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Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


lunedì 11 febbraio 2013


Domenica 17 febbraio 2013 – I Domenica di Quaresima
Lc 4,1-13
Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo».
Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto».
Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti:
Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo
affinché essi ti custodiscano
;

e anche:
Essi ti porteranno sulle loro mani
perché il tuo piede non inciampi in una pietra
».

Gesù gli rispose: «È stato detto: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».
Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.

Il brano in esame è preceduto dall'episodio del battesimo di Gesù e dalla descrizione della sua genealogia.
"Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo."
Dal battesimo partiamo per cercare di comprendere questo episodio che ha un grande valore umano e teologico, ma non storico cioè non è mai accaduto, almeno nei termini con cui è riportato da Luca. In questo episodio vi sono tre elementi che occorre analizzare: lo Spirito, il deserto e il diavolo.
Lo Spirito: Gesù, immergendosi nell'acqua del Giordano viene riconosciuto dal Padre come "Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento " (Lc 3,22)1, cioè colui che eredita tutto. Quindi in Gesù, dopo il battesimo, c'è tutta la pienezza di Dio e il Padre gli effonde lo Spirito, cioè la sua capacità d'amore. E' proprio questa capacità di amare che lo metterà in tale contrasto con il mondo che lo circonda da fargli desiderare di non possederla e di pensare solo a se stesso.
Il deserto: nella parola deserto rivive tutta la storia del popolo di Israele, che una volta liberato dall'Egitto, secondo quanto riportato nel libro dell'Esodo, viene messo alla prova da Dio nel deserto per vederne la capacità. Non solo, per gli ebrei la parola deserto rievocava un luogo senza persone, disabitato, in contrasto con la nostra simbologia dove deserto è un luogo senza acqua. L'ingresso di Gesù nel deserto da la possibilità a Luca di far comprendere come Gesù nella sua predicazione, nonostante fosse circondato da numerosi disepoli, si sentisse solo perché, sostanzialmente, era incompreso.
Il diavolo: Luca, come Matteo, vuole innanzitutto sottolineare che le prove della vita non vengono da Dio(2), e, per farlo, utilizza la presenza di questo personaggio.
Anzitutto, bisogna dire che questo episodio, e qui va compresa la tecnica letteraria degli evangelisti, non indica un determinato e ben circoscritto periodo della vita di Gesù, nel quale egli ha vissuto questa lotta, e una volta uscito vincitore ha proseguito nella sua attività. L'evangelista, mettendo questo episodio all'inizio dell'attività di Gesù, vuol dire che tutta la sua vita sarà all'insegna della tentazione. Non quindi un episodio di quaranta giorni nella vita di Gesù, ma un avvertimento dell'evangelista: attento lettore, perché in tutta la sua esistenza Gesù verrà sottoposto a queste terribili tentazioni che non sono facili da superare. La chiave di comprensione risiede in quel numero quaranta che, nella numerologia ebraica, unito alla parola giorni, equivale a "tutta la vita".
Per la prima e ultima volta, occorre sottolinearlo, nel vangelo appare questo personaggio; nei vangeli il diavolo ha un ruolo estremamente marginale.
Normalmente noi confondiamo tra di loro le figure del satana, dei demòni e del diavolo. Vediamo se, in breve, riesco a spiegare chi sono e perché sono state introdotte nel cristianesimo.
Il satana: gli ebrei pensavano che Dio inviasse il satana per esaminare il comportamento di ciascuno (cfr Gb 1,6-17) e quindi punirli dei loro peccati(3). Satana, in ebraico, non è un nome proprio di persona, ma un nome comune che indica una attività, quella del pubblico ministero, dell'avversario in un processo. Il pubblico ministero ha il compito di far risaltare le accuse, la gravità del comportamento: questa è l'azione del satana nell'AT, mutuata dall'organizzazione dell'impero persiano (Israele è stato per alcuni secoli sotto il dominio persiano); infatti il satana era un funzionario della corte persiana. Questo funzionario girava per le regioni e guardava il comportamento dei governatori: se uno si comportava bene lo segnalava al re per farlo promuovere, per premiarlo; se uno si comportava male lo segnalava al re per castigarlo, eventualmente anche con la morte. Sempre secondo il pensiero ebraico, per punire gli uomini Dio inviava loro le malattie la cui gravità era proporzionata ai peccati commessi(4); la malattia era inviata tramite il satana che, a sua volta, demandava l'applicazione della pena ad alcuni dei minori fenici che, in lingua greca, venivano chiamati daimonios(5) come Beelzebùl (Baal Zebub, il dio delle mosche), citato da Luca (Lc 11,14-23).
Nel NT, "il satana" perde il suo ruolo di accusatore, tipico dell'AT. Nel vangelo di Luca, Gesù ne sancisce la fine: (Lc 10,17-18) "I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome(6)». Egli disse: «Io vedevo il satana cadere dal cielo come la folgore." La caduta dal cielo (cioè da una posizione di importanza) del satana è una conseguenza diretta della presa di coscienza da parte dell'uomo della propria capacità di costruire il regno di Dio.
I demòni(7): oltre ad essere identificati negli dei fenici portatori di malattie, i demòni entrano nella Bibbia con la traduzione dall'ebraico in greco fatta in Alessandria d'Egitto nel II secolo a.C. da parte dei cosidetti "Settanta". Non si tratta di una semplice traduzione, ma anche di un arricchimento con glosse esplicative o modifiche talora di considerevole importanza, la cui eco si sente anche nei Vangeli. Scompaiono infatti tutti gli elementi mitologici tipici delle tradizioni più antiche come i satiri, le sirene, i centauri, i fauni, le streghe; i traduttori, che vivevano in una società greca cioè in una società intellettuale, evoluta anche a livello teologico e spirituale e quindi lontana dalle forme della mitologia antica, tutte le volte che hanno trovato queste espressioni (se ne conoscono 19 casi), le hanno tradotte sistematicamente con il termine "demòne" che in greco significa essere appartenente agli dei, sia buono che malvagio, ma anche malattia, ossessione, superstizione.
Una reminiscenza di questo significato l'abbiamo anche in italiano quando diciamo che un tizio ha il "demone del gioco", ha l'ossessione del gioco, è quindi malato. La traduzione dei Settanta è stata il testo di riferimento degli evangelisti che, non essendo più conoscitori della lingua ebraica antica, hanno dovuto riferirsi alla traduzione in greco; un esempio chiaro di questa influenza si ha nella traduzione di Isaia 7,14: "Ecco, la giovane ("almah" in ebraico) concepirà e partorirà un figlio che chiamerà Emmanuele (Dio con noi)". Isaia si riferisce alla giovane moglie di Achaz, re di Giuda; i Settanta tradurranno almah con vergine, consentendo la lettura del versetto come profezia messianica.
Il diavolo: il termine, dal punto di vista etimologico(8), ha lo stesso significato di "il satana", anche se in senso dispregiativo, ma ha assunto tradizionalmente il significato di "tentatore" e tale è la sua funzione nel vangelo di Luca. La figura del diavolo è, insieme a quella dello "spirito impuro" del vangelo di Marco, una trasformazione antropologica(9) dei sentimenti umani. Luca, come Matteo, sintetizza in questa figura il sentimento dell'egoismo esattamente come Marco sintetizza negli spiriti impuri i sentimenti di rabbia e rivolta violenta nei confronti delle parole di Gesù (Mc 1,21-28).
Nella Bibbia è assente la leggenda di Lucifero(10), il bellissimo angelo caduto a causa del suo orgoglio e della sua superbia, e degradato per sempre ad orrendo diavolo. L'immagine tradizionale del diavolo (corna, zoccoli e coda) ha origine dalla rappresentazione mitologica del dio greco Pan fatta propria dall'immaginazione medioevale.
Una prima idea del peccato d'orgoglio di un arcangelo, affiora in testi apocrifi dei primi secoli del cristianesimo. La leggenda di Lucifero nasce dalla fusione di due brani dell'AT: la satira contro Nabucodonosor re di Babilonia del profeta Isaia(11), e quella contro Et-Baal re di Tiro del profeta Ezechiele(12).
Il primo autore cristiano che identificò il diavolo con Lucifero, è Origéne nel II sec. d.C. Dei due re delle satire di Isaia ed Ezechiele, fece un solo personaggio: l'angelo decaduto. Questo divenne, in modo incomprensibile, l'indiscussa tradizione nella Chiesa.
Nel IV sec. Girolamo si adoprò per confutare quanto affermato da Origéne, ma a causa di un suo errore di traduzione (Girolamo ha fatto molti errori che hanno pesato molto sulle decisioni dottrinali), Lucifero divenne comunque l'angelo decaduto che urla la sua disperazione.
Nel VI sec. Gregorio Magno (lo stesso che, a torto, definì prostituta Maria Maddalena) legittimò definitivamente la convinzione che il diavolo fosse un angelo decaduto; Gregorio fu un papa grande, anche negli errori.
Il successo della leggenda dell'angelo caduto, ebbe come conseguenza la fine della chiara distinzione presente nella Bibbia tra il satana, il diavolo e i demoni; i tre termini furono uniti in uno solo, Lucifero, il demonio che diventa il satana, il diavolo per eccellenza, perdendo così il significato reale dei termini e la loro importanza teologica.
"Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame.". Il digiuno di Gesù non è un digiuno religioso. Luca trae questa indicazione da Matteo che mette in parallelo Gesù con Mosè, che prima di ricevere da Dio la Legge sul Sinai digiunò quaranta giorni e quaranta notti (Es. 34,28; Dt. 9,9-11).
Il "digiunare" di Luca, così come in Matteo, indica una esperienza di pienezza di Dio da parte di Gesù il cui "nutrimento" è nella sua Parola che riempie la vita. Allo stesso modo, la "fame" di Gesù non va intesa in senso fisico, ma come desiderio di Gesù di cibarsi di quanto proviene da Dio e di poterlo comunicare agli altri.
" Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi pane»."
Il tentatore si avvicina a Gesù e gli dice: "Se sei Figlio di Dio...". Cioè, trai dei vantaggi da questa tua condizione(13); se c'è Dio che ti protegge, giacché sei il Figlio e quindi hai assicurata la sua protezione, usa le tue capacità a tuo vantaggio, dì che queste pietre diventino pani. Per il tentatore il pane serve per salvare se stesso, salvare la propria vita, mentre Gesù stesso si farà pane per salvare la vita degli altri, donando la propria vita. Sarebbe qui interessante mettere in paragone l'insegnamento dato da Gesù con la moltiplicazione dei pani: per Gesù l'abbondanza dei pani non verrà per un intervento prodigioso da parte di Dio, non c'è più bisogno di moltiplicare i pani, basta condividere generosamente quelli che ci sono, e si crea l'abbondanza e si sfama tutta l'umanità. L'interpretazione dell'episodio della moltiplicazione dei pani, considerato da molti il manifesto politico di Gesù, come invito ed esempio alla condivisione per conseguire il benessere del popolo, è facilmente realizzabile alla luce delle beatitudini e se si mette un momento in ombra la componente miracolistica della esegesi tradizionale.
"Gesù gli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo».
Questa risposta di Gesù è presa da un testo del libro del Deuteronomio, che riguarda le prove del popolo nel deserto, dove l'autore scrive che Dio ha sottoposto alle prove il suo popolo per quarant'anni (Dt 8,1-6). Ecco il paragone tra i quarant'anni nel deserto e i quaranta giorni di Gesù. La tentazione di Gesù è la stessa che ha vissuto il popolo di Israele. Nel libro del Deuteronomio si legge che Dio donò al popolo la manna, la manna scesa dal cielo, come segno di garanzia della fedeltà di Dio al suo popolo, ma il popolo non credette e ne fu deluso.
Gesù si affida alla parola che esce dalla bocca di Dio, parola con la quale il Signore manifesta la sua volontà, che è la garanzia della protezione divina. Quindi non usare a proprio vantaggio i benefici, ma usare tutte le proprie capacità a vantaggio degli altri. Questa tentazione si ripeterà abbondantemente lungo tutta la vita di Gesù.
"Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo»."
Nella cultura di quell'epoca, ogni persona che deteneva una qualunque forma di potere aveva la condizione divina. L'imperatore infatti veniva considerato un dio, un figlio di dio, e così il re, il faraone. Tutti coloro che detenevano il potere erano considerati di natura divina, ma per Gesù la sua natura divina, la sua figliolanza con Dio non si manifesterà nel potere, nel dominio, ma nell'amore e nel servizio.
Il tentatore mostra a Gesù tutti i regni, allo stesso modo in cui Dio mostra a Mosè, salito sul monte Nebo, tutto il paese (Dt 34,1-4). Nel rispondere, Gesù demolisce, in un sol colpo, tutta la tradizione religiosa ebraica di Israele come popolo eletto, chiamato a dominare tutti gli altri popoli. C'è un salmo in cui Dio dice al suo Messia: "Ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra. Le spezzerai con scettro di ferro, come vasi di argilla le frantumerai" (Sal 2,8-9). Il Messia della tradizione è un Messia che impone l'ordinamento di Dio attraverso la violenza. Di conseguenza, le tentazioni non sono qualcosa di cattivo che è facile per Gesù evitare, ma viene a lui proposta la tradizione religiosa di Israele, quella radicata nel popolo. Guarda che è il salmo, la stessa parola di Dio che dice questo! Sei il Messia? Devi dominare le nazioni e, addirittura, le dovrai spezzare con scettro di ferro e frantumarle come vasi di argilla. In molte immagini dell'antichità è tipico vedere il faraone o il re con in mano lo scettro, con il quale spacca la testa del popolo che ha conquistato. Perciò il tentatore non è il diavolo della nostra tradizione che si presenta in maniera orribile - ed è perciò facile dire "Vade retro Satana" -, ma i tentatori sono i farisei, la parte più spirituale del popolo, sono gli scribi, questi teologi che parlano con autorità e con mandato divino. Essi dicono: "Sei il Messia, sei il figlio di Dio? Guarda che il Salmo 2, la parola di Dio, dice che il Messia dovrà dominare e schiacciare gli altri popoli". Ecco la tentazione proposta a Gesù: quella di conformarsi ad una tradizione religiosa, umana e spirituale.
Gesù, invece, si sbarazza di questa logica; le sue ultime parole, quando inviterà i suoi discepoli ad andare in tutto il mondo, non saranno di dominio, ma di mettersi al servizio. Gesù dirà: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nell'amore del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19). Quindi, c'è sì da andare verso altri popoli pagani, ma non con un atteggiamento di dominio, ma di servizio. Gesù non accetta l'arroganza di una tradizione religiosa che presumeva il popolo di Israele come preferito da Dio, a dispetto di altri popoli, come un popolo chiamato a dominare.
"Gesù gli rispose: «Sta scritto: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto».
Gesù scaccia il diavolo con le parole del "Padre nostro" di Israele, lo "Shemà Israél", ed è la professione di fede nella quale si afferma l'unicità di Dio (Dt 6,13). Gesù si rifiuta di adorare il potere e si rimette al Dio che lui ha conosciuto, al Padre che lo ha investito con il Suo Spirito nel battesimo.
"Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano; e anche: essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra»".
Gesù aveva risposto alla prima tentazione ponendo una fiducia totale nel Padre. Gesù sa che non c'è da affannarsi, lo dirà lui stesso, su cosa mangeremo, perché il Padre tutte queste cose le dà in abbondanza (Mt 6,25-34). Perciò il tentatore, preso atto di questa fiducia, la spinge agli estremi, lo conduce sul pinnacolo del tempio e lo invita a buttarsi di sotto, citando un salmo (Sal 91,11-12). Questo diavolo si dimostra un esperto conoscitore della Bibbia, un teologo competente, esattamente come lo erano i farisei e gli scribi avversari di Gesù. È una tecnica che l'evangelista usa per dire che a questo diavolo che capisce tanto la Bibbia, che sa ribattere prontamente a Gesù, Gesù sì rivolge con la parola di Dio e il diavolo, prontamente, ribatte con un altro passo; cosa tipica delle dispute tra i rabbini.
Quindi, il diavolo lo porta sul pinnacolo del tempio, cioè il punto più alto del tempio e gli dice di buttarsi giù; perché? Queste non sono tentazioni grossolane, ma molto fini realizzate per far vibrare le corde profonde dei credenti ebrei, perché la tradizione religiosa diceva: quando il Messia apparirà, apparirà improvvisamente sul pinnacolo del tempio, cioè ci sarà un intervento prodigioso, straordinario da parte di Dio. Il tentatore non fa altro che dire a Gesù: "Fai quello che la gente si aspetta da te: vuoi essere riconosciuto come il Messia? Guarda che il Messia, te lo dico io, arriverà mostrandosi sul pinnacolo del tempio. Allora va' sul pinnacolo del tempio e, già che ci sei, metti un pizzico di prodigio in più e scendi volando sulle ali degli angeli".
Ebbene, Gesù rifiuta di fare quello che la gente si attende e rifiuta, soprattutto, un Dio che si manifesta attraverso segni di potere.
Questo è importante anche per noi oggi. Chi pensa a un Dio di potere, chi attende di vedere i suoi segni come segni prodigiosi di potere, non li vedrà mai, perché Dio è un Dio di amore e i suoi segni sono quelli dell'amore. Chi si aspetta di vedere l'intervento di Dio nella propria esistenza, attraverso dei prodigi, miracoli straordinari o cose che destino sensazione, non vedrà mai Dio, perché Dio non è il potere, non si può manifestare nel potere, ma Dio è amore e si manifesta unicamente nell'amore e l'amore, normalmente, non fa chiasso e non sbraita.
Questa tentazione che ora il diavolo fa a Gesù, gli sarà poi rivolta sulla croce dai sommi sacerdoti, dagli scribi, dagli anziani e da tutto il popolo: "Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!" (Mt 27,40). Questo è il dio del potere; del resto chi di noi, almeno quando eravamo piccoli, non ha desiderato che Gesù, una volta crocifisso, avesse fulminato tutti i suoi avversari, o fosse sceso giù dalla croce per fare una strage di coloro che lo avevano inchiodato? Questo è il dio del potere, quello che la gente vuole, un dio che manifesta la sua divinità attraverso un potere eclatante.
Gesù, invece, esala il suo ultimo respiro e muore come un maledetto da parte di Dio.
"Gesù gli rispose: «È stato detto: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo»".
Nelle tentazioni si rivivono gli episodi del popolo ebraico nel deserto: ad un certo punto il popolo si trova in una località, chiamata Massa, dove non c'era acqua ed allora si ribella contro Mosè e contro Dio: ci hai portati in questo deserto a morire di sete, era meglio rimanere in Egitto, almeno là mangiavamo e bevevamo. Il popolo si chiese inoltre: ma questo Dio è in mezzo a noi o no? (Es 17,1-7). Nel libro del Deuteronomio si trova l'espressione: "Non tenterete il Signore vostro Dio come lo tentaste a Massa" (Dt 6,16). Gesù non ha bisogno di chiedersi se Dio è con lui oppure no. In questo brano l'evangelista anticipa il momento di Gesù sulla croce, dove egli non ha il dubbio se Dio è con lui, oppure se lo ha abbandonato e non ha bisogno di chiedere interventi straordinari che confermino la Sua presenza. Gesù ha la certezza che Dio è sempre dalla sua parte.
"Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato."
Sottolineo quello che ho detto all'inizio: il diavolo nei vangeli ha uno spazio relativamente marginale. La sua azione, però, sarà sempre presente lungo tutta l'esistenza di Gesù. Essa verrà incarnata, all'esterno, dai farisei e dagli scribi, i tentatori; quante volte nel vangelo troviamo l'espressione "si avvicinarono a Gesù per tentarlo". Ma quello che è più grave è che la tentazione verrà manifestata anche all'interno del gruppo di Gesù dagli stessi discepoli, in particolare da Simone Pietro, l'unico verso il quale Gesù dirigerà le stesse parole usate per il diavolo. Gesù a Pietro dirà la stessa espressione "Vattene satana!", ma con un'apertura: "torna a metterti dietro di me" (Mt 16,23).
Secondo Luca, il tentatore ritornerà al momento fissato. Luca fa riferimento alla Passione, quando i sommi sacerdoti, gli scribi, gli anziani e tutto il popolo gli dirà: "Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!" (Lc 23,35-38).

Note: 1. Esistono forti probabilità che queste parole siano state sostituite dal Magistero della Chiesa all'incirca nel V o VI secolo. Il testo originale sembra essere stato «Tu sei mio Figlio, l'amato, oggi ti ho generato», come riporta la Bibbia di Gerusalemme nelle traduzioni non italiane. Tale testo è stato poi modificato rendendolo conforme agli altri vangeli. Questa modifica è dimostrata da diversi documenti: in un manoscritto greco (Codex Bezae Cantabrigensis) e in alcuni manoscritti latini, le parole della voce celeste sono «Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato». Il testo in questa forma era inoltre molto diffuso presso i Padri della Chiesa tra il II e il III secolo, cosa che costituisce una testimonianza importante in quanto la maggior parte dei manoscritti del Nuovo Testamento che sono giunti fino a noi è posteriore a queste testimonianze; ebbene, in quasi tutti i casi, in testimonianze che vengono dalla Spagna alla Palestina e dalla Gallia al Nordafrica, è la forma «Oggi ti ho generato» ad essere attestata. La ragione della modifica del testo sarebbe da ricondurre a un tentativo di rimuovere ogni possibile appiglio agli Adozionisti, una corrente delle origini del cristianesimo per la quale Gesù non era nato Figlio del Padre ma era stato da lui adottato all'atto del battesimo nel Giordano; rimuovendo il riferimento alla «generazione» dal vangelo secondo Luca, si toglieva forza alla posizione degli Adozionisti. – 2. Gc 1,13-14: " Nessuno, quando è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male. Ciascuno piuttosto è tentato dalle proprie passioni che lo attraggono e lo seducono". – 3. Secondo la concezione ebraica, il premio o la punizione delle azioni di un uomo venivano date da Dio durante la vita; il premio consisteva in una vita serena (molti figli, il granaio e gli otri pieni ed una morte quando era "sazio di anni"). La punizione erano le malattie. Gli ebrei non pensavano esistesse una vita dipo la morte. Solo dopo la metà del II sec. a.C. si inizia a diffondere in Israele l'idea di una possibile resurrezione dei giusti, ovvero la prosecuzione della vita nel "seno di Abramo" dopo la morte fisica. – 4. E' opportuno sottolineare che il concetto di peccato nell'ebraismo è totalmente diverso dal concetto di peccato nel cristianesimo: il peccato ebraico consisteva nel contravvenire la legge di Dio e quindi il peccato era contro Dio. Nel pensiero di Cristo il peccato consiste nel rifiuto di amare gli altri e quindi si pecca contro gli uomini. Nel cattolicesimo il concetto di peccato si posiziona a metà strada tra il pensiero ebraico e quello di Cristo. – 5. La frase "scacciare di demoni" significa, nella mentalità ebraica, "guarire le malattie". Scacciare i demoni, quindi, nei vangeli, è sinonimo di "guarire le malattie" e, quindi, anche di "perdonare i peccati" che erano stati la causa delle malattie. – 6. Ovvero, "…nel tuo nome guariamo le malattie". – 7. Il termine "demònio" deriva dal latino tardo daemonium traduzione del greco daimónion ("appartenente agli dèi") e quindi collegato a dáimōn il cui significato originario in lingua greca è quello di demone. Nella Bibbia dei LXX tale termine traduceva l'ebraico schedim (idoli vendicativi) e seîrim (satiri). – 8. Il termine "diavolo" deriva dal latino tardo diabŏlus, traduzione fin dalla prima versione della Vulgata (V secolo d.C.) del termine greco diábolos, ("calunniatore", "accusatore"; derivato dal greco diaballein anche qui nell'accezione di "calunniare", "diffamare", "indurre verso una opinione contrapposta"), a sua volta traduzione nella Bibbia dei LXX (III secolo a.C.) del termine ebraico saṭan (avversario in un processo, nemico). – 9. Con questa espressione si intende che gli evangelisti, ed in particolare Marco e Matteo, danno forma di uomo ai sentimenti umani per rendere chiaro il pensiero di Cristo. Si ricorda che questa operazione era in allora normale anche nella lingua parlata e lo è tutt'ora nel Medio Oriente a causa della difficoltà che ha la mente orientale a pensare tramite concetti astratti. – 10. "Lucifero" con il suo significato di "portatore di luce" fu nei primi secoli cristiani un titolo di Gesù, e nel NT "stella del mattino" è una delle immagini del Signore (2Pt 1,19) che, nell'Apocalisse, Gesù applica a se stesso (Ap 22,16). Anche nel canto dell'Exultet si celebra Cristo come "Lucifer matutinus" e nelle litania lauretane "stella del mattino" è applicata alla Madonna. – 11. Is 12,13-14: "Come mai sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell'aurora? Come mai sei stato steso a terra, signore di popoli? Eppure tu pensavi: Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono, dimorerò sul monte dell'assemblea, nelle parti più remote del settentrione". – 12. Ez 26,18: "Ora le isole tremano, nel giorno della tua caduta, le isole del mare sono spaventate della tua fine". – 13. Attenzione, nella cultura ebraica a cui Luca fa riferimento, è bene ricordare che "Figlio di Dio" in questo passo non indica la natura divina di Gesù, ma indica la protezione che Dio accorda ai suoi figli. La differenza è fondamentale e per comprenderla è opportuno rifarsi alla tradizione regale riportata nei due libri di Samuele; altrimenti non si comprenderebbe neppure il senso di tentare Dio che è "santo" per eccellenza, cioè separato dal male.