I domenica di Quaresima - Mt
4,1-11
Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel
deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e
quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse:
«Se tu sei Figlio di Dio, di' che queste pietre diventino pane». Ma egli
rispose: «Sta scritto: Non di solo
pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».
Allora il diavolo lo
portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se
tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle
loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra».
Gesù gli rispose: «Sta
scritto anche: Non metterai alla prova
il Signore Dio tuo».
Di nuovo il diavolo lo
portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro
gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi,
mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo
renderai culto».
Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo
servivano.
"Allora, Gesù…".
Questo "allora" crea una continuità con l'episodio precedente, cioè
il battesimo di Gesù. Da qui partiamo per cercare di comprendere questo
episodio che ha un grande valore umano e teologico, ma non storico cioè non è
mai accaduto, almeno nei termini con cui è riportato da Matteo. In questo
episodio vi sono tre elementi che occorre analizzare: lo Spirito, il deserto e
il diavolo.
Lo Spirito: Gesù, immergendosi nell'acqua del Giordano
viene riconosciuto dal Padre come "il figlio prediletto" (Mt 3,17)(1), cioè colui che
eredita tutto. Quindi in Gesù, dopo il battesimo, c'è tutta la pienezza di Dio
e il Padre gli effonde lo Spirito, cioè la sua capacità d'amore. E’ proprio
questa capacità di amare che lo metterà in tale contrasto con il mondo che lo
circonda da fargli desiderare di non possederla e di pensare solo a se stesso.
Il deserto: per Matteo, profondamente ebreo, in Gesù
rivive tutta la storia del popolo di Israele, che una volta liberato dalla
terra della schiavitù, cioè dall’Egitto, secondo quanto riportato nel libro
dell’Esodo, viene messo alla prova da Dio nel deserto per vederne la capacità.
Non solo, il deserto ha anche un valore simbolico: per gli ebrei la parola
deserto rievocava un luogo senza persone, disabitato, in contrasto con la
nostra simbologia dove deserto è un luogo senza acqua. L’ingresso di Gesù nel
deserto da la possibilità a Matteo di far comprendere come Gesù nella sua
predicazione, nonostante fosse circondato da numerosi disepoli, si sentisse
solo perché, sostanzialmente, era incompreso.
Il diavolo: in questo brano Matteo vuole innanzitutto sottolineare
che le prove della vita non vengono da Dio(2), e, per farlo,
utilizza la presenza di questo personaggio.
Anzitutto, bisogna
dire che questo episodio, e qui va compresa la tecnica letteraria degli
evangelisti, non indica un determinato e ben circoscritto periodo della vita di
Gesù, nel quale egli ha vissuto questa lotta, e una volta uscito vincitore ha
proseguito nella sua attività. L'evangelista, mettendo questo episodio
all'inizio dell'attività di Gesù, vuol dire che tutta la sua vita sarà
all'insegna della tentazione. Non quindi un episodio di quaranta giorni nella
vita di Gesù, ma un avvertimento dell'evangelista: attento lettore, perché in
tutta la sua esistenza Gesù verrà sottoposto a queste terribili tentazioni che
non sono facili da superare. La chiave di comprensione risiede in quel numero quaranta che, nella numerologia ebraica,
unito alla parola giorni, equivale a
“tutta la vita”.
Per la prima e ultima
volta, occorre sottolinearlo, nel vangelo appare questo personaggio; nei vangeli
il diavolo ha un ruolo estremamente marginale.
Normalmente noi
confondiamo tra di loro le figure del satana, dei demòni e del diavolo. Vediamo
se, in breve, riesco a spiegare chi sono e perché sono state introdotte nel
cristianesimo.
Il satana: gli ebrei pensavano che Dio inviasse il
satana per esaminare il comportamento di ciascuno (cfr Gb 1,6-17) e quindi punirli dei loro peccati(3).
Satana, in ebraico, non è un nome proprio di persona, ma un nome comune che
indica una attività, quella del pubblico ministero, dell’avversario in un
processo. Il pubblico ministero ha il compito di far risaltare le accuse, la
gravità del comportamento: questa è l’azione del satana nell’A.T., mutuata
dall’organizzazione dell’impero persiano (Israele è stata per alcuni secoli
sotto il dominio persiano); infatti il satana era un funzionario della corte
persiana. Questo funzionario girava per le regioni e guardava il comportamento
dei governatori: se uno si comportava bene lo segnalava al re per farlo
promuovere, per premiarlo; se uno si comportava male lo segnalava al re per
castigarlo, eventualmente anche con la morte. Sempre secondo il pensiero ebraico,
per punire gli uomini Dio inviava loro le malattie la cui gravità era
proporzionata ai peccati commessi(4); la malattia era inviata
tramite il satana che, a sua volta, demandava l’applicazione della pena ad
alcuni dei minori fenici che, in lingua greca, venivano chiamati daimonios(5) come Beelzebùl (Baal
Zebub, il dio delle mosche), citato da Luca (Lc 11, 14-23).
Nel N.T., “il satana” perde il suo ruolo di accusatore, tipico
dell’A.T. Nel vangelo di Luca, Gesù ne sancisce la fine: (Lc 10,17-18) “I
settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: «Signore, anche i demòni si
sottomettono a noi nel tuo nome(6)». Egli disse: «Io vedevo il satana
cadere dal cielo come la folgore.”
La caduta dal cielo (cioè da una posizione di importanza) del satana è una conseguenza
diretta della presa di coscienza da parte dell’uomo della propria capacità di
costruire il regno di Dio.
I demòni(7): oltre
ad essere identificati negli dei fenici portatori di malattie, i demòni entrano
nella Bibbia con la traduzione dall’ebraico in greco fatta in Alessandria
d’Egitto nel II secolo a.C. da parte dei cosidetti “Settanta”. Non si tratta di
una semplice traduzione, ma anche di un arricchimento con glosse esplicative o
modifiche talora di considerevole importanza, la cui eco si sente anche nei
Vangeli. Scompaiono infatti tutti gli elementi mitologici tipici delle
tradizioni più antiche come i satiri, le sirene, i centauri, i fauni, le
streghe; i traduttori, che vivevano in una società greca cioè in una società
intellettuale, evoluta anche a livello teologico e spirituale e quindi lontana
dalle forme della mitologia antica, tutte le volte che hanno trovato queste
espressioni (se ne conoscono 19 casi), le hanno tradotte sistematicamente con
il termine “demòne” che in greco significa essere appartenente agli dei, sia
buono che malvagio, ma anche malattia, ossessione, superstizione.
Una
reminiscenza di questo significato l’abbiamo anche in italiano quando diciamo
che un tizio ha il “demone del gioco”, ha l’ossessione del gioco, è quindi
malato. La traduzione dei Settanta è stata il testo di riferimento degli
evangelisti che, non essendo più conoscitori della lingua ebraica antica, hanno
dovuto riferirsi alla traduzione in greco; un esempio chiaro di questa
influenza si ha nella traduzione di Isaia 7, 14: “Ecco, la giovane
(“almah” in ebraico) concepirà e partorirà un figlio che chiamerà
Emmanuele (Dio con noi)”. Isaia si riferisce alla giovane moglie di Achaz,
re di Giuda; i Settanta tradurranno almah con vergine, consentendo la
lettura del versetto come profezia messianica.
Il diavolo: il termine, dal punto di vista etimologico(8),
ha lo stesso significato di “il satana”,
anche se in senso dispregiativo, ma ha assunto tradizionalmente il significato
di “tentatore” e tale è la sua
funzione nel vangelo di Matteo. La figura del diavolo è, insieme a quella dello
“spirito impuro” del vangelo di Marco, una trasformazione antropologica(9)
dei sentimenti umani. Matteo sintetizza in questa figura il sentimento
dell’egoismo esattamente come Marco sintetizza negli spiriti impuri i
sentimenti di rabbia e rivolta violenta nei confronti delle parole di Gesù(10).
Nella Bibbia è
assente la leggenda di Lucifero(11), il bellissimo angelo caduto a
causa del suo orgoglio e della sua superbia, e degradato per sempre ad orrendo
diavolo. L’immagine tradizionale del diavolo (corna, zoccoli e coda) ha origine
dalla rappresentazione mitologica del dio greco Pan fatta propria
dall’immaginazione medioevale.
Una prima idea del
peccato d’orgoglio di un arcangelo, affiora in testi apocrifi dei primi secoli
del cristianesimo. La leggenda di Lucifero nasce dalla fusione di due brani
dell’A.T.: la satira contro Nabucodonosor re di Babilonia del profeta Isaia(12),
e quella contro Et-Baal re di Tiro del profeta Ezechiele(13).
Il primo autore
cristiano che identificò il diavolo con Lucifero, è Origéne nel II sec. d.C.
Dei due re delle satire di Isaia ed Ezechiele, fece un solo personaggio:
l’angelo decaduto. Questo divenne, in modo incomprensibile, l’indiscussa
tradizione nella Chiesa.
Nel IV sec. Girolamo
si adoprò per confutare quanto affermato da Origéne, ma a causa di un suo
errore di traduzione (Girolamo ha fatto molti errori che hanno pesato molto
sulle decisioni dottrinali), Lucifero divenne comunque l’angelo decaduto che
urla la sua disperazione.
Nel VI sec. Gregorio
Magno (lo stesso che, a torto, definì prostituta Maria Maddalena14)
legittimò definitivamente la convinzione che il diavolo fosse un angelo
decaduto; Gregorio fu un papa grande, anche negli errori.
Il successo della leggenda dell’angelo caduto, ebbe come conseguenza la
fine della chiara distinzione presente nella Bibbia tra il satana, il diavolo e
i demoni; i tre termini furono uniti in uno solo, Lucifero, il demonio che
diventa il satana, il diavolo per eccellenza, perdendo così il significato
reale dei termini e la loro importanza teologica.
"E dopo
aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame". Il digiuno di Gesù
non è un digiuno religioso. Matteo specifica che il digiuno durò anche quaranta
notti, oltre che quaranta giorni, proprio per indicare che Gesù non faceva il
digiuno religioso che iniziava all'alba e finiva al tramonto.
Matteo mette in
parallelo Gesù con Mosè, che prima di ricevere da Dio la Legge sul Sinai
digiunò quaranta giorni e quaranta notti (Es.
34,28; Dt. 9,9-11).
Il
"digiunare" di Matteo indica una esperienza di pienezza di Dio da
parte di Gesù il cui "nutrimento" è nella sua Parola che riempie la
vita. Allo stesso modo, la "fame" di Gesù non va intesa in senso
fisico, ma come desiderio di Gesù di cibarsi di quanto proviene da Dio e di
poterlo comunicarlo agli altri.
"Il
tentatore allora gli si accostò e gli disse: «Giacché sei Figlio di Dio, di’
che questi sassi diventino pane»". Non ci dobbiamo
scandalizzare delle differenze che ci sono tra i vangeli, perché ogni evangelista ha una sua linea
teologica. Negli altri vangeli Gesù viene tentato durante questi quaranta
giorni; qui, nel Vangelo di Matteo, la tentazione inizia dopo questo periodo.
"Tentare" o
"tentatore" è un termine che nei Vangeli verrà sempre attribuito ai
farisei, sadducei e dottori della legge. L'evangelista sta dicendo al lettore:
attento, che questo diavolo non è uno spiritello calato da qualche parte del
cielo, ma trova riscontro nell'esistenza di Gesù. Non è uno spiritello, sono i
farisei, sadducei e dottori della legge, all'esterno del gruppo di Gesù, e
all'interno vedremo poi che sono i suoi stessi discepoli.
Il tentatore si
avvicina a Gesù e gli dice: "Se sei Figlio di Dio...". La
traduzione non esprime correttamente il pensiero di Matteo: è meglio tradurre
questa espressione con "Giacché sei Figlio di Dio, di’ che questi sassi
diventino pane". Cioè, trai dei vantaggi da questa tua condizione(15);
se c'è Dio che ti protegge, giacché sei il Figlio e quindi hai assicurata la
sua protezione, usa le tue capacità a tuo vantaggio, di’ che queste pietre
diventino pani.
Per il tentatore il
pane serve per salvare se stesso, salvare la propria vita, mentre Gesù stesso
si farà pane per salvare la vita degli altri, donando la propria vita.
Sarebbe qui
interessante mettere in paragone l’insegnamento dato da Gesù con la
moltiplicazione dei pani(16): per Gesù l'abbondanza dei pani non verrà per un intervento prodigioso da
parte di Dio, non c'è più bisogno di moltiplicare i pani, basta condividere
generosamente quelli che ci sono, e si crea l'abbondanza e si sfama tutta
l'umanità.
"Sta
scritto: «Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca
di Dio»". Questa risposta di Gesù è presa da un testo del libro del
Deuteronomio, che riguarda le prove del popolo nel deserto, dove l'autore
scrive che Dio ha sottoposto alle prove il suo popolo per quarant’anni (Dt 8,1-6). Ecco il paragone tra i
quarant’anni nel deserto e i quaranta giorni di Gesù. La tentazione di Gesù è
la stessa che ha vissuto il popolo di Israele. Nel libro del Deuteronomio si
legge che Dio donò al popolo la manna, la manna scesa dal cielo, come segno di
garanzia della fedeltà di Dio al suo popolo, ma il popolo non credette e ne fu
deluso.
Gesù si affida alla
parola che esce dalla bocca di Dio, parola con la quale il Signore manifesta la
sua volontà, che è la garanzia della protezione divina. Quindi non usare a proprio vantaggio i benefici, ma usare tutte le
proprie capacità a vantaggio degli altri. Questa tentazione si ripeterà
abbondantemente lungo tutta la vita di Gesù.
Allora il diavolo lo
portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se
tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle
loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra». Gesù aveva risposto
alla prima tentazione ponendo una fiducia totale nel Padre. Gesù sa che non c'è
da affannarsi, lo dirà lui stesso, su cosa mangeremo, perché il Padre tutte
queste cose le dà in abbondanza (Mt
6,25-34). Perciò il tentatore, preso atto di questa fiducia, la spinge agli
estremi, lo conduce sul pinnacolo del tempio e lo invita a buttarsi di sotto,
citando un salmo (Sal 91,11-12).
Questo diavolo si dimostra un esperto conoscitore della Bibbia, un teologo
competente, esattamente come lo erano i farisei e gli scribi avversari di Gesù.
È una tecnica che l'evangelista usa per dire che a questo diavolo che capisce
tanto la Bibbia, che sa ribattere prontamente a Gesù, Gesù sì rivolge con la
parola di Dio e il diavolo, prontamente, ribatte con un altro passo; cosa tipica
delle dispute tra i rabbini.
Quindi, il diavolo lo
porta sul pinnacolo del tempio, cioè il punto più alto del tempio e gli dice di
buttarsi giù; perché? Queste non sono tentazioni grossolane, ma molto fini
realizzate per far vibrare le corde profonde dei credenti ebrei, perché la
tradizione religiosa diceva: quando il Messia apparirà, apparirà
improvvisamente sul pinnacolo del tempio, cioè ci sarà un intervento
prodigioso, straordinario da parte di Dio. Il tentatore non fa altro che dire a
Gesù: "Fai quello che la gente si aspetta da te: vuoi essere
riconosciuto come il Messia? Guarda che il Messia, te lo dico io, arriverà
mostrandosi sul pinnacolo del tempio. Allora va’ sul pinnacolo del tempio e,
già che ci sei, metti un pizzico di prodigio in più e scendi volando sulle ali
degli angeli".
Ebbene, Gesù rifiuta di fare quello che la gente si attende e rifiuta,
soprattutto, un Dio che si manifesta attraverso segni di potere.
Questo è importante
anche per noi oggi. Chi pensa a un Dio di potere, chi attende di vedere i suoi
segni come segni prodigiosi di potere, non li vedrà mai, perché Dio è un Dio di
amore e i suoi segni sono quelli dell'amore. Chi si aspetta di vedere l'intervento di Dio nella propria esistenza,
attraverso dei prodigi, miracoli straordinari o cose che destino sensazione,
non vedrà mai Dio, perché Dio non è il potere, non si può manifestare nel
potere, ma Dio è amore e si manifesta unicamente nell'amore e l'amore,
normalmente, non fa chiasso e non sbraita.
Questa tentazione che
ora il diavolo fa a Gesù, gli sarà poi rivolta sulla croce dai sommi sacerdoti,
dagli scribi, dagli anziani e da tutto il popolo: "Se tu sei Figlio di
Dio, scendi dalla croce!" (Mt 27,40).
Questo è il dio del potere; del resto chi di noi, almeno quando eravamo
piccoli, non ha desiderato che Gesù, una volta crocifisso, avesse fulminato
tutti i suoi avversari, o fosse sceso giù dalla croce per fare una strage di
coloro che lo avevano inchiodato? Questo è il dio del potere, quello che la gente
vuole, un dio che manifesta la sua divinità attraverso un potere eclatante.
Gesù, invece, esala
il suo ultimo respiro e muore come un maledetto da parte di Dio.
Gesù,
questa volta "gli rispose: «Sta
scritto anche: Non metterai alla prova
il Signore Dio tuo». Nelle tentazioni si rivivono gli episodi del popolo
ebraico nel deserto: ad un certo punto il popolo si trova in una località,
chiamata Massa, dove non c'era acqua ed allora si ribella contro Mosè e contro
Dio: ci hai portati in questo deserto a morire di sete, era meglio rimanere in
Egitto, almeno là mangiavamo e bevevamo. Il popolo si chiese inoltre: ma questo
Dio è in mezzo a noi o no? (Es 17,1-7).
Nel libro del Deuteronomio si trova l'espressione: "Non tenterete il
Signore vostro Dio come lo tentaste a Massa" (Dt 6,16). Gesù non ha bisogno di chiedersi se Dio è con lui oppure
no. In questo brano l'evangelista anticipa il momento di Gesù sulla croce, dove
egli non ha il dubbio se Dio è con lui, oppure se lo ha abbandonato e non ha
bisogno di chiedere interventi straordinari che confermino la Sua presenza.
Gesù ha la certezza che Dio è sempre dalla sua parte.
Terza tentazione: le
tentazioni sono tre perché il numero tre nella cultura ebraica non è il tre
matematico, ma significa la completezza, ossia sta ad indicare che per tutta la
sua vita Gesù ha avuto queste tentazioni, come quando gli chiedono: noi ti
crediamo, facci solo un segno prodigioso dal cielo e così veniamo tutti con te.
Ma Gesù rifiuta sempre!
“Di nuovo il diavolo lo portò sopra un
monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli
disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai»”.
È la
tentazione suprema. L'ultima tentazione è posta su un monte, cioè il luogo di
abitazione della divinità. Questo monte, definito molto alto, è perciò il
massimo della divinità. Nella cultura di quell'epoca, ogni persona che deteneva
una qualunque forma di potere aveva la condizione divina. L'imperatore infatti veniva
considerato un dio, un figlio di dio, e così il re, il faraone. Tutti coloro che detenevano il potere erano
considerati di natura divina, ma per Gesù la sua natura divina, la sua
figliolanza con Dio non si manifesterà nel potere, nel dominio, ma nell'amore e
nel servizio.
Il tentatore mostra a
Gesù tutti i regni, allo stesso modo in cui Dio mostra a Mosè, salito sul monte
Nebo, tutto il paese (Dt 34,1-4). Nel
rispondere, Gesù demolisce, in un sol colpo, tutta la tradizione religiosa
ebraica di Israele come popolo eletto, chiamato a dominare tutti gli altri
popoli. C'è un salmo in cui Dio dice al suo Messia: "Ti darò in
possesso le genti e in dominio i confini della terra. Le spezzerai con scettro
di ferro, come vasi di argilla le frantumerai" (Sal 2,8-9). Il Messia della tradizione è un Messia che impone
l'ordinamento di Dio attraverso la violenza. Di conseguenza, le tentazioni non
sono qualcosa di cattivo che è facile per Gesù evitare, ma viene a lui proposta
la tradizione religiosa di Israele, quella radicata nel popolo. Guarda che è il
salmo, la stessa parola di Dio che dice questo! Sei il Messia? Devi dominare le
nazioni e, addirittura, le dovrai spezzare con scettro di ferro e frantumarle
come vasi di argilla. In molte immagini dell'antichità è tipico vedere il
faraone o il re con in mano lo scettro, con il quale spacca la testa del popolo
che ha conquistato. Perciò il tentatore non è il diavolo della nostra
tradizione che si presenta in maniera orribile - ed è perciò facile dire "Vade
retro Satana" -, ma i tentatori sono i farisei, la parte più
spirituale del popolo, sono gli scribi, questi teologi che parlano con autorità
e con mandato divino. Essi dicono: "Sei il Messia, sei il figlio di
Dio? Guarda che il Salmo 2, la parola di Dio, dice che il Messia dovrà dominare
e schiacciare gli altri popoli". Ecco la tentazione proposta a Gesù:
quella di conformarsi ad una tradizione religiosa, umana e spirituale.
Gesù, invece, si
sbarazza di questa logica; le sue ultime parole, quando inviterà i suoi
discepoli ad andare in tutto il mondo, non saranno di dominio, ma di mettersi
al servizio. Gesù dirà: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni,
battezzandole nell'amore del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo"
(Mt 28,19). Quindi, c'è sì da andare
verso altri popoli pagani, ma non con un atteggiamento di dominio, ma di
servizio. Gesù non accetta ed elimina l'arroganza di una tradizione religiosa
che presumeva il popolo di Israele come preferito da Dio, a dispetto di altri
popoli, come un popolo chiamato a dominare.
Gesù
risponde al tentatore: «Vattene, Satana(17)!
Sta scritto infatti: Il Signore, Dio
tuo, adorerai: a lui solo renderai culto».
Gesù scaccia il
diavolo con le parole del "Padre nostro" di Israele, lo "Shemà
Israél", ed è la professione di fede nella quale si afferma l'unicità
di Dio (Dt 6,13). Gesù si rifiuta di
adorare il potere e si rimette al Dio che lui ha conosciuto, al Padre che lo ha
investito con il Suo Spirito nel battesimo.
"Allora il diavolo lo
lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano". Il diavolo
lascia definitivamente la scena per non comparire mai più nel Vangelo: la sua
funzione è finita(18).
Sottolineo quello che
ho detto all'inizio: il diavolo nei vangeli ha uno spazio relativamente
marginale. La sua azione, però, sarà sempre presente lungo tutta l'esistenza di
Gesù. Essa verrà incarnata, all'esterno, dai farisei e dagli scribi, i
tentatori; quante volte nel vangelo troviamo l'espressione "si
avvicinarono a Gesù per tentarlo". Ma quello che è più grave è che la
tentazione verrà manifestata anche all'interno del gruppo di Gesù dagli stessi
discepoli, in particolare da Simone Pietro, l'unico verso il quale Gesù
dirigerà le stesse parole usate per il diavolo. Gesù a Pietro dirà la stessa
espressione "Vattene Satana(19)!", ma con
un’apertura: "torna a metterti dietro di me" (Mt 16,23).
Gli angeli, il segno
della protezione divina, esercitano allora il loro servizio, confermando la
fiducia che Gesù aveva nel Padre. Il tentatore gli diceva "manifesta
qualcosa di straordinario e gli angeli si metteranno al tuo servizio";
Gesù rifiuta lo straordinario, si mette in un atteggiamento d'amore e gli
angeli si manifestano.
Note: 1. La frase “Questo è mio figlio prediletto” era tradizione che
fosse pronunciata dall’imperatore romano per nominare il successore che veniva
così adottato e ereditava tutto l’impero. – 2. Gc 1,13-14: “ Nessuno, quando è tentato, dica: «Sono tentato da
Dio»; perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male.
Ciascuno piuttosto è tentato dalle proprie passioni che lo attraggono e lo
seducono”. – 3. Secondo la
concezione ebraica, il premio o la punizione delle azioni di un uomo venivano
date da Dio durante la vita; il premio consisteva in una vita serena (molti
figli, il granaio e gli otri pieni ed una morte quando era “sazio di anni”). La
punizione erano le malattie. Gli ebrei non pensavano esistesse una vita dipo la
morte. Solo dopo la metà del II sec. a.C. si inizia a diffondere in Israele
l’idea di una possibile resurrezione dei giusti, ovvero la prosecuzione della
vita nel “seno di Abramo” dopo la morte fisica. – 4. E’ opportuno sottolineare
che il concetto di peccato nell’ebraismo è totalmente diverso dal concetto di
peccato nel cristianesimo: il peccato ebraico consisteva nel contravvenire la
legge di Dio e quindi il peccato era contro Dio. Nel pensiero di Cristo il
peccato consiste nel rifiuto di amare gli altri e quindi si pecca contro gli
uomini. Nel cattolicesimo il concetto di peccato si posiziona a metà strada tra
il pensiero ebraico e quello di Cristo. – 5. La frase “scacciare di demoni” significa, nella
mentalità ebraica, “guarire le malattie”. Scacciare i demoni, quindi, nei
vangeli, è sinonimo di “guarire le malattie” e, quindi, anche di “perdonare i peccati” che erano stati la
causa delle malattie. – 6. Ovvero, “…nel
tuo nome guariamo le malattie”. – 7. Il termine
"demònio" deriva dal latino tardo daemonium traduzione del
greco daimónion ("appartenente agli dèi") e quindi collegato a
dáimōn il cui significato originario in lingua greca è quello di demone.
Nella Septuaginta tale termine occorreva ad indicare l'ebraico schedim
(idoli vendicativi) e seîrim (satiri).
– 8. Il termine "diavolo" deriva dal latino tardo diabŏlus,
traduzione fin dalla prima versione della Vulgata (V secolo d.C.) del termine
greco diábolos, ("calunniatore", "accusatore";
derivato dal greco diaballein anche qui nell'accezione di
"calunniare", "diffamare", "indurre verso una opinione
contrapposta"), a sua volta traduzione nei Settanta (II secolo a.C.) del
termine ebraico saṭan (avversario in un processo, nemico). Da notare che
Matteo usa talvolta diábolos e talaltra saṭan preferendo quest’ultima in funzione
vocativa. – 9. Con questa
espressione si intende che sia Marco che Matteo danno forma di uomo ai
sentimenti umani per rendere chiaro il pensiero di Cristo. Si ricorda che
questa operazione era in allora normale anche nella lingua parlata e lo è
tutt’ora nel Medio Oriente a causa della difficoltà che ha la mente orientale a
pensare tramite concetti astratti. – 10. Cfr
Mc 1, 21-28. – 11. “Lucifero” con il suo significato di “portatore di
luce” fu nei primi secoli cristiani un titolo di Gesù, e nel Nuovo
Testamento “stella del mattino” è una delle immagini del Signore (2Pt 1,19) che, nell’Apocalisse, Gesù
applica a se stesso (Ap 22,16). Anche
nel canto dell’Exultet si celebra Cristo come “Lucifer matutinus” e
nelle litania lauretane “stella del mattino” è applicata alla Madonna. –
12. Is 12,13-14: “Come mai
sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell'aurora? Come mai sei stato steso a
terra, signore di popoli? Eppure tu
pensavi: Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono, dimorerò sul
monte dell'assemblea, nelle parti più remote del settentrione”. – 13. Ez 26,18: “Ora le isole tremano, nel giorno della tua caduta, le isole
del mare sono spaventate della tua fine”. – 14. L’esegeta Jean
Pirot non accetta l'identificazione operata nel cattolicesimo, attraverso le
omelie di Gregorio Magno, di Maria di Magdala (Maddalena) con la peccatrice
citata in Lc 7,36-50. L'assimilazione di Maria di Magdala ad una peccatrice,
secondo Jean Pirot, è conseguenza di un errore di interpretazione del passaggio
di Lc 8,2 che dichiara Maria posseduta da sette demoni. Jean Pirot spiega che
questo "possesso" non era legato all'idea di peccato ma piuttosto ad
una nevrosi, come del resto le parole greche utilizzate da Luca lasciano facilmente
intuire. Questi errori sono la conseguenza del modestissimo livello culturale
del cattolicesimo che è durato fino alla seconda metà del XX secolo. – 15. Attenzione,
data la cultura ebraica di Matteo, è bene ricordare che "Figlio di Dio"
in questo passo non indica la natura divina di Gesù, ma indica la protezione
che Dio accorda ai suoi figli. La differenza è fondamentale e per comprenderla
è opportuno rifarsi alla tradizione regale riportata nei due libri di Samuele;
altrimenti non si comprenderebbe neppure il senso di tentare Dio che è “santo”
per eccellenza, cioè separato dal male. – 16. L’interpretazione dell’episodio della moltiplicazione dei pani,
considerato da molti il manifesto politico di Gesù, come invito ed esempio alla
condivisione per conseguire il benessere del popolo, è facilmente realizzabile
alla luce delle beatitudini e se si mette un momento in ombra la componente
miracolistica della esegesi tradizionale. – 17. L’uso di questo termine, da
parte di Gesù, potrebbe trarre in inganno; il dubbio scompare se si ricorda il
significato aramaico della parola “satan”
che in italiano suona anche “avversario” e come tale il diavolo finora si è
comportato. Vedere anche la nota 8. – 18. Secondo Luca (Lc 4,13), il tentatore ritornerà al
momento fissato. Luca fa riferimento alla Passione, quando i sommi sacerdoti,
gli scribi, gli anziani e tutto il popolo gli dirà: "Se tu sei Figlio
di Dio, scendi dalla croce!" (Mt 27,40;
ma anche Lc 23, 35-38). – 19. Vedi
nota 8 e 16.