martedì 22 agosto 2017
Programma 05
Con domenica 10 settembre, sempre che io stia ancora accettabilmente bene, inizieremo a parlare del Sacramento dell'Ordine.
Il Sacramento del Matrimonio - 04
(segue da 3. Storia ed evoluzione del matrimonio cristiano – terza parte)
50. La fecondità del
matrimonio.
Il matrimonio e l'amore
coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione della
prole. I figli infatti sono il preziosissimo dono del matrimonio e
contribuiscono moltissimo al bene degli stessi genitori. Lo stesso Dio che
disse: "non è bene che l'uomo sia solo" (Gen. 2, 18) e che "creò
all'inizio l'uomo maschio e femmina" (Mt. 19, 4), volendo comunicare
all'uomo una certa speciale partecipazione nella sua opera creatrice, benedisse
l'uomo e la donna, dicendo loro: "crescete e moltiplicatevi" (Gen. 1,
28). Di conseguenza la vera pratica dell'amore coniugale e tutta la struttura
della vita familiare che ne nasce, senza posporre agli altri fini del
matrimonio, a questo tendono che i coniugi, con fortezza di animo, siano
disposti a cooperare con l'amore del Creatore e del Salvatore, che attraverso
di loro continuamente dilata e arricchisce la sua famiglia.
Nel compito di trasmettere
la vita umana e di educarla, che deve essere considerato come la loro propria
missione, i coniugi sanno di essere cooperatori dell'amore di Dio creatore e
come suoi interpreti. E perciò adempiranno il loro dovere con umana e cristiana
responsabilità, e con docile riverenza verso Dio, con riflessione e impegno
comune si formeranno un retto giudizio, tenendo conto sia del proprio bene
personale che di quello dei figli, tanto di quelli nati che di quelli che si
prevede nasceranno, valutando le condizioni di vita del proprio tempo e del
proprio stato di vita, tanto nel loro aspetto materiale, che spirituale; e, in
fine, salvaguardando la scala dei valori del bene della comunità familiare,
della società temporale e della chiesa. Questo giudizio in ultima analisi lo
devono formulare, davanti a Dio, gli sposi stessi. Però nella loro linea di
condotta i coniugi cristiani siano consapevoli che non possono procedere a loro
arbitrio, ma devono sempre essere retti da una coscienza che si deve conformare
alla legge divina stessa, docili al magistero della chiesa, che in modo
autentico quella legge interpreta alla luce del vangelo. Tale legge divina
manifesta il significato pieno dell'amore coniugale, lo salvaguarda e lo
sospinge verso la sua perfezione veramente umana. Così i coniugi cristiani,
confidando nella divina provvidenza e coltivando lo spirito di sacrificio,
glorificano il Creatore e tendono alla perfezione in Cristo quando adempiono
alla loro funzione di procreare, con generosa, umana e cristiana
responsabilità. Tra i coniugi che in tal modo soddisfano alla missione loro
affidata da Dio, sono da ricordare in modo particolare quelli che, con
decisione prudente e di comune accordo, accettano con grande animo anche un più
gran numero di figli da educare convenientemente.
Il matrimonio, tuttavia,
non è stato istituito soltanto per la procreazione; ma il carattere stesso di patto
indissolubile tra persone e il bene dei figli esigono che anche il mutuo amore
dei coniugi abbia le sue giuste manifestazioni, si sviluppi e arrivi a
maturità. E perciò anche se la prole, molto spesso tanto vivamente desiderata,
non c'è, il matrimonio perdura come consuetudine e comunione di tutta la vita e
conserva il suo valore e le sue indissolubilità.
51. Accordo dell'amore
coniugale con il rispetto della vita umana.
Il concilio sa che spesso i
coniugi, nel dare un ordine armonico alla vita coniugale, sono ostacolati da
alcune condizioni della vita di oggi, e possono trovare circostanze nelle quali
non si può aumentare, almeno per un certo tempo, il numero dei figli, e non
senza difficoltà si può conservare la pratica dell'amore fedele e la piena
familiarità di vita. Là dove, infatti, è interrotta la intimità della vita
coniugale non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir
compromessa la prole: allora, infatti, corrono pericolo l'educazione dei figli
e il coraggio di accettarne altri.
C'è chi presume portare, a
questi problemi, soluzioni non oneste, anzi non rifugge neppure dall'uccisione;
ora la chiesa ricorda che non può esserci vera contraddizione tra le leggi
divine del trasmettere la vita e del dovere di favorire l'autentico amore
coniugale.
Infatti, Dio, padrone della
vita, ha affidato agli uomini l'altissima missione di proteggere la vita,
missione che deve essere adempiuta in modo umano. Perciò la vita, una volta
concepita, deve essere protetta con la massima cura; e l'aborto come
l'infanticidio sono abominevoli delitti. L'indole sessuale dell'uomo e la
facoltà umana di generare sono meravigliosamente superiori a quanto avviene
negli stadi inferiori della vita; perciò anche gli atti stessi, propri della
vita coniugale, ordinati secondo la vera dignità umana, devono essere
rispettati con grande stima. Perciò quando si tratta di comporre l'amore
coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del
comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei
motivi, ma va determinato da criteri oggettivi, che hanno il loro fondamento
nella natura stessa della persone umana e dei suoi atti che sono destinati a
mantenere in un contesto di vero amore l'integro senso della mutua donazione e
della procreazione umana; e tutto ciò non sarà possibile se non venga coltivata
con sincero animo la virtù della castità coniugale. I figli della chiesa,
fondati su questi principi, nel regolare la procreazione non potranno seguire
strade che sono condannate dal magistero, nella sua funzione di interprete
della legge divina.
Sia chiaro a tutti che la
vita dell'uomo e il compito di trasmetterla non sono limitati solo a questo
tempo e non si possono commisurare e capire in questo mondo soltanto, ma
riguardano sempre il destino eterno degli uomini.
Fra i tanti
elementi di novità che la Gaudium e Spes offre, io credo possa considerarsi
centrale la inseparabilità della sessualità dalla relazione interumana vista
nella sua globalità: il matrimonio è definito come comunità di vita ed amore
coniugale. Questa intima unione è vista come mutua donazione di
due persone. Si tratta quindi di un amore eminentemente umano,
diretto da persona a persona e che coinvolge le espressioni dell’anima e del
corpo. E pertanto il rapporto sessuale è dunque visto come espressione e
arricchimento del dono reciproco fra persone (il sesso come comunicazione).
Io credo che
ormai la moralità nella sfera sessuale non possa più esser letta (almeno
primariamente) nei singoli comportamenti sessuali, ma nell’animo – o meglio:
nel quadro globale della relazione fra persone – da cui tali comportamenti
scaturiscono.
In queste
brevi frasi si ha una svolta netta e coraggiosa nei confronti di tutta la
tradizione in materia di morale sessuale che prima ho cercato di descrivere.
Il tema
morale della sessualità è visto primariamente come parte dell’unico grande tema
morale della carità, mentre il tema della natura passa decisamente in secondo
piano.
Ed è
rilevante il fatto che qui si torna alla radice biblica, in cui in forme ed
espressioni diverse resta sempre ferma la lettura della sessualità come
espressione di amore: non di una infatuazione passeggera ma di un amore "forte come la morte".
Il tema
della procreazione come necessaria giustificazione dell’attività sessuale non
esiste nella Bibbia. Esiste invece nella Bibbia, e qui è fortemente ripreso, il
tema dell’ "esser due in una sola
carne", di un’unione nella gioia di poter esprimere, in forma
eminentemente umana, l’amore di Dio per noi e in mezzo a noi ("come Cristo ha amato la chiesa").
Nella Bibbia
e nel Concilio i peccati in materia sessuale sono peccati contro l’amore, ma
nella tradizione cristiana preconciliare non lo sono affatto: sono peccati
contro la legge naturale letta con gli occhi dei filosofi greco-romani
precristiani, quindi lontana ed estranea al vangelo.
Anche
l’indissolubilità della comunità di vita ed amore viene così a non
essere più fondata – come invece praticamente in tutti i manuali di morale
preconciliari – sulla necessità dell’educazione dei figli o della stabilità
sociale, che restano peraltro elementi moralmente significanti, ma sulla
totalità del dono reciproco.
Si noti che
nell’applicazione particolare al rapporto sessualità-procreazione (n.51) il
Concilio afferma che l'indole sessuale dell'uomo e la facoltà umana di generare
sono meravigliosamente superiori a quanto avviene negli stadi inferiori della
vita, mentre tutta
la tradizione della legge naturale partiva proprio dall’osservazione della vita
animale
Si noti
infine che questa dottrina è dottrina di un Concilio Ecumenico: tutti i Concili
sono nati dalla necessità di superare questioni discusse o difficoltà nuove
nell’annuncio della dottrina.
Questo (e
molte altre cose) ha fatto il Concilio Vaticano II, e da un Concilio non si
torna indietro: si può solo andare avanti. Perciò io credo che tutta la morale
sessuale cristiana vada profondamente ripensata: questo non è compito di un Concilio,
ma della riflessione teologica come elaborazione offerta a un magistero futuro.
Solo operando questo ripensamento, questa volta alla luce del vangelo e non
della filosofia pagana, si potrà dare al matrimonio un’impronta realmente
cristiana.
4. Il matrimonio come sacramento
Mi sembra opportuno, ora, fare un
passo indietro perché non ho ancora affrontato un aspetto non secondario del
matrimonio cristiano, quello di essere sacramento. Per valutarne lo sviluppo
storico, partirei dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.).
Con la
caduta dell’Impero Romano d’Occidente e la conseguente dominazione germanica,
la Chiesa sostanzialmente accettò le regole del diritto germanico in materia
matrimoniale, benché fossero completamente diverse da quelle del diritto
romano, dal momento che non riconoscevano alcuna autonomia alla volontà degli
sposi.
L’accettazione
non fu totale: la chiesa si oppose soprattutto a due aspetti del diritto
germanico, lo scioglimento delle famiglie per ripudio o divorzio consensuale e
il concubinato con mogli di grado inferiore, ammesso accanto al matrimonio
principale (Carlo Magno – IX sec. d.C. - arrivò ad avere fino a quattro
concubine regolarmente sposate).
Nel
frattempo la Chiesa riconsiderava la propria visione della vita matrimoniale e
nell'866, con una lettera di papa Niccolò I, affermò per la prima volta il
fondamento consensuale del matrimonio, che però si impose solo più avanti
(nell'XI-XII secolo).
Durante i
secoli VII-XI il principale obiettivo della Chiesa fu quello di allargare la
nozione di incesto. Il diritto romano vietava il matrimonio fra consanguinei,
ma la Chiesa estese la consanguineità fino al settimo grado, computato secondo
il modo germanico e non secondo quello romano: per conseguenza i figli di due cugini
erano parenti di terzo grado (e non di sesto, come nel computo romano) e il
loro matrimonio era un incesto grave.
Non appena
la dottrina del consenso e quella della natura sacramentale del matrimonio si
furono affermate fra teologi, giuristi e papi, il vero matrimonio cessò di
essere atto racchiuso all’interno delle famiglie, diventando cerimonia
religiosa nella quale il sacerdote, dopo aver indagato sui rapporti di
consanguineità, doveva accertare negli sposi l'esistenza di una libera volontà
presente.
Il
matrimonio divenne così materia di diritto canonico (1140 ca.) e fu definito
come l'unione dell'uomo e della donna che fondano tra loro una comunità di
vita.
La sacramentalità del
matrimonio era unanimemente ammessa nel Medioevo, ma con riserva, poiché
riusciva difficile conciliare lo stato coniugale con la dottrina della grazia
(!!).
È nel Concilio di Verona del
1184 che il matrimonio riceve per la prima volta la qualifica di sacramento da
parte del Magistero della Chiesa. La valenza di sacro “segno” dell’unione
Cristo/Chiesa rimane però per lungo tempo puramente figurativa e, nella scia
della tradizione agostiniana, si afferma che non generi grazia.
Bonaventura(1) fa un piccolo passo in avanti ammettendo che il
matrimonio, oltre che aiutare i coniugi a conservare la propria grazia
personale (legittimando almeno in parte gli atti carnali) conferisce loro una
certa grazia medicinale contro la concupiscenza che in varie forme insidia i
beni del matrimonio.
Nel 1208 papa Innocenzo III, in opposizione a quanti vietano il matrimonio
alle persone aspiranti alla perfezione, afferma che anche gli sposi possono
salvarsi (!!), particolare non trascurabile ribadito dal Concilio Laterano IV nel 1215 - e che
possono darsi seconde ed ulteriori nozze in caso di vedovanza.
Sul finire del XIII secolo Alberto Magno(2) scorge una seconda e
migliore specie di grazia, che fornisce agli sposi gli aiuti necessari ad
adempiere ai compiti particolari del loro stato. La tesi è poi fatta propria da
Tommaso, che enumera il matrimonio tra i sacramenti della legge nuova che
causano realmente la grazia, e riscuote anche qui grandissimo seguito.
Il Concilio II di Lione del
1274 elenca espressamente i sette sacramenti, matrimonio compreso, ed il Concilio di Firenze del 1439, con il
Decreto agli Armeni, sancisce che il matrimonio è uno dei sacramenti che
contengono e conferiscono la grazia (il Matrimonio viene accostato all’Ordine,
in quanto essi sono i due sacramenti ordinati “al governo e moltiplicazione di
tutta la Chiesa”). Lo stesso Decreto afferma che causa efficiente del
matrimonio è il consenso. Si giunge in tal modo ad una sostanziale unanimità di
dottrina e ci si avvicina ormai alle soglie del secolo XVI.
Il Concilio di Trento, nel 1547,
rispondendo alle critiche mosse dai riformatori, ribadì il numero dei
sacramenti della Chiesa cattolica e tra essi nominò anche il matrimonio. Nel
1563 approvò la dottrina del sacramento del matrimonio e i 12 canoni relativi,
dichiarando solennemente la perpetuità e la solennità del vincolo del
matrimonio. Tale principio venne richiamato rifacendosi al passo di Gn 2,23-24 che è posto a fondamento
dell’unione tra uomo e donna per dar vita a una carne sola.
Sono
così trascorsi più di XV secoli dalla predicazione di Gesù: se la Chiesa avesse
seguito il vangelo e non la filosofia greca, tutti i problemi riguardo la vita
sessuale delle persone si sarebbero risolti in un solo momento, bastava
applicare Gv 15,17 “Questo vi comando:
amatevi gli uni gli altri.”
Il Concilio
di Trento difese non solo la sacramentalità e l’efficacia di grazia del
matrimonio ma anche la competenza della Chiesa a regolare, secondo il diritto
canonico, le pratiche matrimoniali. Sempre in questa sessione il concilio emanò
un decreto (denominato Tametsi) che imponeva ai fedeli di sposarsi
davanti all’ordinario locale o al parroco, o davanti a un sacerdote delegato da
uno dei due. Lo scopo principale del decreto era di fare della celebrazione
pubblica un elemento indispensabile del matrimonio.
Pio VI nel 1788,
rispondendo con una lettera al quesito di un vescovo, affermava che le cause
matrimoniali dovevano essere sottoposte all’unico giudizio della Chiesa essendo
il contratto matrimoniale uno dei sette sacramenti istituiti da Cristo.
Pio IX nel 1864
condannava coloro che vedevano nel sacramento del matrimonio qualcosa di
accessorio rispetto al contratto matrimoniale.
Leone XIII,
nell’enciclica Arcanum divinae sapientiae, del 1880, afferma che Cristo
ha elevato il matrimonio alla dignità di sacramento. Il matrimonio è un
sacramento precisamente perché è un segno sacro che produce la grazia: esso è
l’immagine della unione mistica di Cristo e della Chiesa.
Pio XI,
nell’enciclica Casti connubi del 1930, sottolinea l’elevazione del
matrimonio di battezzati a sacramento e il fatto che tale elevazione non cambia
la natura del contratto ma il suo ordine, da naturale a soprannaturale.
Paolo VI,
nel 1968, pubblica l’enciclica Humanae vitae nella quale definisce il
concetto di paternità responsabile in merito alla procreazione e ne stabilisce
la corretta interpretazione(3).
I testi del
concilio e la lettera apostolica Familiaris consortio di Giovanni Paolo II del 1981, che
sintetizza la tradizione ecclesiastica riguardo al matrimonio, costituirono i
fondamenti per il nuovo diritto matrimoniale cattolico. La lettera ribadisce
come non possa sussistere un matrimonio di battezzati che non sia sacramento.
Note: 1. San
Bonaventura da Bagnoregio, al
secolo Giovanni Fidanza, (Bagnoregio,
1217/1221 circa – Lione, 15.7.1274) è stato un religioso, filosofo e teologo
italiano. Soprannominato Doctor Seraphicus, insegnò alla Sorbona di
Parigi e fu amico di san Tommaso d’Aquino. – 2. Alberto Magno di Bollstädt, conosciuto anche come sant'Alberto il Grande, Alberto di Colonia o Doctor Universalis (Lauingen, 1206
– Colonia, 15.11.1280), era un vescovo domenicano. È considerato il più grande filosofo
e teologo tedesco del Medioevo sia per la sua grande erudizione che per il suo
impegno a livello logico-filosofico nel conciliare fede e ragione, applicando
la filosofia aristotelica al pensiero cristiano. Fu, inoltre il maestro di San
Tommaso d’Aquino. – 3. L’esame di questa contraddittoria enciclica richiederebbe molte
pagine e comunque non rientrerebbe nell’argomento originario di queste righe.