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Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


lunedì 31 dicembre 2012


Domenica 6 gennaio 2013 – Epifania del Signore
Mt 2,1-12
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo
che sarà il pastore del mio popolo, Israele».

Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.

Erode, così come è descritto dagli storici dell'epoca ed in parte anche dai vangeli, sembra la caricatura di un qualunque uomo di potere, ma dal punto di vista storico è stato un tiranno sanguinario ed astuto. Erode non sarebbe potuto diventare re dei giudei, perché in lui non scorreva sangue ebraico: era un idumeo(1); la madre era un'araba e i nonni forse degli schiavi. Non è chiaro, (gli storici non l'hanno ancora scoperto), in che modo Erode giunse al potere. La Bibbia dice che chi non ha sangue giudeo non può essere re degli israeliti, per cui Erode, nella sua scalata al potere, eliminò quelli che conoscevano la sua origine, in particolare certi farisei, e incaricò il suo storiografo di corte di costruirgli la fama di unto del Signore.
Uomo abile ed intelligente, capì subito che il popolo andava tenuto calmo con quella che da sempre era la droga usata dai potenti: lo sport. Infatti finanziò quelle che erano le olimpiadi della sua epoca, ma a questo aggiunse la promessa, mantenuta, di diecimila posti di lavoro per la ricostruzione del tempio.
"Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme…". Qui abbiamo dei personaggi che hanno talmente scandalizzato le prime comunità cristiane che sono stati completamente snaturati nel loro significato: i magi. La parola magi sia in greco che in italiano non esiste; nel testo greco di questo brano è riportata la parola magoi che ha una sola traduzione: maghi.
Sono in realtà dei personaggi talmente scabrosi, talmente scandalosi che la tradizione cristiana ne ha snaturato il nome: da maghi li ha fatti diventare degli innocui magi, affinché non si sapesse bene cosa e chi fossero.
Per comprendere il perché di questa presenza dobbiamo rifarci alla linea teologica di Matteo. Matteo racconta un Gesù che si presenta ed agisce al di fuori della religione ufficiale di allora. Gesù dimostrerà che tutto il castello che si chiamava religione ebraica e che veniva fatto credere alla gente come espressione della volontà di Dio, non solo non era la volontà di Dio, ma gli era contraria ed era falsa.
Gesù si è trovato bene con i peccatori, i miscredenti, la gentaccia, ma si è sempre trovato in pericolo con le persone pie, le persone devote. Matteo con questo episodio intende dire che, mentre nella religione ebraica c'è ostilità nei confronti del Dio di Gesù, quelli che vivono al di fuori della religione (e questa sarà una costante in tutti e quattro i vangeli), sono i primi a riconoscerlo, ad accettarlo e ad accoglierlo.
Nel vangelo di Matteo l'unico che riconoscerà in Gesù il Figlio di Dio sarà un centurione romano, un pagano. Gli unici che Gesù loderà per la loro fede saranno dei pagani. Con queste premesse si comincia a comprendere il senso della presenza di questi maghi.
Nella lingua greca del tempo con il termine magoi = maghi(2) si indicavano sì gli indovini e gli astronomi, ma al tempo in cui l'Evangelista scrive, con questa parola si indicavano anche gli imbroglioni, gli ingannatori, i corruttori. Potremo quindi dire che i maghi erano i ciarlatani dell'epoca.
Nella Bibbia era proibito avere rapporti con questa categoria di persone e nell'elenco di peccati del primo catechismo della Chiesa (la "didachè"), quello di esercitare la "professione" di mago era preceduto da quello di rubare e seguito da quello di abortire: erano peccati quindi considerati particolarmente gravi.
Nella Torah era prevista la pena di morte per chi osava accettare l'insegnamento di questi maghi ed inoltre, in questo caso, Matteo scrive che vengono dall'oriente, cioè sono pagani.
Diceva un detto ebraico: uccidi il migliore dei pagani e avrai ucciso il più schifoso dei serpenti. Per i pagani non c'era speranza di resurrezione, non c'era speranza di salvezza.
"…e dicevano: «Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo»". Facciamo un attimo mente locale: queste persone, che esercitano un'attività maledetta dalla Bibbia, un'attività riprovevole, affermano che c'è un nuovo re dei Giudei. C'è un neonato re dei Giudei perché "Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo".
Quando si fa il presepio si mette generalmente una stella cometa: la cometa è tratta da una tradizione del millequattrocento(3). In realtà i maghi parlano di una normale stella e occorre rifarsi ad una credenza dell'epoca che affermava che in occasione della nascita dei grandi personaggi sorgeva una stella che poi sarebbe scomparsa alla sua morte(3).
Matteo nello specifico si rifà, lui che è un grande teologo, ad una profezia dell'AT dove, indicando il futuro capo del popolo, si diceva: "Io lo vedo, ma non ora; io lo contemplo, ma non in vicinanza; una stella sorge in Giacobbe, uno scettro si leva in Israele" (cfr. Nm 24,17).
L'Evangelista in pratica dice: quel segno che era dato per Israele, Israele non l'aveva compreso, ma l'avevano compreso delle persone pagane.
La lezione di Matteo è importante: sono i pagani quelli che faranno conoscere le profonde verità di Dio ai credenti e questo messaggio è presente in tutto il vangelo: saranno sempre i pagani, in questo vangelo, quelli che catechizzeranno gli israeliti.
"All'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme". Che Erode si turbi o meglio, si spaventi(4) lo si capisce benissimo, lui è il re dei giudei e gli viene detto: dov'è il nuovo re dei giudei? Erode era ossessionato dal potere che aveva conquistato in una maniera oscura e illecita, era sospettoso persino dei propri familiari, ne assassinò una dozzina e mise a morte anche i propri figli, uno addirittura cinque giorni prima di morire(5).
Erode quindi si spaventò e "con lui tutta Gerusalemme". Questa seconda parte della frase necessita un spiegazione: dicevano gli ebrei che Israele era il centro del mondo, al centro di Israele c'era Gerusalemme ed al centro di Gerusalemme c'era il Tempio del Signore. Quindi Gerusalemme non era una città come le altre, era la città santa, la città sacra che Dio aveva scelto come sua dimora: nel tempio c'era la gloria di Dio, la presenza di Dio. Quindi Gerusalemme rappresenta l'istituzione religiosa giudaica.
Il tempio di Gerusalemme era una delle meraviglie del mondo, lo spazio sacro più grande dell'umanità, ed era di uno splendore incredibile. Gerusalemme era la città abitata dai sommi sacerdoti, da tutte le persone pie e devote, ma all'annunzio che è nato Gesù si spaventa, si sconvolge: nel vangelo la stella dei maghi non brillerà mai sopra Gerusalemme; Gerusalemme è sotto una cappa mortale e infatti Gesù resuscitato non apparirà mai in Gerusalemme; apparirà invece fuori Gerusalemme, in Galilea. Gerusalemme era la città assassina e maledetta che uccide i profeti e li uccide in nome di Dio.
Gerusalemme deve tutto il suo potere, il suo prestigio all'esistenza del tempio e lo basa sulla religione ufficiale, su quella che i sacerdoti spacciavano essere il vero rapporto con Dio.
Matteo non sta facendo altro che anticipare quello che sarà il contenuto di tutto il vangelo. Gerusalemme, anziché accogliere il suo re, all'idea che sia nato si spaventa perché tra le cose che farà Gesù ci sarà l'eliminazione del culto. Quando Gesù entra nel tempio e, fatta una frusta di cordicelle, incomincia a cacciare i mercanti, Gesù caccia quelli che vendono, ma anche quelli che comprano. Quello che Gesù non tollera è il culto così come veniva realizzato nel tempio, perché veniva presentato un Dio sanguisuga che chiedeva continuamente doni alle persone, doni che naturalmente non andavano a Dio ma andavano ai sacerdoti.
Ecco allora che tutta Gerusalemme è sconvolta, è allarmata, perché se questa nuova mentalità va avanti, per loro è la fine.
"Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo"; due volte nel Vangelo di Matteo c'è questa espressione ed è sempre in una situazione rischiosa per Gesù. Qui Erode riunisce tutti i capi dei sacerdoti per conoscere il luogo dove è nato Gesù, per poi eliminarlo. Questa espressione "tutti i capi dei sacerdoti" la ritroviamo al capitolo 27, quando si riuniscono per decidere di eliminare Gesù, per crocifiggerlo.
"Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo
che sarà il pastore del mio popolo, Israele»".

Può sembrare strano: qui ci sono i teologi, gli scribi, i sommi sacerdoti, i sapienti, i conoscitori della scrittura, ma questa non incide nella loro esistenza. La conoscenza della scrittura non è garanzia della conoscenza del Signore. Si può studiare, si può stare tutto il giorno con il naso attaccato alla Bibbia, ma se non c'è il bene dell'uomo come valore massimo della propria esistenza, la Bibbia non si capisce: infatti non muoveranno un dito per andare ad accogliere il loro re.
Nella risposta dei teologi ufficiali, cioè degli scribi, Matteo mette insieme due testi, secondo la tecnica dell'epoca. Uno è la profezia di Michea, al cap. 5. In Michea si leggeva: "E tu Betlemme di Efrata, così piccola per essere tra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore di Israele". L'Evangelista cambia queste due ultime parole con un testo tratto dalla secondo libro di Samuele, cap. 5 che dice: ".. il Signore ti ha detto, tu pascerai Israele, mio popolo"(6).
C'era una tremenda profezia di Ezechiele (cfr. Ez 34) che diceva, voi siete i pastori del popolo, ma voi anziché curarvi del gregge lo tosate e lo sacrificate per il vostro interesse e, era il Signore che parlava, io vi eliminerò tutti quanti. Farò sorgere un pastore, un mio rappresentante che eliminerà voi, falsi pastori.
Quando sanno che nasce il Pastore, i sommi sacerdoti capiscono che per loro è finita. I sommi sacerdoti sono i falsi pastori che il vero pastore eliminerà.
"Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo».
Questo dal punto di vista storico non regge! Con tutti gli informatori, gli sgherri, le spie che Erode aveva, sapendo che Betlemme era un borgo di poche case, distante 8 km da Gerusalemme e quindi neanche tanto lontana, possibile che avesse bisogno di questi pagani, di questi stranieri? Erode è stata una persona di grande furbizia e di grande astuzia e non per niente è riuscito a governare per cinquant'anni. E' chiaramente una costruzione letteraria per dare il tempo tecnico necessario all'incontro che segue.
"Udito il re, essi partirono", ricordate, quando leggete il vangelo lo dovete tenere presente, ogni volta che l'Evangelista usa l'espressione "ecco", significa che c'è una sorpresa, "Ed ecco la stella…" . Dov'era finita la stella? I maghi avevano seguito la stella, ma sopra Gerusalemme la stella non aveva brillato.
"Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino". Qui la stella si comporta come il Dio dell'AT che guidava il suo popolo.
"Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima." Guardate le due reazioni contrapposte: i giudei a Gerusalemme all'annunzio della nascita del re si spaventano, sono terrorizzati; i pagani, i miscredenti, quelli ritenuti i maledetti da Dio, vedendo i segni di Dio provano una grandissima gioia. Sono quindi i pagani, quelli che provano un sentimento di pienezza come quello di una immensa allegria.
"Entrati nella casa...": attenzione, nel presepio mettiamo Gesù in una grotta o in una stalla; nei vangeli, il testo lo dice chiaramente, Gesù nasce in una casa. Continuate a mettere pure l'asino ed il bue in questa stalla o in questa grotta, ma in questa casa non c'era né l'asino, né il bue: sono le tradizioni del passato che hanno romanticizzato questo episodio snaturandolo e facendo smarrire il significato originario(7).
Gesù perciò nasce e dimora in una casa, naturalmente la casa palestinese di allora, che non assomiglia certo alle nostre case.
"Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono." il padre, Giuseppe, è stato eliminato dell'Evangelista perché nella tradizione biblica il re veniva sempre presentato solo con la regina madre.
"Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra.". Questo verbo offrire è un verbo tecnico: a quel tempo c'erano delle precise regole di scrittura, avevano determinati verbi, determinati nomi che si adoperavano soltanto per alcune categorie o per esprimere alcune verità. Quando erano presenti i pagani non si usava mai il verbo offrire, perché il verbo offrire è un verbo esclusivo del popolo giudaico: invece qui l'Evangelista adopera il verbo offrire anche per questi maghi, per questi pagani.
Questa è la prima indicazione. ".. gli offrirono in dono oro, incenso e mirra". Sono tre doni di una importanza straordinaria: in questo brano Matteo anticipa e riassume tutto il messaggio del Vangelo.
L'oro è simbolo di regalità ed offrendolo a Gesù, che insieme alla madre è stato presentato come si rappresentava il re, sta a significare che Gesù non è solo re dei giudei ma anche dei pagani. Quella che era una prerogativa esclusiva del popolo di Israele, quella di essere il regno di Dio, si estende, con l'offerta dell'oro da parte dei pagani a Gesù, anche a tutta l'umanità.
Vi sarà conflitto tra Gesù ed il suo popolo e tra Gesù ed i suoi discepoli, perché mentre Gesù è venuto ad annunziare il regno di Dio, loro pensano invece al regno di Israele.
Al posto del regno di Israele, al posto della patria, Gesù annunzierà il regno di Dio: non c'è più una nazione con i suoi confini, non c'è più il sacro suolo della patria, espressione ipocrita che nasconde soltanto gli egoismi di chi non vuole spartire con gli altri il proprio benessere, ma c'è il regno di Dio e non esistono più confini.
L'altra offerta è quella dell'incenso. Se guardiamo le cose dal punto di vista storico possiamo pensare che l'oro poteva far sempre comodo, ma a Gesù, a Maria e Giuseppe gli vanno ad offrire l'incenso! L'incenso era l'elemento specifico del servizio sacerdotale: era uno degli elementi adoperati nel rituale del tempio, per i sacrifici di ringraziamento, per le richieste di protezione ed era di uso esclusivo dei sacerdoti. Allora qui si realizza quello che avevamo detto prima: il privilegio di essere il popolo sacerdotale, non viene più limitato ad una singola nazione ma viene esteso anche a tutta l'umanità.
La cosa è clamorosa perché si tratta di pagani, di persone che venerano altre divinità, di persone che vivono al di fuori della legge: la possibilità di essere popolo sacerdotale, (sacerdote significa avere la possibilità di comunicare direttamente con Dio), viene estesa anche al mondo pagano. Vedete che qui l'Evangelista non fa altro che anticipare quella che poi sarà la predicazione di Gesù e delle prime comunità cristiane.
Infine la mirra: anche qui lo stesso discorso. Si capisce l'oro che può far comodo, l'incenso che già non si capisce, ma la mirra, questo unguento, questo profumo! Perché proprio la mirra e non un altro tipo di profumo? Nell'AT e specialmente nel Cantico dei Cantici la mirra è il profumo con il quale la sposa si profuma per il suo re. E' il profumo della sposa, che lei sparge sul suo corpo e sul suo letto, per il suo sposo. Il rapporto tra Dio ed il suo popolo, (specie nelle parole dei profeti e Osea tra questi è stato tra i primi), era immaginato come quello tra uno sposo e la sua sposa. Dio era lo sposo ed il popolo di Israele era la sposa. Ebbene anche questa prerogativa esclusiva del popolo di Israele è estesa ai pagani: non c'è più un popolo sposa di Dio – sposa significa in comunicazione intima, un rapporto intimo – ma questo viene esteso a tutta l'umanità.
Quindi le tre caratteristiche che erano ritenute esclusive di Israele, quelle di avere Dio per re, quella di essere un popolo sacerdotale e sposa di Dio, vengono estese pure ai pagani. Vedete perciò che questo episodio dei maghi, al di là della aneddottica e delle figurine del presepio, si presenta con un grande valore, un grande significato teologico e dimostra quello che sarà il motivo conduttore dell'azione di Gesù, il Dio-con-noi.
"Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese."
L'autore del vangelo, (più avanti si smaschererà e parlerà di se stesso come di uno scriba), scrive per persone che sono del mondo culturale giudaico, e adopera anche delle sfumature che a noi non sembrano tanto importanti.
Guardate ad esempio questa espressione: "…per un'altra strada fecero ritorno al loro paese": per chi conosce la storia di Israele si accende una luce. Il termine bet in ebraico significa casa, Bet-lehem significa casa del pane. Uno dei nomi di Dio in ebraico è El o Eli ed il primo santuario che è stato costruito in Israele è stato chiamato Bet-El che perciò significa la casa di Dio. Vi furono poi delle deviazioni dal culto originario: all'interno di questo primo santuario vi posero un vitello d'oro; dopo questo fatto il nome di questo santuario fu trasformato in Bet-Aven che significa casa del peccato o casa funesta. Nei libri dei profeti questa espressione "per un'altra strada" (che è rarissima nell'AT) viene usata per indicare l'abbandono del santuario di Bet-El che da casa di Dio è diventata casa del peccato. E' una denuncia che l'Evangelista fa nei confronti di Gerusalemme: Gerusalemme non è più la casa del Signore, ma la casa del peccato, la casa funesta perché invece di accogliere il dono di Dio per l'umanità si è spaventata e cercherà in tutte le maniere di ucciderlo.

Note: 1. L'Idumea era un territorio a sud di Israele, corrispondente all'odierna Giordania del sud. – 2. Mi sembra inutile dirlo, comunque io non parlo di Re Magi in quanto la regalità dei "magi" non è attestata nelle fonti canoniche cristiane, né dai Padri della Chiesa, tuttavia i "magi" divengono "Re magi" nella tradizione liturgica cattolica in quanto la festa della Epifania è collegata al Salmo 71(72),10: "Il re di Tarsis e delle isole porteranno offerte, i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi. A lui tutti i re si prostreranno, lo serviranno tutte le nazioni." – 3. L'ipotesi che la stella di Betlemme fosse una cometa, o qualcosa di simile, risale a Origene, teologo e filosofo greco del II secolo, che non si basa su tradizioni precedenti, ma suppone che si sia trattato di una nuova "stella", cioè di un evento eccezionale, probabilmente allo scopo di non deviare dal rifiuto della pratica astrologica, consueto fra i cristiani (cfr. Contra Celsum, I, 58-59 citato nella voce "Stella di Betlemme", del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede). Origene cita il perduto trattato "Sulle comete", scritto dal precettore di Nerone, Cheremone, secondo il quale era prassi accettata che l'apparizione di comete o nuovi astri segnalasse la nascita di importanti personaggi ed era quindi plausibile che i Magi si fossero messi in viaggio al suo apparire. L'identificazione della "stella" con una cometa diventò opinione comune solo nel XV secolo, un secolo dopo l'opera di Giotto, l'Adorazione dei Magi nella Cappella degli Scrovegni a Padova che la ritrae sopra la stalla. – 4. La traduzione con il verbo turbare appare non proprio esatta; meglio spaventare come la traduzione CEI del 1974. – 5. Erode era oramai molto grave ed il figlio già indossava gli abiti regali, pensando: tra poco mio padre muore e quindi regnerò io. Erode, sentendo che il figlio si atteggiava già a re, cinque giorni prima della sua morte lo fece strangolare. Questo, tanto per dare un'idea di chi era questo despota. – 6. Matteo fa questa operazione perché Gesù non sarà mai il dominatore di Israele, sarà il buon pastore. – 7. Lo si vede meglio nel vangelo di Luca: l'idea di questa coppia di sprovveduti che arriva a Betlemme proprio nel momento in cui Maria deve partorire il figlio; che nessuno vuole accogliere, che si rifugiano in un posto, che è inverno e fa freddo, ma per fortuna che c'erano un asino ed un bue che facevano un po' da termosifone, tutto questo non c'è nei vangeli, sono fantasiose costruzioni medioevali che sono giunte fino a noi che, per inveterata abitudine, non conosciamo i vangeli, anzi non li leggiamo mai e ci fidiamo delle tradizioni.

lunedì 24 dicembre 2012

Domenica 30 dicembre 2012 – I Domenica di Natale – Sacra Famiglia

Lc 2,41-52

I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.

Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

 

Prima di esaminare le parole con cui Luca costruisce questo racconto, è opportuno ricordare che il Talmud indicava in dodici anni l'età del passaggio dalla condizione di bambino (persona priva di qualunque diritto) alla condizione di adulto (persona con diritti e, soprattutto, con doveri); questo fatto giustifica la possibilità che quello che per la cultura occidentale è un bambino, possa interloquire con un gruppo di scribi che insegnano nel Tempio.

"I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa".

La Legge prescriveva(1) ogni anno tre pellegrinaggi a Gerusalemme: a Pasqua, a Pentecoste e per la festa delle Capanne; in realtà si seguiva per lo più l'usanza di compiere un solo viaggio. Con questo racconto l'evangelista vuole presentare la famiglia di Nazareth come fedele osservante della legge mosaica(2). Al compimento del dodicesimo anno anche Gesù si unisce a loro. Le donne di qualunque età e i bambini che avevano meno di dodici anni non erano tenuti a compiere il pellegrinaggio. Comunque le donne venivano portate in pellegrinaggio in quanto era loro dovere portare i bagagli; i bambini più piccoli spesso erano portati «a partire dal momento in cui poteva reggersi sulle spalle», come consigliava rabbi Shammai.

Il racconto è costruito sul falsariga del racconto della presentazione al Tempio di Samuele (cfr. 1Sam 1,24): Gesù è stato condotto al Tempio quando aveva dodici anni, proprio come il giovane Samuele, il quale, secondo quanto dice Giuseppe Flavio (Antichità giudaiche 5,348), fu portato da sua mamma al sacerdote Eli quando aveva precisamente questa età e per di più, secondo quanto narra lo Pseudo-Filone (LAB 53,2)3, proprio in occasione della festa di Pasqua.

"Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero".

Il fatto che i genitori di Gesù non si preoccupassero che il figlio non fosse accanto a loro, non deve destare meraviglia; questi pellegrinaggi coinvolgevano tutta la tribù, tutto l'insieme dei parenti e i ragazzi rimanevano spesso tutti insieme per giocare e scherzare.

"Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme".

Per fortuna che sia a Pasqua che durante la festa delle Capanne, dopo i festeggiamenti che duravano una settimana, le carovane dei pellegrini ripartivano e facevano attenzione a non superare nel primo giorno di viaggio le 3 o 4 ore di marcia(4), altrimenti il ritorno a Gerusalemme avrebbe richiesto diverso tempo.

"Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava".

I rabbi discutevano sotto il portico del Tempio, soprattutto nella sala detta "ha-Gazith", dove studiavano la Torah con i loro discepoli (cfr. Talmud di Babilonia, trattato Baba Bathra 20a). Lì probabilmente Luca situa il ritrovamento di Gesù, "seduto" in mezzo ai dottori, mentre normalmente è il rabbi che sta seduto in mezzo ai discepoli. Questa simbologia è usata da Luca per rafforzare l'affermazione contenuta in tutto il racconto, che Gesù non era un estraneo al giudaismo, ma un suo conoscitore profondo.

"E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte".

Nel Tempio Gesù attira l'ammirazione di tutti "per la sua intelligenza". Secondo lo Pseudo-Filone, Samuele era dotato di una grande sapienza che era come «la luce da cui nascerà la sapienza» (LAB 51,4). Anche il piccolo Mosè, secondo la tradizione aggadica(5) raccolta da Luca, possedeva tutta la sapienza degli egiziani (cfr. At 7,22).

"Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?»".

La domanda di Maria(6) e la risposta di Gesù alludono forse alla chiamata di Samuele nel Tempio, quando Dio gli rivolge la parola per tre volte. Secondo lo Pseudo-Filone egli imita la voce di suo padre (LAB 53). Questo non è un tema nuovo: secondo la tradizione giudaica infatti Dio rivolse le sue prime parole a Mosè proprio imitando la voce di suo padre e fu anche costretto a precisare: «Io non sono tuo padre, ma il Dio di tuo padre (Midrash Esodo Rabba su Es 3,6). Anche Gesù è costretto a distinguere tra suo padre, Giuseppe, e Dio, il suo vero Padre. La risposta di Gesù si capisce anche alla luce dell'esperienza di Samuele, il quale «continuava a servire il Signore sotto la guida di Eli (1Sam 3,1). Le «cose del Padre mio» nelle quali Gesù dichiara di dover rimanere potrebbero indicare, dal contesto, il Tempio, all'interno del quale i suoi genitori lo potevano facilmente trovare senza perdersi in ricerche affannose, oppure meglio, secondo un contesto più ampio, le cose di Dio, cioè l'amore e la giustizia, alle quali Gesù in seguito avrebbe dedicato tutta la sua vita.

In questo brano il vangelo di Luca riferisce la prima parola pronunziata da Gesù. È significativo che con essa egli si pone in relazione diretta con il "Padre". Gesù dichiara la sua dipendenza («io devo») nei suoi confronti, creando così una certa distanza e una rottura nei confronti dei suoi genitori: si trova qui una prima realizzazione delle parole di Simeone a Maria (cfr. Lc 2,34-35). Il fatto è anche l'occasione di una prima incomprensione da parte dei suoi, analoga a quella dei suoi discepoli di fronte all'annunzio della sua passione e morte (cfr. Lc 18,34). La parola di Gesù è tanto più straordinaria in quanto parla qui di "mio Padre" proprio subito dopo che Maria aveva ricordato "tuo padre ed io". Questa espressione non può non suscitare lo sbalordimento intorno a lui: nel mondo giudaico infatti si parlava di Dio come di un padre e nelle preghiere giudaiche si usava la parola "Padre"; ma ben pochi prima di lui avevano osato dire "mio" Padre.

In Luca non solo la prima, ma anche l'ultima parola di Gesù riguarda il Padre: sulla croce infatti, prima di spirare, egli esclama: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46); e prima di salire al cielo dice: «E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso» (Lc 24,49). Nel vangelo di Luca Gesù appare veramente come il Figlio che rivela il Padre: in questa prospettiva si sottolinea la sua intelligenza e sapienza, che lo pongono nei confronti dei dottori non come uno che impara, ma come uno che insegna.

"Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini".

I genitori di Gesù non comprendono le sue parole. Pur avendo dichiarato la sua distanza dalla famiglia naturale, Gesù ritorna però con i suoi genitori a Nazareth e rimane a loro sottomesso; Maria, pur non avendo capito la sua risposta, ricorda e medita sull'accaduto. Chiude il racconto un ritornello di crescita: Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. Anche in questa finale c'è un'ulteriore allusione al piccolo Samuele che «andava crescendo in statura e in bontà davanti al Signore e agli uomini» (cfr 1Sam 2,26).

L'ultima frase del brano, che rappresenta anche la conclusione dei racconti dell'infanzia, fa da ponte in Luca con il resto del vangelo: in 2,16 si parlava infatti di un bimbo appena nato, in 2,43 di un fanciullo; in 2,52 invece Gesù viene nominato semplicemente con il suo nome, come avverrà nel seguito del vangelo.

 

Note: 1. Questa esegesi è stata redatta traendola liberamente da un articolo pubblicato da p. Alessandro Sacchi in NICODEMO.net. – 2. Nei primi anni di diffusione del Cristianesimo vi furono frequenti e forti attriti tra i giudeo-cristiani e i giudei tradizionalisti che culminarono nella "scomunica" dei giudeo-cristiani decisa nel concilio ebraico tenuto a Javne tra il 90 e il 100 d.C.; la sua dicitura fu aggiunta alla preghiera delle benedizioni, recitate tre volte al giorno, (..."I nazrim periscano all'istante"...). Questo atto comportò la definitiva esclusione dei giudeo-cristiani dalla sinagoga. Dopo questa scomunica le comunità giudeo-cristiane ben presto si estinsero e la Chiesa assunse sempre più un carattere greco-latino, anche a causa della sua notevole espansione in tutti i territori dell'Impero romano. La scomunica ebraica equivaleva alla morte civile: prevedeva infatti che nessun ebreo potesse aver rapporti di nessun genere con lo scomunicato, per cui l'unica alternativa per lui rimaneva l'esilio. Questo racconto è stato probabilmente costruito da Luca con il proposito di dimostrare la comune matrice giudaica dei due movimenti per attenuare i motivi di scontro. – 3. Si tratta di un autore anonimo, inizialmente confuso con Filone di Alessandria (circa 20 a.C. – 45 d.C.), da qui la sua denominazione, che presenta interessanti e marcate affinità con Luca compresa l'attenzione al femminile. - 4. Questa abitudine era dettata dal fatto che nella settimana di festeggiamenti si mangiava abbondantemente diversamente che durante la rimanente parte dell'anno in cui il cibo era scarso. – 5. Il tentativo di promuovere l'incontro tra Scrittura e vita ha preso, all'interno della tradizione d'Israele, due diversi percorsi, dando origine a due diverse tipologie di lettura della Scrittura: lettura halakika e lettura aggadica. Mentre la lettura halakika tenta di attualizzare le sezioni normative contenute nella Scrittura, in modo tale da consentire un'esistenza vissuta in sintonia e in obbedienza alle parole della Torah, l'esegesi aggadica si preoccupa di: a) evincere dai testi biblici la teologia sottesa e b) spiegare eventuali difficoltà o passi oscuri contenuti nelle sezioni narrative della TaNaK (Torah, Nevi'im [Profeti] e Ketuvim [Scritti]). Nell'esegesi aggadica la comunità di fede ritrova la propria esperienza storica e allo stesso tempo, questa medesima lettura, interpreta e offre una più approfondita comprensione della vita della comunità di fede. S'instaura, così, una sorta di circolo ermeneutico: il momento dell'interpretazione è anche il momento in cui la comunità è interpretata dal testo interpretato. – 6. Da queste piccole cose come il fatto che Maria prenda la parola in pubblico, ed in presenza di Giuseppe, per rimproverare Gesù, si comprende come il racconto non segua un evento storico, ma sia un racconto teologico. Nella cultura giudaica una donna non avrebbe mai potuto fare quello che fa Maria. Notate inoltre che il silenzio di Giuseppe è assordante.




 

lunedì 17 dicembre 2012

Domenica 23 dicembre 2012 – IV Domenica di Avvento

Lc 1,39-45

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

 

Il brano che ci accingiamo a leggere più che descrivere un fatto, produce delle affermazioni teologiche. Per comprenderne il significato dobbiamo ricordarci che Maria è una ragazza di circa 13 anni (forse meno)1, che è incinta di Gesù e che è solo fidanzata e non sposata con Giuseppe(2). Sono particolari che a quell'epoca contavano molto.

"In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda." Quindi Maria, dal nord, dalla Galilea, si mette in viaggio, in fretta verso una città di Giuda, nel sud. Sono all'incirca 150 chilometri se si passa attraverso la Samaria; un po' di più se si segue la valle del Giordano; ovviamente da fare a piedi(3).

In entrambi i casi il percorso è pericoloso; in Samaria i galilei ed i giudei non erano ben visti ed era molto facile rimediare una coltellata. La valle del Giordano è abitata da pastori, gente brutale, abituata a vivere più con le bestie che con gli uomini: uno stupro era il minimo da preventivare. A tutto questo occorre aggiungere che Maria non può contare su nessuno: non può essere accompagnata dal padre o da uno della famiglia perché è in attesa di un figlio senza essere sposata; non può essere accompagnata da Giuseppe perché non sono sposati. Fare un viaggio del genere da sola camminando per quattro giorni e dormendo dove capita è veramente inconcepibile. Forse nemmeno una prostituta si azzarderebbe a compiere un viaggio simile.    

E' sconcertante quello che Luca sta narrando, è evidente che il racconto, più che descrivere un fatto storico, vuole affermare una verità teologica: il collegamento, nel piano di Dio, tra Giovanni (il Battista, il precursore, l'Elia atteso) e Gesù.

Inoltre Maria è spinta dalla fretta: l'evangelista non ci dice quale sia il motivo di questa fretta, probabilmente è una licenza letteraria per sottolineare l'importanza del fatto; comunque Maria, che è stata dichiarata piena di Spirito Santo, inizia una attività all'insegna della fretta e questa attività la mette di fronte a pericoli consistenti.

"Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta". Ci saremmo aspettati che all'ingresso nella casa del sacerdote Zaccaria, Maria salutasse il sacerdote. Nella cultura ebraica era l'atto principale, anzi, era l'unico atto che avrebbe consentito a Maria di entrare e rimanere nella casa. Invece anche qui c'è qualcosa che sconcerta: "…salutò Elisabetta".

E il povero Zaccaria? Il povero Zaccaria è escluso: è stato sordo alla voce di Dio (cfr. Lc 1,18), refrattario allo Spirito; Maria, piena di Spirito Santo, con la vita che trabocca in lei, può dirigere il suo saluto solamente alla parente nella quale ugualmente palpita la vita. "Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo…". L'attività di Gesù sarà definita proprio da questo bambino, da questo personaggio, da Giovanni chiamato il Battista, colui che battezzerà in Spirito Santo, cioè immergerà le persone nello spirito.

Luca quasi anticipa questa attività nella figura di Maria: Maria, piena di Spirito Santo (noi non abbiamo più questa sensibilità, ma il saluto non è soltanto una espressione verbale, è una trasmissione di vita, una messa in comune di vita), con il saluto trasmette lo Spirito Santo ad Elisabetta, ed Elisabetta potremmo dire che è battezzata nello Spirito Santo, cioè è permeata da questo amore di Dio, tanto che il bambino le sussulta, le salta nel grembo.

Elisabetta inaugura, con Maria, la serie delle donne profetesse: essere piena di Spirito Santo significa essere in piena sintonia con Dio e ricordo, per far comprendere il clamore di questa affermazione, che Dio, che nell'AT non si rivolge mai alle donne, qui comunica invece anche alle donne la sua stessa forza e le donne profetizzano.

"…ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto»".

Quello che dice Elisabetta non è soltanto ammirazione per Maria, ma suona anche disapprovazione per il marito; qui Luca presenta due contrasti: Maria ha creduto a qualcosa che non era mai accaduto nella storia di Israele e si è fidata; Zaccaria, il sacerdote, invece non ha creduto a qualcosa che era già accaduto nella storia di Israele.

Questa beatitudine che si rivolge a Maria suona perciò come un rimprovero al marito. La prima beatitudine che compare nei Vangeli, nel Vangelo di Luca, è rivolta a Maria.

L'ultima beatitudine che compare nei Vangeli, non in Luca, ma nel Vangelo di Giovanni, è probabile possa essere attribuita anche a Maria, anche se non ci sono prove e quindi si è soltanto a livello di ipotesi.

La prima beatitudine è quella che abbiamo appena letto: "beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto", qualcosa di nuovo, qualcosa di incredibile.

L'ultima beatitudine che chiude i Vangeli è, in Giovanni, "beati quelli che crederanno senza aver bisogno di vedere". In Maria potrebbero essere racchiuse queste due beatitudini. E' beata colei che ha creduto alle parole del Signore e questa fede non le ha creato la necessità di vedere.

Dico questo perché molti autori, credendo di esaltare il ruolo di Maria (specialmente qui in Italia, o nella zona mediterranea, dove tutti sono dei cocchi di mamma) pensano che Gesù, una volta resuscitato, la prima cosa che ha fatto è stata quella di andare dalla mamma(4).

Questo è tipicamente italiano, la mamma al di sopra di tutto!

Quindi Gesù resuscitato, secondo questi autori, la prima persona alla quale si faceva vedere era la mamma: dai Vangeli però, le apparizioni di Gesù sono sempre per le persone tarde e dure di testa, di comprendonio. Le apparizioni sono sempre accompagnate da un rimprovero: perché non avete creduto, gente di poca fede?

Credo quindi che far apparire Gesù resuscitato a Maria non significa esaltare il ruolo di Maria, ma diminuirlo o perlomeno escludere Maria dall'ultima beatitudine, beati quelli che credono senza aver bisogno di vedere; questa, ripeto, è una ipotesi, una proposta di studio.

La visita di Maria a Elisabetta è l'occasione della prima manifestazione dello Spirito su Giovanni e l'inizio della sua missione già nel grembo di sua madre; è anche il momento della manifestazione dello Spirito su Maria, la quale viene proclamata beata a motivo della sua fede ed esprimerà nel Magnificat il suo animo ricolmo di gioia.

 

Note: 1. Maria, come tutte le donne ebree del suo tempo, è divenuta maggiorenne a undici anni e, a dodici anni al più tardi, ha l'obbligo di sposarsi (Talmud, Nidda M 6,11). Obbligo, non possibilità: nel mondo ebraico e orientale non è concepibile la figura della donna indipendente e la verginità è una maledizione; senza un marito od un figlio maggiorenne, la donna ebraica è considerata un essere senza testa (cfr. Ef 5, 23). – 2. Ricordo che il matrimonio giudaico non è un atto religioso e nemmeno sociale, ma un contratto tra privati. Lo sposalizio si tiene in casa della donna; raggiunto l'accordo sul prezzo, lo sposo copre con il proprio mantello la sposa e pronuncia la formula "Tu sei mia moglie" e la sposa risponde "Tu sei mio marito". Con questa semplice cerimonia Maria è divenuta "promessa sposa di Giuseppe". Dopo un anno, quando la maturità sessuale di Maria lo permetterà, avrà luogo la seconda fase del matrimonio, la convivenza. Ma in questo anno accade il concepimento di Gesù, qualcosa di imprevedibile. – 3. Secondo le usanze ebraiche, alla donna non era concesso l'uso di animali da soma, riservati ai lavori dei campi e quindi agli uomini. Se si pensa di fare riferimento a certe illustrazioni rappresentanti la fuga in Egitto con Maria sull'asino, Gesù in braccio e Giuseppe a piedi che guida l'asimo, si ha una visione edulcorata del mondo ebraico. La rappresentazione reale prevede Giuseppe sull'asino e Maria con Gesù in braccio e sulla testa i bagagli, racchiusi in un grande telo annodato, che segue a piedi. – 4. Ammesso e non concesso che fosse ancora viva: Maria al momento della crocifissione di Gesù avrebbe dovuto avere circa 42 o 43 anni e la vita media delle donne in Israele a quell'epoca raramente superava i 25 anni.

 

 

lunedì 10 dicembre 2012

Domenica 16 dicembre 2012 – Terza Domenica di Avvento

Lc 3,10-18

[Alle folle che andavano a farsi battezzare da lui, Giovanni diceva: «Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all'ira imminente? Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: «Abbiamo Abramo per padre!». Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Anzi, già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco»]1.

Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».

Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

 

Per comprendere in modo completo il significato del brano di questa domenica, è necessario leggere e comprendere i versetti che lo precedono.

"Alle folle che andavano a farsi battezzare da lui, Giovanni diceva:…" Questo movimento delle folle verso il battesimo indicato da Giovanni viene espresso in greco con una forma verbale(2) che letteralmente significa "escono, si allontanano", dando l'idea di un distacco, un uscir fuori e un allontanarsi da un modo di vivere non più confacente ai nuovi tempi.

Diversamente da Matteo che riserva il richiamo di Giovanni ai farisei e ai sadducei (Mt 3,7), Luca indirizza l'esortazione (dai duri toni escatologici) alle folle. La diversità dei destinatari denuncia le diverse posizioni storiche e culturali dei due evangelisti(3).

"«Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all'ira imminente?..." L'espressione è molto dura e non trova un suo equivalente nell'A.T. né in altre parti del N.T. Il testo greco dice "ghennémata echidnòn", che letteralmente significa "generazione, figlio, prole, progenie di vipere". Il riferimento alla vipera, che possiede in sé un veleno mortale e della quale l'umanità è dichiarata discendente diretta, rimanda al primordiale serpente della genesi che ha inoculato nel primo uomo il veleno della rivolta contro Dio (Gen 3,4-5); queste folle sono quindi definite da Giovanni come ribelli a Dio. E' questo veleno che secondo Giovanni provoca l'ira di Dio. Tale termine ricorre in tutto l'A.T. circa 300 volte. Il motivo prevalente di tale ira trova la sua matrice primordiale nell'infedeltà del popolo dalla "dura cervice" nei confronti di Dio(4).

Tale ira è qui qualificata come "imminente". Questa imminenza ci colloca in un contesto di un giudizio che non ammette più appelli ed è, quindi, definitivo; perciò l'appello alla conversione assume toni drammatici. Occorre, però, contestualizzare queste parole, che del resto Gesù non farà proprie, nella mentalità del tempo: secondo gli scribi il Messia aveva come compito principale l'uccisione di tutti i peccatori che, con la loro presenza e la loro vita, impedivano la costituzione del Regno di Dio; di qui le minacce di Giovanni.

"Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: «Abbiamo Abramo per padre!»". Il verbo "fate", un imperativo esortativo, è reso in greco(5) in modo tale da indicare l'inizio di un processo di conversione, che deve coinvolgere l'uomo fin da subito; si tratta dunque di un concreto impegno esistenziale che deve produrre un visibile cambiamento nello stile di vita e nel modo di comportarsi(6).

Ma c'è di più: negli ebrei era profondamente radicato il senso della loro appartenenza al popolo eletto, il diretto erede delle promesse che Dio aveva fatto ad Abramo. Da ciò il popolo traeva la conclusione che, per definizione, era salvo e salvaguardato da Dio da tutti i suoi nemici, indipendentemente dal proprio comportamento (Ger 7,1-12).

"Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo".

L'affermazione di Giovanni è dura: l'essere "figli di Abramo" non costituisce davanti a Dio nessun titolo di merito e tantomeno è garanzia di salvezza, poiché i veri "figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede." (Gal 3,7).

"Anzi, già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco»". L'ira imminente contenuta nel versetto precedente trova qui la sua esplicitazione. L'imminenza è data dal fatto che la scure è già pronta per troncare gli alberi che non portano frutto, richiamandosi ai "frutti degni di conversione". Qui viene ulteriormente confermata l'appartenenza di Giovanni alle concezioni teologiche dell'AT che verranno drasticamente rivoluzionate da Gesù; egli affermerà che Dio ama i peccatori e li spinge amorevolmente verso una conversione da lui desiderata.

Siamo così giunti al brano di questa domenica. Di fronte a queste affermazioni e minacce, la folla reagisce nel modo più umano possibile: "Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?»". La risposta di Giovanni è sorprendente: finora ha parlato come un profeta veterotestamentario, minacciando fuoco e fiamme: ora Luca (si, qui è evidente lo zampino di Luca) gli fa dire cose che saranno proprie della predicazione di Gesù. Un profeta dell'AT avrebbe rivolto prima di tutto il pensiero a Dio, a far si che la conversione fosse, come primo atto, una conversione verso Dio. Nelle risposte di Giovanni Dio scompare e "l'altro" assurge ad oggetto della conversione.

"Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe»". Il tema di fondo su cui vertono le risposte è l'amore colto nella vita quotidiana e fatto di piccoli atti concreti che vanno dalla condivisione dei propri beni al rispetto delle persone, della loro dignità e dei loro diritti; dall'onestà e correttezza nei rapporti sociali al porre freno alla propria cupidigia, ingordigia e all'arrivismo sociale, che portano inevitabilmente alla sopraffazione e a calpestare lo spazio esistenziale degli altri i cui confini nessuno può in qualsiasi modo violare.

Luca quindi pone come parametro di raffronto della sincerità della propria conversione l'etica(7) dell'amore, che trova il suo fondamento nell'affermazione dell'altro, colto come un valore che deve guidare i rapporti sociali e personali del nuovo credente. È la regola che Gesù stesso ha lasciato ai suoi discepoli: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35). Un amore che va al di là di ogni sentimento, simpatia o emozione e si definisce come un atteggiamento esistenziale di totale apertura e donazione di sé all'altro, di piena accoglienza dell'altro in se stessi.

"Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo:…" Questa frase si apre presentando un "popolo in attesa". Tale popolo è lo stesso Israele, che dal tempo della profezia di Natan al re Davide(8) (1010-970 a.C.) attendeva la venuta di un messia liberatore e restauratore del regno di Israele. La frase introduce il tema delle identità di Giovanni e di Gesù. Essa è costruita in tre parti: le prime due distinte da due verbi con diverso soggetto (a: "il popolo era in attesa"; b: "tutti si domandavano"); la terza parte deve definire se Giovanni è il preannunciato Messia atteso dalle genti.

Analizziamo un attimo la porzione di frase "tutti si domandavano". Se da un lato il termine "popolo" definisce storicamente Israele, l'espressione "tutti" è onnicomprensiva e abbraccia oltre che il popolo anche tutti coloro che, pur ponendosi vicino ad Israele, tuttavia se ne stanno fuori. Luca è il teologo della storia della salvezza universale, la quale pur partendo da Israele si espande "fino ai confini della terra" (At 1,8). Pertanto, se da un lato l'attesa era propria di Israele, dall'altro l'interrogarsi sull'identità di Giovanni apparteneva all'intera umanità credente. Il verbo greco, che è stato tradotto con "si domandavano", è "dialoghizoménon" che letteralmente significa: "pensare, giudicare, valutare, discutere, computare, calcolare". Non si trattava quindi semplicemente di qualche interrogativo che ci si poneva intimamente, ma di un vero e proprio dibattito che coinvolgeva interamente ogni uomo ed era posto al centro della sua vita(9). L'attesa del Messia spingeva dunque il popolo e tutti i timorati di Dio(10) ad interrogarsi e ad interpretare i segni dei tempi in un ampio dibattito comunitario.

"«Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco…." La frase riguarda il confronto personale tra Giovanni e Gesù, due figure che fin da subito Luca contrappone l'una all'altra(11). Le grandezze dei due personaggi e delle epoche, che essi in qualche modo incarnano, sono definite dalle espressioni: " ...è più forte di me", "...non sono degno di slegare i lacci dei sandali".

Il termine "ischiroteros" (più forte), esprime una netta e inequivocabile superiorità vincente di Gesù sul Battista. La qualità di questa forza è definita dall'espressione "non sono degno di slegare i lacci dei sandali". Essa fa riferimento alla legge ebraica del Levirato che prevedeva, nel caso di morte di un marito, che il fratello del defunto sposasse la moglie per garantire continuità alla famiglia. In caso di rifiuto del fratello, toccava ad un altro parente che, per accettare la sposa, esprimeva il consenso con l'atto di sciogliere i sandali a chi si era rifiutato, sputarci dentro e rimettere i sandali ai piedi. Giovanni afferma così che non sarà lui a sposare(12) Israele, ormai da tempo vedovo, ma Gesù.

La diversità dei due personaggi, che Luca pone tra loro a confronto, e la distanza che li separa vengono rilevate anche dalla sostanziale diversità dei due battesimi: "Io vi battezzo nell'acqua ... costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco".

L'azione del battezzare di Giovanni è posta nel presente, che è il tempo proprio in cui egli opera, cioè quello dell'AT; un tempo che trova in lui il suo compimento e la sua conclusione.

La figura di Gesù è caratterizzata da due verbi uno posto al presente ("viene uno"), l'altro al futuro ("costui vi battezzerà"). I due movimenti sono tra loro strettamente correlati dallo stesso soggetto. Viene evidenziato il senso del battezzare di Giovanni, mettendone in rilievo la natura: l'acqua che lo diversifica, ma non lo contrappone allo Spirito Santo e fuoco del battesimo proprio di Gesù.

Acqua e Spirito non sono due realtà contrapposte, ma complementari, l'una richiama da vicino l'altra e ne è una sorta di prefigurazione. Già nella prima pagina della Bibbia acqua e Spirito sono poste in uno stretto connubio: "Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque." (Gen 1,2). Anche in Ezechiele l'acqua viene abbinata allo Spirito e prelude ad una nuova creazione, che rigenererà l'uomo a Dio(13).

L'acqua veterotestamentaria è figura pertanto dello Spirito che viene donato da Dio a tutti i credenti rigenerandoli al suo mondo e ricollocandoli nella stessa dimensione divina. Essa parla di una nuova creazione che troverà il suo compimento soltanto per mezzo dello Spirito, di cui essa è figura.

L'azione battezzante di Gesù oltre che dallo Spirito Santo è caratterizzata anche dal fuoco. Esso rappresenta Dio stesso, ne è simbolo e metafora (cfr. Dt 4,24; 5,25; 9,3; Is 33,14; Ger 20,9; 23,29; Ml 3,2 Eb 12,29) come la nube che di notte illuminava il cammino di Israele e lo difendeva dagli assalti degli egiziani (Es 13,21;14,24); esso accompagna la venuta di Dio (Is 4,5;66,15) e costituisce quasi il suo habitat naturale, esprimendone la presenza (cfr. Es 3,2; 19,18; Dt 4,33; 9,10; 10,4; Is 30,30; Dn 7,10; Gl 2,3).

Gesù, dunque, battezzerà in Spirito Santo e fuoco, cioè immergerà l'uomo in una nuova dimensione, quella divina, che Luca, come Matteo, associa qui al fuoco.

"Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo". L'immagine che viene riportata è tratta dal mondo agricolo del tempo: il contadino dopo aver mietuto il grano lo raccoglie sull'aia. Il grano, avvolto dalla pula, deve esserne liberato. Pertanto il contadino prende il ventilabro, una pala in legno, e getta in aria il grano. Il vento porta via la pula, mentre il grano ripulito cade nuovamente sull'aia. La pulitura del grano quindi è l'ultimo atto prima che il grano venga riposto nei granai.

Ritorna qui la concezione del giudizio che la chiesa primitiva renderà evidente nell'Apocalisse.

Ciò che opera le pulitura dalle scorie del grano è il vento, che nel linguaggio biblico è figura stessa dello Spirito Santo (cfr Gv 3,8; At 2,2).

L'immagine di Gesù che Giovanni presenta nel vangelo di Luca è ancora caratterizzata da forti tinte giudiziali, come era proprio della tradizione Q, utilizzata anche da Matteo. È probabile che questa tradizione riproduca più da vicino una caratteristica tipica del personaggio storico del Battista, come risulta anche dal fatto che egli, ormai in carcere, manderà due discepoli da Gesù per chiedergli se sia veramente lui quello che deve venire o se devono aspettarne un altro (cfr. Lc 7,18-19; Mt 11,2-3) perché constatava una evidente diversità di comportamento di Gesù da quello che lui aveva predicato.

In effetti questo brano mette in evidenza un aspetto problematico della figura di Gesù: è stato anche lui un annunziatore del giudizio di Dio, come lo presentano alcuni testi evangelici (pochi, in verità), oppure ha concentrato tutto il suo insegnamento sulla paternità di Dio, lasciando cadere ogni riferimento alla minaccia e al castigo? Alla luce del messaggio evangelico preso nella sua globalità si può dire che egli ha messo l'accento in modo unilaterale sulla bontà infinita di Dio (lieto annunzio), non escludendo però il richiamo alla responsabilità che si assume chi la rifiuta e si chiude alle esigenze di una vita di amore e di servizio nei confronti degli altri.

 

Note: 1. I versetti racchiusi in parentesi quadre non sono stati compresi dal liturgista nel brano domenicale, ma sono estremamente utili per la comprensione dello stesso brano. – 2. Participio presente medio-passivo "ekporeuomenois". – 3. Matteo, di cultura ebraica, riflette il forte contrasto e la rottura con il giudaismo presente all'epoca (75-80 d.C.), ed è quindi fortemente polemico con il culto e con il potere giudaici, per cui si scaglia contro i loro rappresentanti, rimarcando loro caparbia incredulità. Luca è un convertito dal paganesimo ed è di cultura greca. I suoi interessi lo aprono al mondo intero, superando le ristrette polemiche proprie delle prime comunità cristiane. – 4. "…Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo e ho visto che è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga. Di te invece farò una grande nazione»." (Es 32, 7-10). E' questa ottusità nei confronti di Dio che, secondo Giovanni, provoca la violenta reazione divina. – 5. Questo effetto è ottenuto con l'uso di "poiésate", un aoristo di tipo ingressivo. – 6. Gesù chiamerà l'uomo ad un cambiamento di mentalità (metànoia) cioè a un diverso modo di porsi di fronte alla vita e di fronte agli altri. Da notare che in questo brano il testo greco non dice "eis metanoian" la quale cosa indicherebbe un comportamento che condurrà alla conversione e, quindi, preparatorio ad essa, ma dice "tès metanoìas" un'espressione che indica la natura stessa di questo fare: esso deve esprimere e testimoniare una reale ed intima conversione che coinvolge l'uomo nel profondo del suo cuore. – 7. L'esortazione a "Fare frutti degni della conversione" (Lc 3,8a) e il triplice "Che cosa dobbiamo fare" dei versetti seguenti (Lc 3,10.12.14) lasciano chiaramente intendere che la questione qui non è teologica, ma squisitamente etica, cioè ha a che fare con il comportamento dei credenti nei confronti degli altri. – 8. L'attesa di un messia che avrebbe reso stabile e forte il Regno d'Israele trova la sua origine nella promessa che il profeta Natan aveva rivolto a Davide: "Ora dunque riferirai al mio servo Davide: Così dice il Signore degli eserciti: io ti presi dai pascoli, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi il capo d'Israele mio popolo; sono stato con te ovunque sei andato; anche per il futuro distruggerò davanti a te tutti i tuoi nemici e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo a Israele mio popolo e ve lo pianterò perché abiti in casa sua e non sia più agitato e gli iniqui non lo opprimano come in passato, al tempo in cui avevo stabilito i Giudici sul mio popolo Israele e gli darò riposo liberandolo da tutti i suoi nemici. Te poi il Signore farà grande, poiché una casa farà a te il Signore. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno. Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. Se farà il male, lo castigherò con verga d'uomo e con i colpi che danno i figli d'uomo, ma non ritirerò da lui il mio favore, come l'ho ritirato da Saul, che ho rimosso dal trono dinanzi a te. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre». Natan parlò a Davide con tutte queste parole e secondo questa visione." (2Sam 7,8-17). – 9. L'espressione "in cuor loro" non significa intimamente, ma interamente, pienamente. Il cuore non è per l'ebreo la sede dei sentimenti, ma esprime l'interezza della persona, la centralità della sua vita. – 10. Con l'espressione "timorati di Dio" venivano definiti tutti i pagani che pur non appartenendo al popolo ebraico, tuttavia ne erano simpatizzanti e si aggregavano al culto di Jhwh osservandone la Legge. – 11. La contrapposizione tra Giovanni e Gesù è significata in greco dalle due espressioni "egò mèn ùdati baptìzo màs [...] érchetai dè iscuròteros mu". Le due particelle "mèn" e "" evidenziano la contrapposizione dei soggetti ai quali sono riferite: la prima riguarda Giovanni, la seconda Gesù. Nella traduzione italiana la contrapposizione è resa con il "ma". – 12. In tutto l'AT il rapporto di Israele con Dio è descritto come il rapporto tra due sposi. – 13. "Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi." (Ez 36, 24-27).

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lunedì 3 dicembre 2012

Domenica 9 dicembre 2012 - Seconda Domenica di Avvento

Lc 3,1-6

Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell'Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:

Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!

Per cogliere appieno il significato delle parole di Luca, dovremo, in questo anno liturgico C, abituarci al suo modo di scrivere ed alla sua teologia. Un esempio tipico di quanto sto dicendo sono i versetti 1-6 del capitolo 3 che presentano(1) la figura di Giovanni incorniciata in un preciso e dettagliato contesto storico, politico e religioso. A differenza di Matteo e di Marco, che mettono in rilievo anche il suo aspetto esteriore che richiama da vicino il portamento proprio dei profeti veterotestamentari(2) dei quali il Battista raccoglie l'eredità, Luca incentra la sua attenzione sul significato teologico della figura di Giovanni.

Questa pericope, costituita da sei versetti, è a forma concentrica(3): questo intreccio letterario ha una sua profonda valenza teologica e ci fornisce la chiave di lettura della figura di Giovanni. Non va dimenticato, infatti, che Luca si pone quale teologo della storia della salvezza, cioè come colui che sa leggere negli eventi della storia il compiersi del disegno salvifico di Dio(4).

"Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare…" Luca apre il suo racconto evangelico alla maniera degli storici greci utilizzando una formula allora comune, che riscontriamo anche in Flavio Giuseppe(5) in apertura della sua opera "Guerra Giudaica" (BJ I,1-4), qualificandosi quindi come uno storico che desidera raccontare in modo ordinato i fatti che riguardano la nostra salvezza: "Poiché molti hanno posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, [...] così ho deciso anch'io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teofilo, perché ti possa render conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto" (Lc 1,1.3-4).

L'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio(6) è una datazione importante, poiché è l'unica certa che ci consente di datare l'inizio dell'attività pubblica di Gesù. Essa si colloca come epoca tra il 1° ottobre 27 e il 30 settembre 28 d.C. Entro questo tempo, probabilmente tra ottobre e novembre del 27, Luca pone l'attività predicatoria di Giovanni e l'inizio di quella di Gesù.

"…mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea…" Il secondo personaggio è Ponzio Pilato, che fu a capo della Giudea e della Samaria tra il 26 e il 36 d.C. con il titolo di prefetto della Giudea e risiedeva a Cesarea Marittima.

"…Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell'Abilene…" Seguono altri tre personaggi appartenenti al mondo politico palestinese: Erode, tetrarca della Galilea, Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturea e della Traconitide(7), e Lisania, tetrarca dell'Abilene(8).

"…sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa…" Anche se Luca cita al plurale "i sommi sacerdoti" in realtà il Sommo Sacerdote, capo del Sinedrio, organo di governo politico e religioso dei giudei, era uno solo, Caifa. Questi mantenne il titolo dal 18 al 36 d.C. Anna era il suocero di Caifa e benché fosse stato sommo sacerdote dal 6 al 15 d.C. tuttavia esercitò sempre un forte influsso sul genero così che Luca nel suo racconto lo cita sempre assieme a Caifa.

Nel citare questa serie di personaggi Luca compie dei cerchi concentrici: passa dal vasto impero romano, qui rappresentato da Tiberio e Pilato, al più ristretto regno palestinese degli Erode a quello del più piccolo mondo religioso giudaico entro il quale colloca l'evento Giovanni. La figura di Giovanni, pertanto, viene posta da Luca al centro degli eventi storico-religiosi del suo tempo: in tal modo viene concentrata l'attenzione del lettore su di un evento storico, inizialmente quasi impercettibile, ma che avrà dimensioni universali. Nella sua seconda opera, gli Atti degli Apostoli, Luca rovescerà questo movimento concentrico, dal grande al piccolo, trasformandolo in eccentrico, dal piccolo al grande, quasi ad indicare l'esplodere improvviso, invasivo e universalmente coinvolgente dell'evento Gesù in mezzo agli uomini: "…avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra" (At 1,8).

"…la parola di Dio venne su Giovanni…" il discendere della parola su Giovanni ne decreta l'investitura profetica. Il profeta infatti è colui che parla a nome e per conto di Dio, ne è la voce in mezzo al suo popolo. Giovanni quindi è l'ultimo profeta e con lui si chiude l'AT per lasciar posto alla stessa voce del Padre ad opera di Gesù: "Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio…" (Eb 1,1-3a).

"…figlio di Zaccaria, nel deserto." Giovanni è definito figlio di Zaccaria; l'inciso assume un duplice significato: definendo Giovanni come "figlio di Zaccaria(9)" Luca sottolinea come Giovanni rientra nel progetto di Dio fin dal suo concepimento (Lc 1,13-17; 1,41; 1,66; 1,76-77), ma nel contempo si aggancia alla missione profetica di Geremia(10), associando Giovanni ai grandi profeti veterotestamentari: "Mi fu rivolta la parola del Signore: «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni»." (Ger 1,4-5).

Il nome "Zaccaria" significa "Dio si è ricordato"; Giovanni è dunque il segno concreto di questo ricordarsi di Dio: "Allora Dio ascoltò il loro lamento, si ricordò della sua alleanza con Abramo e Giacobbe" (Es 2,24; 6,7).

Luca ricorda come questa Parola si attuò su Giovanni nel deserto. L'immagine del deserto, se da un lato ha suggerito ad alcuni studiosi l'appartenenza del Battista alla setta degli Esseni, dall'altro ci rimanda all'esperienza di Israele nel deserto. Fu proprio durante questo tempo di deserto che la Parola di Jhaweh scese per la prima volta sul popolo ai piedi del Sinai, dove Dio stabilì la sua Alleanza. La figura di Giovanni che cresce nel deserto e su cui scende la Parola è dunque un po' l'immagine dell'antico Israele che trova nel Battista la conclusione della vecchia Alleanza sinaitica.

"…Egli percorse tutta la regione del Giordano…"; se da un lato questo movimento di Giovanni dice tutto il dinamismo della Parola(11) di Dio, che per sua natura non è statica, dall'altro prelude alla missione di Gesù, che alla stregua dei predicatori itineranti girava l'intera Palestina annunciando il suo messaggio (Mc 1,14-15; Mt 4,23-25).

"…predicando un battesimo di conversione…"; il verbo "predicando" è reso in greco con "kerìsson", un termine tecnico che si riferisce al proclamare proprio del banditore, che anticamente girava per il regno del proprio sovrano annunciandone le volontà, alle quali tutto il popolo doveva conformarsi.

Questo "predicare" di Giovanni lo qualifica pertanto come il banditore di Dio che convoca attorno a sé il suo popolo per comunicargli la sua volontà di riscatto, di perdono e di riconciliazione.

Il contenuto di tale predicazione è costituito da un "battesimo di conversione". L'annuncio quindi è finalizzato al battesimo, colto come risposta alla Parola, che chiede una conversione, una modificazione sostanziale del modo di pensare(12). L'immergersi nelle acque del Giordano in risposta all'annuncio del profeta richiama da vicino il racconto di Naam il Siro, capo dell'esercito del re Aram, colpito dalla lebbra, la quale lo aveva condannato ad una fine umiliante e ingloriosa (2Re 5,10.15).

"…per il perdono dei peccati…": la preposizione "per" è resa in greco con "eis" che indica un moto a luogo. Il battesimo di Giovanni dunque non è assolutore dei peccati, ma è preparatore e in funzione di quest'azione che è propria di Dio. Rispetto agli altri movimenti battisti del suo tempo che avevano una finalità eminentemente rituale, quello di Giovanni ha la particolarità di finalizzare il battesimo, l'immersione simbolo della morte e risurrezione ad un'altra vita, ad un'azione penitenziale.

"…com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:" Luca vede dunque nella missione del Battista l'attuarsi e l'operare di un antico piano salvifico le cui tracce già si trovano nello stesso profeta Isaia. C'è quindi in atto un disegno di salvezza pensato da Dio nell'antichità e che si sta attuando nell'oggi di ogni uomo.

"Voce di uno che grida nel deserto:…" I vv. 3,4-6 sono stati interamente mutuati da Luca dal libro del profeta Isaia 40,3-5(13). Il contesto storico entro cui il secondo Isaia(14) si colloca è quello dell'esilio di Babilonia (597-538) che è, per il popolo d'Israele, un tempo di sofferenza e di buio, lontano dalla sua terra santa, calpestata dai pagani; lontano dal Tempio ormai distrutto; privato del culto a Dio e della consolazione della sua Parola. In mezzo a queste difficoltà Dio fa sentire, per mezzo del suo profeta, la sua voce di speranza: "«Nel deserto preparate la via al Signore(15), appianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura. Allora si rivelerà la gloria del Signore e ogni uomo la vedrà, poiché la bocca del Signore ha parlato»." (Is 40,1-5).

La via nel deserto, di cui questo oracolo di Isaia parla, è la strada del ritorno all'amata Terra, una sorta di secondo esodo, che già era stato preannunciato da Geremia ed Ezechiele.

Luca nel riportare le parole del secondo Isaia richiama qui, in qualche modo, il contesto storico dell'antico Israele e vede il profilarsi per il popolo un nuovo esodo(16) che lo riporterà definitivamente a Dio, la vera Terra Promessa, di cui quella della Palestina era soltanto figura. La via che si profila all'orizzonte, quella che conduce al Padre è Gesù stesso (Gv 14,6). Giovanni è venuto a preparare questa via, ma per percorrerla bisogna raddrizzare le nostre vie rese tortuose dall'egoismo, abbassare i monti e i colli del nostro orgoglio e della nostra autosufficienza e riempire i burroni della nostra indifferenza. Solo allora i nostri occhi si apriranno, la nostra speranza si ravviverà e noi diventeremo annunciatori e testimoni di speranza. Solo così ogni uomo vedrà la salvezza di Dio vivere in noi.

 

Note: 1. L'esegesi che segue è liberamente tratta da un articolo di Giovanni Lonardi pubblicato nel sito Teologia per tutti. – 2. Sia Marco che Matteo rilevano che "Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele selvatico" (Mt 3,4; Mc 1,6). Il suo abbigliamento richiama da vicino quello dei profeti Elia, alla cui la figura di Giovanni è associato (Lc 1,17), e di Zaccaria (2Re 1,8; Zc 13,4). Sia il modo di vestire che quello di mangiare consentono a Marco e a Matteo di includere Giovanni nei rigorosi osservanti della Torah. – 3. Talvolta gli autori neotestamentari, seguendo tecniche narrative proprie del loro tempo, dispongono il loro racconto ricorrendo a dei parallelismi secondo lo schema A-A'; B-B'; C per cui alcune espressione che si trovano in A hanno il loro corrispondente in A' e così, parimenti, alcune che si trovano in B hanno il loro corrispondente in B' e così di seguito. In tal modo al centro di questi parallelismi viene a trovarsi un'espressione (chiamata con una lettera diversa e unica che non ha corrispondenti) che costituisce il punto convergente e focale di tutti i parallelismi, sul quale l'autore vuole richiamare l'attenzione. Nel nostro caso abbiamo in A l'esposizione del contesto storico civile e religioso; in A' viene descritto il contesto storico-profetico; in C si colloca la figura di Giovanni, punto centrale e convergente dei due contesti entro cui la figura va letta e ricompresa. – 4. Al riguardo il Rossé afferma: "Luca vede di buon occhio la storia degli uomini, le dà valore come campo dove si attua il progetto di Dio. L'impero romano viene così a far parte della storia della salvezza, in quanto la salvezza promessa da Dio a Israele si compie nella venuta e nell'annuncio di Gesù e si diffonde nella Parola proclamata dagli apostoli e dagli evangelizzatori attraverso l'impero romano" . (Cfr Gérard Rossé, Il Vangelo di Luca, Editrice Città Nuova, Roma 2001). – 5. Giuseppe è uno storico ebreo, che dopo aver assunto la cittadinanza romana, divenne Flavio Giuseppe. Egli nacque a Gerusalemme tra la fine del 37 e i primi mesi del 38 d.C. Appartenne ad una tra le più nobili famiglie ebree del tempo e per parte di padre alla classe sacerdotale più nobile, mentre per parte di madre egli si gloriava di essere un discendente della famiglia reale degli Asmonei. Partecipò alla guerra giudaica contro l'occupante romano e organizzò le difese nel settore della Galilea. Sconfitto e fatto prigioniero dai romani ebbe modo di riflettere sulla potenza dell'Impero romano in cui vide il realizzarsi di un disegno salvifico di Dio. Passò quindi al nemico cercando di convincere il suo popolo ad arrendersi a Roma. Egli infatti vide nella serie di sconfitte subite dagli ebrei da parte dell'Impero la conferma delle sue convinzioni: il Dio d'Israele aveva volto la sua attenzione e la sua benevolenza verso Roma. (Cfr Giovanni Vitucci, Introduzione all'opera "Guerra Giudaica" di Flavio Giuseppe, Ed. Arnoldo Mondadori, Cles, TN, 1995). – 6. Tiberio è il successore di Ottaviano Augusto, morto il 19 agosto del 14. Secondo il calendario siriano, in uso all'epoca anche in Palestina, e il modo di contare gli anni, il primo anno dell'attività imperiale di Tiberio inizia con il 19 agosto 14 e termina il 30 settembre dello stesso anno. Il secondo anno di Tiberio inizia con il 1°ottobre 14 e termina con il 30 settembre 15. In tal modo, contando gli anni dal 1° ottobre al 30 settembre il 15° anno dell'impero di Tiberio, in cui Luca colloca gli eventi del cap.3, cade tra il 1° ottobre 27 e il 30 settembre 28. Questa datazione concorda anche con Gv 2,20. – 7. Dopo la morte di Erode il Grande, che regnò tra il 37 e il 4 a.C., il suo regno venne diviso tra i suoi tre figli: Archelao ottenne la Giudea, la Samaria e l'Idumea. Regnò dal 4 a.C. al 6 d.C. e venne deposto da Roma per crudeltà ed esiliato a Vienne in Francia. Antipa ereditò la Galilea e la Perea con il titolo di tetrarca. Esercitò il suo potere con saggezza e tolleranza, ma venne deposto anch'egli nel 39 d.C. ed esiliato come il fratello Archelao in Francia. Filippo ereditò l'Iturea e la Traconitide e le governò fino all'anno della sua morte avvenuta nel 34 d.C. – 8. Lisania è un nome poco conosciuto forse perché il territorio da lui amministrato, che si pone a nord-ovest di Damasco (Siria), nel 39 d.C. venne dato dall'imperatore Caligola ad un altro Erode, Agrippa I. – 9. Nell'A.T. i Libri profetici si aprivano sovente con la presentazione del profeta definito come "figlio di…". Cfr in proposito Is 1,1; Ger 1,1; Bar 1,1; Ez 1,3; Os 1,1; Gl 1,1; Gio 1,1; Sof 1,1; Ag 1,1; Zc 1,1. – 10. Geremia è il profeta che denunciò le infedeltà del popolo e l'imminente castigo di Dio, che si attuerà con la distruzione del Regno di Giuda da parte dei Babilonesi e le ripetute deportazioni (597; 587; 582 a.C.), togliendo ai deportati ogni illusione di un rapido ritorno in patria (Ger 29). – 11. Il termine ebraico "dabar" (parola) indica una cosa concreta colta nel suo dinamismo ed è stata applicata tradizionalmente alla Parola di Dio, che non è un semplice parlare, ma azione concreta ed efficace, che produce ciò che dice (Eb 4,12) ed è creatrice (Gen 1,3 ss). – 12. Occorre distinguere tra la conversione chiesta da Giovanni e quella proposta da Gesù: mentre la prima richiede al credente di spostare il proprio interesse da se stesso a Dio, la seconda chiede di spostarlo da se stessi agli altri. La differenza è considerevole perché il Dio di Giovanni è diverso dal Dio di Gesù. – 13. Mentre Matteo e Marco limitano la citazione di Isaia alle parole "Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!", Luca prolunga la citazione fino a tutto il v.5 (Is 40,3-5) in cui compare l'annuncio di una salvezza universale: "Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!". In tal modo Luca si aggancia a quanto detto dal vecchio Simeone (Lc 2,30-32). Non va dimenticato infatti che Luca è un greco convertito dal paganesimo e i suoi interessi sono rivolti ad una salvezza universale, che supera i ristretti confini di Israele. Egli si pone quindi tra gli evangelisti come il teologo della storia della salvezza, che egli coglie sempre nella sua dimensione universalistica, cioè aperta anche ai popoli pagani. – 14. Il libro del profeta Isaia comprende 66 capitoli che gli studiosi, per la diversità degli argomenti trattati e degli stili, suddividono in tre parti: i primi 39 capitoli sono assegnati al primo (proto) Isaia, che svolse la sua attività tra il 740 e i 700 a.C.; il secondo gruppo di capp. 40-55 è assegnato al secondo (deutero) Isaia, un profeta che si ispirava ad Isaia, e storicamente ci colloca nel tempo dell'esilio babilonese (597-538 a.C.); il terzo gruppo di capp. 56-66 sono stati composti in epoca postesilica dal 538 a.C. in poi ed è assegnato al terzo (trito) Isaia, un profeta che si ispirava al primo Isaia. Il libro del profeta Isaia quindi è stato composto da più mani e abbraccia un tempo di oltre due secoli. – 15. La setta di Qumran aveva visto proprio in queste parole "Nel deserto preparate la via de Signore" un invito esplicito da parte di Dio a ritirarsi nel deserto per prepararsi alla venuta di Dio. – 16. Nella teologia lucana acquista notevole importanza il tema del viaggio, che si sviluppa dai capp. 9,51-19,28, durante il quale Gesù, quale nuovo Mosé, raccoglie attorno a sé numerose folle per traghettarle verso la Terra Promessa della stessa dimensione divina, passando attraverso la porta della sua morte-risurrezione.