino.
Le storie della vita di Gesù in Egitto hanno svolto un ruolo importante specialmente all'interno della Chiesa copta. Per tutto l'Egitto vi sono diverse chiese e santuari che sarebbero stati eretti in luoghi abitati dalla famiglia; il più importante di questi è la chiesa dei santi Sergio e Bacco ad Abu Serghis, che sarebbe stata eretta sulla casa di Gesù in Egitto.

Matteo scrive questo brano del suo vangelo sul filo del confronto che fa tra la vita di Mosè e quella di Gesù.
Mosè, appena nato, ha corso il rischio di essere ucciso se la levatrice avesse applicato quanto si legge in Es 1,15-22:
“…Il re d'Egitto disse alle levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l'altra Pua: «Quando assistete le donne ebree durante il parto, osservate bene tra le due pietre: se è un maschio, fatelo morire; se è una femmina, potrà vivere». Ma le levatrici temettero Dio: non fecero come aveva loro ordinato il re d'Egitto e lasciarono vivere i bambini. Il re d'Egitto chiamò le levatrici e disse loro: «Perché avete fatto questo e avete lasciato vivere i bambini?». Le levatrici risposero al faraone: «Le donne ebree non sono come le egiziane: sono piene di vitalità. Prima che giunga da loro la levatrice, hanno già partorito!». Dio beneficò le levatrici. Il popolo aumentò e divenne molto forte. E poiché le levatrici avevano temuto Dio, egli diede loro una discendenza.
Allora il faraone diede quest'ordine a tutto il suo popolo: «Gettate nel Nilo ogni figlio maschio che nascerà, ma lasciate vivere ogni femmina».
Mosè sopravvisse perché appena nato fu affidato alla corrente del Nilo dentro un cestino di vimini e raccolto dalla figlia del faraone che lo allevò.
Matteo, facendo riferimento alle parole del profeta Osea (11,1) “…quando Iraele era fanciullo, io lo amai e chiamai mio figlio fuori dall’Egitto…” costruisce la funga in Egitto facendo così diventare, in qualche modo, Gesù partecipe dell’esodo del popolo di Israele come fanno intendere i versetti 4,22-23 del Libro dell’Esodo: “…Israele è mio figlio ... lascia andare mio figlio…”.
Questa “partecipazione“ di Gesù all’esodo di Israele, secondo Matteo, lo pone in condizione di avere il diritto di compiere due atti: il superamento dei comandamenti del Sinai tramite la proclamazione delle beatitudini che diverranno così i nuovi comandamenti dei seguaci di Cristo e l’indicazione della via da seguire per il nuovo esodo, quello che condurrà la comunità cristiana a superare la morte, cioè a ottenere la redenzione.

Note: 1. Flavio Giuseppe (in latino: Titus Flavius Iosephus; in ebraico Joseph Ben Matityahu, nato a Gerusalemme nel 37 circa, morto a Roma nel 100 circa) è stato uno scrittore, storico, politico e militare romano di origine ebraica; scrisse le sue opere in greco. – 2. Paul Maier "Herod and the Infants of Bethlehem", in Chronos, Kairos, Christos II, Mercer University Press (1998), n. 170. – 3. Geza Vermes, The Nativity: History and Legend, London, Penguin, 2006, p. 22; E.P. Sanders, The Historical Figure of Jesus, Penguin, 1993, p. 85. – 4. Ricciotti, Vita di Gesù, par. 9; pp. 256-257. – 5. Ambrogio Teodosio Macrobio (vissuto nel V secolo d.C.) è stato un filosofo, scrittore e funzionario romano. Studioso anche di astronomia, sostenne la toria geocentrica. – 6. Erode il Grande era un idumeo, ma ha tentato tutta la vita  di farsi passare per giudeo facendo propri tutti i modi di vita della tradizione ebraica.

domenica 22 dicembre 2013

Natale del Signore



Natale del Signore – Messa della Notte – Lc 2,1-14

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio.
C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l'angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

Per comprendere a pieno la narrazione della nascita di Gesù bisogna un po’ distaccarsi dalle tradizioni, dalle pie leggende, dalle devozioni che l’hanno accompagnata, avvolta ed addirittura offuscata per secoli. Infatti per la maggior parte dei cristiani, la nascita di Gesù è più quella che viene narrata nei presepi che quella descritta nei Vangeli, in particolare quello di Luca.
“In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra”. Cesare Ottaviano era nipote adottivo di Giulio Cesare ed è stato il primo imperatore che si fece insignire del titolo di Augusto, che significa sublime, per indicare che la sua condizione non era semplicemente umana, ma era una condizione divina1.
Augusto si faceva chiamare anche figlio di dio e questo è importante per comprendere quello che l’evangelista sta scrivendo; un altro dei suoi titoli era salvatore del mondo. Questo grande rapinatore, questo assassino, questo uomo che distruggeva persone, case e popoli, si faceva chiamare il salvatore del mondo; Cesare Augusto celebra il suo potere indicendo il censimento di tutta la terra abitata. La finalità del censimento è chiara: tutti quanti dovevano essere schedati e censiti, affinché nessuno potesse sfuggire al pagamento delle imposte; quindi il salvatore del mondo, Cesare Augusto, celebra il suo trionfo mediante quella che si configura come una grande rapina perché in allora le tasse non servivano a realizzare servizi ai cittadini, ma ad arricchire l’imperatore e a finanziare le guerre di occupazione.
In questo momento in cui l’impero manifesta tutto il suo splendore, nasce il bambino che, con il suo insegnamento dell’amore opposto ad ogni potere e dominazione, ne minerà le basi e lo farà crollare, come dirà più avanti Zaccaria: “Sta per sorgere colui che sarà la luce di coloro che camminano nelle tenebre” (Lc 1,79). Zaccaria non sta parlando dell’oscurità del peccato, come erroneamente insegnavano i teologi del medioevo, ma sta parlando dell’oscurità dell’oppressione, quando la vita è difficile e non si vede ancora la luce in fondo al tunnel.
“Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria”. Questa precisazione di Luca ci permette una datazione: dopo il 6 d.C., data confermata da Giuseppe Flavio, storico ebreo del I sec. d.C.2.
“Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide…”. Fermiamoci un attimo perché la denominazione che segue “…chiamata Betlemme…è per lo meno strana: nella Bibbia la città di Davide è sempre considerata Gerusalemme; evidentemente questa stranezza sottintende un significato che Luca vuole trasmettere. La città di Davide si chiama Betlemme perché se Gerusalemme è stata la città dove Davide fu re, Betlemme è stata la città dove Davide fu pastore (Cfr. 1Sam 16,1-13).
Luca vuol far capire che colui che nascerà non avrà i tratti del Davide monarca, ma sarà il pastore, il pastore atteso (Ez 34,23) che era il terrore dei sommi sacerdoti: infatti le profezie, da Ezechiele in poi, dicevano che il Signore, riferendosi ai pastori (i governanti allora venivano chiamati pastori!), diceva: ecco io mando un pastore che farà piazza pulita di tutti voi, falsi pastori (Ez 34,10).
“...egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta”. La traduzione purgata della CEI non inganni: Luca adopera lo stesso termine che usa all’annunzio dell’angelo, “promessa sposa” anche se la traduzione parla di “sposa”. Quindi Maria e Giuseppe si trovano ancora nella prima parte del matrimonio e non sono passati alla seconda. Questo crea sconcerto perché due che erano nella prima parte del matrimonio non potevano convivere ed era inammissibile, scandaloso, che potessero fare un viaggio insieme. Ebbene Luca ci presenta qui una coppia che è irregolare, una coppia che non ha compiuto tutti i termini del matrimonio3.
“Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto.” È importante sottolineare tutte le piccole cose; forse sono troppo pedante, ma lo faccio per sbarazzarci di tutte le leggende che hanno offuscato la bellezza di questo brano: ricordo che alle elementari, in occasione del Natale, ci facevano imparare una filastrocca, mi pare di Gozzano, che metteva angoscia; presentava Maria e Giuseppe come una coppia di sprovveduti che arriva a Betlemme proprio il giorno che doveva partorire il figlio; è mezzanotte ed ancora non sanno dove andare, bussano di là, no, non c’è posto e così via. 
Ecco questo fa parte dell’immaginario popolare che nulla ha a che fare con la serietà dei Vangeli. Infatti Luca non scrive che mentre arrivavano là o mentre giungevano là arrivarono le doglie, ma “mentre si trovavano in quel luogo”.
Una donna in quello stato di gravidanza non poteva percorrere tutti quei chilometri che separavano Nazareth da Betlemme, circa 140, tanto più che l’immagine di Giuseppe a piedi e Maria sull’asinello non si sarebbe mai potuta verificare in oriente: in oriente, ancor oggi, vedrete l’uomo sull’asino e la donna incinta a piedi e con i bagagli sulla testa o sulle spalle4. Non era ammissibile che una donna sedesse su un mezzo di trasporto perché la donna non era considerata allo stesso livello del maschio, ma a livello della bestia da soma.
Di conseguenza una donna in avanzato stato di gravidanza non poteva percorrere tutti quei chilometri a piedi e pertanto il viaggio da Nazareth a Betlemme è sicuramente avvenuto nei primi mesi di gravidanza, quando per una donna incinta era ancora possibile percorrere a piedi questo tragitto. 
Diede alla luce il suo figlio primogenito”: perché questa espressione primogenito, significa che poi ce ne furono altri? I Vangeli e gli altri scritti del NT lo affermano (Mc 3,31-34.5,3-4; Mt 12,46-50.13,55-56; Lc 8,19-21; Gv 2,12.7,3-10; Att 1,14; 1Cor 9,5; Gal 1,19), ma la tradizione della Chiesa lo esclude. Comunque sia, Luca adopera l’espressione primogenito perché, secondo la tradizione ebraica, ogni primogenito veniva consacrato al Signore (Es 13,2) e questo rito, unitamente alla purificazione di Maria, viene descritto da Luca più avanti (Lc 2,22-38).
“..lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio”. Con la traduzione CEI 2008 finalmente è stata eliminata la parola albergo e sostituita dalla parola alloggio! Sinceramente continuo ancora a chiedermi dove l’avevano trovata la parola albergo perché nel testo greco originale non esiste5.
E’ importante una esatta traduzione dei testi biblici perché proprio da una errata interpretazione del testo nacque poi la leggenda che non c’era posto per loro nell’albergo di Betlemme; Luca adopera lo stesso termine che usa per l’ultima cena di Gesù: “ha detto il Maestro, dov’è la stanza dove posso mangiare la Pasqua con i miei discepoli?” (Lc 22,11), e non usa il termine greco che si può tradurre con locanda che è il termine che troviamo nella parabola del buon samaritano (Lc 10,29-37), dimostrazione, ammesso che ce ne fosse bisogno, che Luca conosceva perfettamente la differenza di significato tra i due vocaboli.
Altra traduzione imprecisa, che non è stata ancora corretta, è “mangiatoia” perché oggi tutti gli esegeti parlano di “scaffale” anche perchè una mangiatoia non è mai posizionata dentro una casa. Ma andiamo con ordine.
Vediamo qual è il significato della frase “perché per loro non c’era posto nell’alloggio”.
Leggendo il Vangelo, dovremo sempre fare lo sforzo di collocarlo nell’ambiente palestinese, nel quale è nato. Ancor oggi possiamo vedere i resti delle case palestinesi dell’epoca: c’era la parte posteriore della casa che era scavata nella roccia ed era la parte più sana, più sicura e più protetta, anche dal caldo nella stagione estiva. Lì c’era il magazzino, la dispensa, gli alimenti disposti sopra scaffali per non farli divenire preda di animali che potevano entrare. Sul davanti c’era, costruita in muratura, una stanza dove tutta la famiglia viveva. Lì si cucinava, si mangiava e la sera si gettavano delle stuoie per terra e tutta la famiglia, che normalmente comprendeva anche i genitori del marito e, alle volte, anche cugini e zii, vi dormiva6.
In questa stanza dove tutti dormono, dove tutti alloggiano, non c’è posto “per loro” (ovvero per la madre e il neonato) perché la legge ebraica segnalava che la donna al momento del parto era impura7. Impuro significa che le viene impedita la comunione con Dio. Perciò, sempre secondo la tradizione ebraica, una donna che partorisce non può stare in mezzo agli altri, perché essendo impura, rende impuro tutto ciò che tocca e tutti quelli che si avvicinano a lei o entrano in contatto con lei. Maria e il bambino vengono quindi confinati in questa parte della casa che oltretutto era anche la più pulita poiché ci stavano gli alimenti.
Immaginare che Giuseppe si accosti a Maria e al neonato come si vede nei presepi vuol dire non conoscere la leggi rituali ebraiche scritte nella Bibbia.
La descrizione che Luca ne fa è molto sobria, appena due versetti, ma tutta la descrizione serve a preparare la incredibile novità che adesso viene presentata.
C’erano in quella regione alcuni pastori…: i pastori8 dell’epoca non erano come le nostre figurine del presepio, tanto bellini e carini con i loro agnellini sulle spalle: vivendo tra le bestie diventavano persone abbruttite, erano considerati come dei criminali, dei ladri; si rubavano il bestiame tra di loro, si uccidevano e, secondo il Talmud, erano considerati non-persone, non godevano di nessun diritto civile e, dice sempre il Talmud, se per strada trovi un pastore che è caduto in dirupo, non tirarlo fuori: tanto per lui non c’è speranza di resurrezione e allora lascialo lì. Naturalmente, abbruttiti da questo lavoro, essi non avevano né il tempo, né la possibilità di fare le purificazioni quotidiane o di andare al tempio, cosa che li emarginava sempre di più.
Gli ebrei attendevano la venuta del Messia e avevano redatto un elenco di dieci cose che il Messia avrebbe fatto alla sua venuta; tra queste cose c’era l’eliminazione fisica di tutti i peccatori: al primo posto, nella lista dei peccatori, c’erano i pastori.
I pastori erano perciò l’immagine dei peccatori per i quali non c’è nessuna speranza.  “..che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce”9. Leggendo i salmi, (ad esempio nel salmo 37 si legge: tutti i peccatori saranno distrutti; oppure un altro che dice: il Signore si alza al mattino e distrugge tutti i peccatori della terra), è possibile prevedere solo terrore per i pastori: è arrivata la fine, perché queste erano sicuramente tra le persone che andavano eliminate. Invece ecco la novità clamorosa, sconvolgente, “...e la gloria del Signore li avvolse di luce. La gloria del Signore è la manifestazione visibile, concreta di ciò che Lui è, ed il Signore è amore10.
I pastori, immagine dei peccatori per eccellenza, coloro che andavano castigati da Dio, quando Dio li incontra non solo non li castiga, ma li avvolge con il suo amore.
Qui c’è qualcosa che non va: non c’è più religione! Nell’AT ci viene presentato un Dio che castiga e che premia (e purtroppo ancora oggi molti cristiani hanno ancora questa idea in testa). Lo troviamo anche nelle conversazioni quotidiane, quando sentite una persona che è scampata o è sfuggita alla giustizia, sentirete sempre quelle persone che dicono: si, ma non sfuggirà alla giustizia divina: sei scampato agli uomini, ma prima o poi ti arriverà addosso la giustizia divina.
Ecco, Luca smentisce questa immagine: Dio è amore e l’unica maniera che ha Dio di relazionarsi, di comportarsi con gli uomini è quella di una comunicazione incessante di amore. L’uomo lo ama? L’uomo lo odia? Dio non cambia il comportamento: Lui è soltanto comunicazione incessante di amore. Ecco perché, quando si presenta a questi uomini, ai pastori, a questi peccatori, non li avvolge con la sua ira, il castigo di Dio, ma li avvolge con il suo amore.
L’AT insegna che l’uomo deve essere puro per avvicinarsi a Dio; Gesù al contrario insegna: accogli il Signore e diventerai puro11.
Loro però furono presi da grande spavento, meglio non fidarsi, ci hanno sempre detto che questo qui ci farà fuori. Allora l’angelo deve prendere delle precauzioni.
“«Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
Quante persone, ancor oggi, vivono con l’angoscia di un giudizio da parte di Dio! Se queste persone leggessero il Vangelo, vedrebbero che da parte di Dio non c’è nessun giudizio. Dio non giudica, Dio ama e nell’amore non c’è nessun giudizio. Dio non ha mandato il Figlio per giudicare il mondo, dice Giovanni nel suo Vangelo, ma per salvare il mondo. Gesù non è venuto a distruggere ma a vivificare, a dar vita a quello che è morto.
Ma non è finita qui: “E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama»”.
Ricordate in passato, l’errata traduzione che era espressione di una certa mentalità religiosa, che deformava anche il contenuto del Vangelo pur di affermare il proprio pensiero: “agli uomini di buona volontà”. Solo a chi se lo merita, a quelli di buona volontà! E’ l’idea che l’amore di Dio va meritato. Vedete come una mentalità, una ideologia, può travisare persino il significato del testo evangelico, ma nelle vostre Bibbie trovate ormai la  traduzione esatta: “sulla terra pace agli uomini, che egli ama”
Attenzione: per una completa comprensione occorre conoscere che il termine pace deriva da una parola ebraica che molti conoscono, shalòm, che significa pienezza di vita. Pace perciò non significa soltanto assenza di conflitti, ma significa tutto quello che concorre alla pienezza di vita dell’uomo: felicità, salute, lavoro, sazietà, amore.
Smentendo una mentalità che vedeva un Dio aguzzino, che godeva nel far soffrire gli uomini, un Dio che puniva mandando disgrazie, Luca ci dice che la pace, cioè la felicità degli uomini, è lo scopo del progetto di Dio.

Note: 1. L’analisi del brano è liberamente tratta dalla conferenza “I vangeli del Natale: storia o teologia?” tenuta da P. Alberto Maggi il 18 dicembre 2009 a Padova. – 2. I primi due capitoli di Matteo e i primi due capitoli di Luca non vanno d’accordo: non è possibile conciliare la nascita di Gesù come è scritta da Matteo e la nascita di Gesù come è descritta da Luca perché sono due realtà differenti. Quella di Matteo è drammatica: Gesù nasce ed Erode decide di ammazzare il bambino e la sua famiglia fugge in Egitto; questo fatto pone la nascita di Gesù prima del 4 a.C., anno della morte di Erode; Matteo inoltre pone la nascita di Gesù a Betlemme senza spiegarne il motivo. Invece secondo Luca Gesù nasce a Betlemme a causa del censimento il che pone il tempo della nascita dopo il 6 d.C., quindi almeno dieci anni dopo, cosa che lo mette al sicuro dalle reazioni di Erode. Inoltre Matteo fa di tutto per escludere ogni responsabilità di Giuseppe nel concepimento (cfr Mt 1,25) mentre Luca non sembra escluderla (anche se la Chiesa l’ha poi esclusa a partire dal VI secolo d.C. nel Concilio di Costantinopoli). In effetti gli Evangelisti non fanno una cronistoria esatta di quello che è successo, come oggi si usa nel giornalismo, ma vogliono trasmettere ai credenti di tutti i tempi la profonda verità di questo messaggio, cioè che in Gesù si realizza la nuova, vera, definitiva creazione. – 3. Questa sottolineatura di Luca lascia intravedere conoscenze di fatti che Luca non riporta e che saranno oggetto di innumerevoli scritti (molti chiaramente leggendari) riportati nei vangeli aposcifi come il Protovangelo di Giacomo. I vangeli apocrifi, anche se non sono considerati ispirati, ci forniscono interessanti notizie storiche che facilitano l’interpretazione dei vangeli canonici. – 4. Studi risalenti agli anni ‘70 (cfr. per esempio Yigal Shiloh, The Population of Iron Age Palestine in the Light of a Sample Analysis of Urban Plans, Areas, and Population Density, Bulletin of the American Schools of Oriental Research , No. 239,  1980) indicano in circa 25 anni la vita media della donna del I secolo in Israele, conseguenza delle gravidanze (almeno dieci), della fatica e della riduzione drastica delle ore di sonno (Pr 31, 15-18). La vita media dell’uomo nello stesso periodo è stimata in circa 40 anni. A titolo di confronto oggi la vita media in Italia è di 84,3 anni per la donna e 79,1 per l’uomo (fonte ISTAT anno 2010). – 5. Il termine greco katalyma può indicare una stanza, al limite un alloggio, mai una locanda (che in greco si dice pandocheion). Vedere anche la nota riportata nella Bibbia di Gerusalemme, ed. 2009, a pag. 2439 punto 2,7. – 6. Luca mette in evidenza questo fatto quando Gesù, parlando della preghiera, dice: immaginate uno che va a bussare a notte fonda ad una porta e dall’interno un uomo dice no, non posso venire alla porta perché sveglierei i miei bambini, perché sono tutti quanti sulle stuoie e andare alla porta significa disturbare qualcuno (Lc 11,5-8). – 7. Una donna, quando partoriva un bambino, era impura per 7 giorni (se era un maschietto, ma 14 se era femmina) e poi per 33 giorni doveva fare continue abluzioni per purificarsi, al solito 33 giorni se era un maschio, 66 se era una femmina (Lv 12,1-8). Prima del Concilio Vaticano II, queste cose c’erano anche nella nostra tradizione: le mamme, dopo il parto, prima di entrare in chiesa, avevano bisogno di una benedizione. Questo è il crimine orrendo che può compiere una tradizione male intesa: il miracolo della vita considerato impuro. – 8. In questo caso si sta parlando delle persone che gestiscono le greggi e non dei governanti di Israele: l’ebraico antico ha solo 900 vocaboli e, se non si sta attenti, si possono creare confusioni. Anche Luca, pur scrivendo in greco, per chiarezza, specifica quale era il loro lavoro, dato che i lettori erano prevalentemente greci di tradizione semitica. – 9. Ricordo che “l’angelo del Signore” è una espressione con la quale non si intende mai un messaggero inviato da Dio, ma Dio stesso quando entra in contatto con gli uomini. – 10. Cfr.  “Deus Caritas est” lettera enciclica di Benedetto XVI del 2006. – 11. Ricordate Gesù che lava i piedi ai discepoli (Gv 13, 1-20): questo è un gesto di enorme importanza perché i piedi degli individui erano la parte più impura del corpo umano, perché allora prevalentemente camminavano scalzi e le strade, i sentieri dell’epoca erano polvere, escrementi, sudore; ebbene Dio non attende che l’uomo si purifichi, ma scende lui in basso per purificarlo e per innalzarlo. Questa è la grande novità e non per niente il Vangelo è stato chiamato la buona notizia.