V Domenica di Quaresima – Gv
8,1-11
Gesù si avviò verso
il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il
popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli
scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in
mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante
adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come
questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere
motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra.
Tuttavia, poiché insistevano nell'interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di
voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di
nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno,
cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo.
Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?».
Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch'io ti condanno; va'
e d'ora in poi non peccare più».
Questi udici “pericolosi”
versetti(1) appartengono, in realtà, al vangelo di Luca, ma non vi
sono più perché per almeno due secoli nessuna comunità cristiana li ha voluti
nei testi in uso presso di loro. Soltanto nel terzo secolo questi versetti
hanno trovato ospitalità nel vangelo di Giovanni, vangelo da sempre considerato
diverso, un po’ eretico, comunque poco letto perché difficile, ostico e quindi
adatto ad accoglierli o, meglio, a nasconderli. Lo stile, la grammatica, i temi
adoperati escludono assolutamente che il brano sia di Giovanni; è senz’altro di
Luca, infatti se si prende il vangelo di Luca al cap. 21, versetto 38, e si inserisce
questo brano, ci si accorge che combacia perfettamente.
Era molto difficile
che questo brano venisse commentato; i primi a farlo sono stati i padri di
lingua greca nel nono secolo. I padri di lingua latina in occidente hanno
iniziato a commentarlo nel dodicesimo secolo, 1000 anni dopo che era stato
scritto!
Ho detto che per
secoli nessuna comunità lo ha voluto; in merito vi è una testimonianza autorevole,
quella di S. Agostino che rimprovera le comunità di non volere questo brano e
lo fa con queste parole: “…alcuni di fede
debole o piuttosto nemici della fede autentica per timore, io credo, di
concedere alle loro mogli l’impunità dal peccare, toglie dai loro codici(2)
il gesto di indulgenza che il Signore compì verso l’adultera come se colui che
disse: d’ora in poi non peccare più, avesse concesso il permesso di peccare”.
Ecco il motivo per
cui nessuna comunità lo voleva: perché il perdono che Gesù concede alla donna
adultera senza rimproverarla, senza invitarla alla penitenza, era scandaloso,
era intollerabile, e soprattutto era pericoloso per gli uomini che dicevano: se
le nostre donne sapessero che il Signore le adultere le perdona così…!!
“Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi.” il monte degli ulivi
si trova proprio di fronte alla spianata del tempio che è il teatro di questo
episodio.
“Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il
popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.”. Questo è il motivo
per cui scatterà poi la trappola contro Gesù. Gesù insegna a ragionare con la
propria testa e tutta la folla va ad ascoltarlo.
“Allora gli scribi e i farisei…”, la casta al potere
non ne può più, ma non sa come fare per interrompere questo stato di cose perché
fintanto che la folla lo sostiene non possono eliminarlo. E’ necessario trovare
una trappola in modo che Gesù da solo si danneggi o in qualche maniera
contravvenga alla legge.
“…gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la
posero in mezzo e gli dissero:…”.
È l’alba, quindi si
vede che questa donna deve essere stata spiata. Sinceramente sorge il sospetto
che sia stata stuprata apposta.
Facciamo un momento
mente locale: le immagini sacre, sopratutto i quadri, ci hanno abituato a
vedere questa donna un po’ procace, una bella donna, e quindi ci si immagina
l’adultera con questi stereotipi. Ma dalla pena di morte che scribi e farisei
chiedono per questa donna, noi scopriamo che si tratta di una ragazza, che è
ancora nella prima fase del matrimonio.
Per comprendere la
scena ci dobbiamo rifare all’istituzione giudaica del matrimonio che è totalmente
diversa dalla nostra(3). Il matrimonio ebraico è fatto di due tappe
ben distinte. La prima è una sorta di promessa di matrimonio che si verifica
quando la ragazza ha 12 anni e un giorno e il marito 18 anni e un giorno: l’uomo,
accompagnato dai genitori, va in casa della sposa, dove viene contrattata la
dote. Normalmente è quello il giorno in cui sposo e sposa si conoscono per la
prima volta. Conclusa positivamente la trattativa, l’uomo copre con il velo
della preghiera (in Israele sono gli uomini che lo portano) il capo della donna
e dice: tu sei mia sposa. Lei risponde(4): tu sei mio sposo. Da quel
momento sono “fidanzati”(5) e ognuno torna a casa sua.
Un anno dopo, quando
la ragazza sarà in grado di concepire, verrà portata alla casa dello sposo per
la seconda parte del matrimonio (le nozze) ed incomincia la convivenza.
In caso di adulterio
nella prima parte del matrimonio, quando la convivenza non era ancora
iniziata,la pena prevista era la lapidazione. Per l’adulterio nella seconda
parte era prevista invece la pena dello strangolamento.
Dalla pena che
chiedono gli scribi, la lapidazione, sappiamo che la donna si trova nella prima
parte del matrimonio e quindi è una ragazza tra i 12 e i 13 anni.
La lapidazione è
prescritta dal libro del deuteronomio (Dt 22,23-24): “…quando una
fanciulla vergine è fidanzata e un uomo, trovandola in città, si corica con
lei, condurrete ambedue alla porta di quella città e li lapiderete così che
muoiano…” Li condurrete, e qui l’uomo dov’è? Hanno colto questa donna sul
fatto, in adulterio, e l’uomo? Hanno avuto un occhio di riguardo, come mai? Per
questo parlo di sospetto stupro, realizzato ad arte(7).
“…la
fanciulla perché essendo in città non ha gridato e l’uomo perché ha disonorato
la donna del suo prossimo. Così estirperai il male in mezzo a te”.
L’adulterio era
frequente perché i matrimoni non erano d’amore, erano matrimoni di convenienza
gestiti dalle famiglie senza che gli sposi si conoscessero.
Attenzione però: le
Scrittura è parola di Dio, ma è stata scritta dagli uomini e qualcosa a loro
vantaggio se lo sono messa, infatti hanno prescritto che il maschio ebreo commette
adulterio se ha rapporti con una donna ebrea e sposata; ma poteva andare con tutte
le donne pagane che voleva e questo non era adulterio.
Per la donna invece
adulterio era ogni rapporto con un uomo, chiunque fosse(7).
Quindi, portano a
Gesù una ragazzina colta in adulterio e gli
dicono:
“«Maestro…”. Falsi!! Maestro è il titolo con il quale i
discepoli, cioè coloro che vogliono apprendere, si rivolgono al loro maestro; in
realtà loro non vogliono apprendere da Gesù, vogliono soltanto condannarlo. E’
la falsità delle persone religiose che, come dice il Salmo 55 al versetto 22 “…hanno
la bocca più untuosa del burro”.
“…questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora
Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne
dici?”.
La
trappola è congegnata perfettamente. Abbiamo detto che c’è una folla che va al
tempio per ascoltare Gesù, perché sente da Gesù che Dio è amore, che Dio ama
tutti quanti, che Dio perdona prima che il perdono venga richiesto, un Dio dal
cui amore nessuno viene escluso; addirittura Gesù, cosa scandalosa a
quell’epoca, nel suo gruppo di discepoli ha accolto pure delle donne.
Nella lingua ebraica
il termine discepolo esiste soltanto al maschile, non esiste il termine
femminile equivalente di discepola, perché il discepolo, nella mentalità
ebraica, è soltanto maschio. Gesù, espressione di un Dio dal cui amore nessuna
persona, qualunque sia la sua posizione e la sua condotta può essere esclusa, ha
ammesso pure delle donne al suo seguito. Tutta questa gente attende da Gesù una
risposta conforme al suo insegnamento. Se dice: osservate la legge di Mosè,
tutta la folla si delude e lo abbandona. Se Gesù dirà: no, perdoniamola, per
gli scribi Gesù ha bestemmiato, è reo di morte, ed essendoci nel tempio le
guardie, Gesù verrà rapidamente catturato.
Luca è uno scrittore
straordinario, stupendo, è perfettamente padrone della lingua greca ed ha la
capacità, quando è necessario, di non intingere la penna nell’inchiostro, ma
nel vetriolo.
Ecco l’affondo di Luca:
“Dicevano questo per metterlo alla prova
e per avere motivo di accusarlo.” In italiano la frase non rende bene
l’asprezza di Luca anche grazie ad una traduzione un po’ addolcita. In greco
suona “…questo lo dicevano per
tentarlo...”.
Il verbo tentare
appare tre volte nel vangelo di Luca e la prima volta è stato attribuito al
satana nel deserto. Qui abbiamo gli scribi; gli scribi, a dispetto del nome,
non erano scrivani, erano i teologi ufficiali, erano il magistero infallibile
del tempo. La parola dello scriba aveva lo stesso valore della parola di Dio,
anzi era superiore. Dicevano: quando trovi un contrasto tra l’insegnamento
dello scriba e quello che c’è scritto nella Bibbia, dai retta allo scriba
perché è lui che la interpreta rettamente.
L’evangelista li
smaschera. Queste persone che sembrano tanto pie e tanto devote, in realtà agiscono
come il satana, tentano Gesù; dice Luca: attenti a queste persone che sembrano
tanto pie, tanto devote, tanto religiose, che per farsi vedere vestono in
maniera particolare, prima del nome si fanno precedere da tanti titoli religiosi
per far vedere che loro sono più vicini al Signore; attenti, non solo non
aiutano ad avvicinarsi al Signore, ma sono dei tentatori che vogliono accusare
le persone. La denuncia che fa l’evangelista è tremenda: nel tempio, un luogo
santo per eccellenza scribi e farisei svolgono la funzione del satana.
“Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra.” Gesù non
risponde, Gesù si china e comincia a scrivere per terra con il dito. Quella di
Gesù è un’azione profetica che rimanda a quanto troviamo scritto nel libro del
profeta Geremia (Ger 17,13) dove il
Signore viene presentato come una fonte di acqua viva: quelli che si avvicinano
dissetandosi hanno la vita, quelli che abbandonano la fonte d’acqua viva
saranno scritti nella polvere, cioè saranno morti. Gesù, scrivendo nella
polvere, sta accusando questi scribi e farisei di essere definitivamente morti.
E loro capiscono benissimo l’atto di Gesù.
L’azione di Gesù è
una azione simbolica. Gesù denuncia che la grande difesa della legge da parte
degli scribi e farisei serve soltanto per mascherare il loro odio per lui, un
odio che è mortale. Per Gesù coloro che covano sentimenti di morte sono già morti.
Dirà l’autore della prima lettera di Giovanni (1Gv 3,14b-15): “...Chi non ama
rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete
che nessun omicida ha più la vita eterna che dimora in lui.”
Gesù vedendo queste
persone tanto pie, tanto religiose che covano sentimenti di morte verso la
ragazza che viene usata come un’esca, ma soprattutto verso Gesù, si mette a
scrivere in terra.
“Tuttavia, poiché insistevano nell'interrogarlo, si alzò
e disse loro:…” Ed ecco la risposta inaspettata di Gesù: “«Chi di voi è senza peccato, getti per primo
la pietra contro di lei».”
Nella giurisdizione ebraica
la condanna a morte per lapidazione non avveniva come talvolta abbiamo visto nei
film o come possiamo immaginare, cioè che ognuno lanci un sasso contro il
malcapitato. Dice il Talmud: “si mette il condannato in una fossa profonda
quanto due uomini, uno dei testimoni spinge da dietro il condannato in modo che
cada sui fianchi. Se muore durante la caduta ha compiuto il suo dovere,
altrimenti il secondo testimone prende una pietra e la getta sul suo cuore. Se
muore ha compiuto il suo dovere altrimenti è lapidato da tutti gli israeliti”.
Il Talmud precisa inoltre che “la pietra deve essere talmente pesante che a
malapena due uomini la possano sollevare”, (quindi sui 50 kg). Quindi chi getta
per primo la pietra non è quello che dà inizio alla lapidazione, è quello che
ammazza perché una pietra di 50 Kg che cade sopra una persona, la uccide. Poi
tutti gli altri colmano il fossato con il lancio delle pietre.
E di nuovo Luca scrive
con ironia “E, chinatosi di nuovo,
scriveva per terra.” Si vede che l’elenco delle persone morte era abbastanza
lungo. Ed ecco questo gruppo che si era mostrato tanto compatto nell’andare ad
accusare la donna e incastrare Gesù, piano piano, vistosi in pericolo, se la
squaglia uno alla volta. L’evangelista con grande ironia scrive: “Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per
uno, cominciando dai più anziani.” Il termine usato dall’evangelista non va
tradotto con “più anziani”, perché
subito si pensa a dei vecchi: qui non ci sono i vecchi, qui sono i presbiteri(8),
i membri del Sinedrio che avevano la possibilità di emettere anche le sentenze
di morte(9); la parola usata da Luca riporta ai presbiteri protagonisti
del cap. 13 del libro di Daniele, il noto racconto della “casta Susanna” ed è proprio
a quel racconto che fa riferimento Luca.
“Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo.”.
Ed ecco ora il motivo
per cui questo brano venne considerato inaccettabile dalla comunità cristiana:
“Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna,
dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E
Gesù disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più»”.
Gesù, che non è
venuto per giudicare, ma per salvare, non rimprovera la donna, non la umilia,
non le fa la ramanzina, neanche la insulta, non la invita neanche a pentirsi e neanche
a chiedere perdono. Il perdono di Dio le è già stato concesso, sta alla donna rendersi
conto di questo perdono e con il perdono del Padre ha ricevuto anche la forza necessaria
per tornare a vivere. Ecco perché Gesù dice: “…va e non peccare più”, perché le è stata donata la forza per
rinnovare la propria vita.
Il Dio di Gesù è
amore, il Dio di Gesù non punisce e, soprattutto, il Dio di Gesù in nessun modo
mette paura. Se, per la tradizione religiosa che abbiamo alle spalle, per
quello che ci è stato insegnato, a volte emerge in noi un’immagine di un Dio
che ci mette paura, sbarazziamocene senza esitazione perché è un Dio falso che
non ha diritto di abitare nella
nostra esistenza.
Nota: 1. L’esegesi
che segue è liberamente tratta dall’intervento di P. Alberto Maggi nel Convegno
Biblico di Cuneo, 16,17 e 18 giugno 2006. – 2. Per codice allora si intendeva
il testo manoscritto dei vangeli. – 3. Ricordo che il matrimonio ebraico non
riveste alcun carattere religioso o sociale ed è un atto privato fra due
famiglie. L’unico risvolto religioso è il fatto che un celibe con più di 22
anni ed una nubile con più di 13 anni sono considerati pubblici peccatori. – 4.
La donna non ha alternative: ha l’obbligo di sposarsi perché nella concezione
ebraica la verginità è un gravissimo peccato. – 5. Il termine che io ho usato è
improprio ma non ne ho trovato un altro: il tipo di legame dei due futuri sposi
è più stretto di un nostro fidanzamento perché può essere rotto solo con un
atto di ripudio, ma non è ancora un legame matrimoniale. – 6. Occorre ricordare
che la testimonianza della donna non aveva validità alcuna in un eventuale
giudizio, quindi, anche se avesse denunciato lo stupro, non sarebbe stata creduta.
– 7. La parola di Dio (Num 5,27) prescrive che qualora il
marito sospetti la moglie di adulterio la deve portare al tempio o in sinagoga;
il sacerdote innanzitutto toglierà il velo dal capo della donna (un disonore
perché soltanto le prostitute erano senza velo) poi comincerà a spazzare la
sala dove si trovano (del tempio o della sinagoga) raccoglierà la polvere, la
metterà in un calice, ci verserà dell’acqua e poi scriverà tutte le maledizioni
che sono previste dalla legge contro l’adultera, metterà lo scritto nel calice,
ne farà un infuso e lo darà da bere alla donna. Se le viene il mal di pancia è
colpevole, se invece sopravvive no. Una
delle pagine più agghiaccianti che siano mai state scritte ed è stata messa in
pratica per secoli. – 8. Il termine presbitero
in greco significa “anziano” ma non nel senso dell’età, bensì dell’onore.
Questi uomini d’onore erano membri del Sinedrio, la camera di gestione
amministrativa di Israele sotto il dominio romano. – 9. Ma non di eseguirle.
Per questo bisognava rivolgersi al prefetto romano.