Alcuni miei amici hanno avuto l'opportunità di leggere la prima bozza del mio studio su Gesù, lavoro che ha richiesto alcuni anni di ricerche ed elaborazioni. La lettura li ha interessati al punto che mi hanno proposto di diffonderlo. Se qualcuno è curioso di conoscere cosa ho scritto, inserisca una richiesta con indirizzo e-mail nei "commenti" (in fondo alla pagina del post) e provvederò a inoltrarlo.
sabato 15 marzo 2014
lunedì 10 marzo 2014
Seconda Domenica di Quaresima
Seconda domenica di Quaresima
– Mt 17,1-9
Sei giorni dopo, Gesù
prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte,
su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il
sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco, apparvero loro
Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a
Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una
per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una
nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che
diceva: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento.
Ascoltatelo». All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono
presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non
temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal
monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il
Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti».
Il
brano inizia subito con una chiave di lettura(1): “Sei giorni dopo”. Nei vangeli le indicazioni, che di per sé non sembrano strettamente necessarie per
la comprensione dell’episodio (che la trasfigurazione avvenga dopo sei giorni
o dopo tre, in
effetti, non sembra avere molta importanza) in realtà, nel linguaggio simbolico, sono molto importanti.
Il numero sei, il sesto giorno, è il giorno
della creazione dell’uomo;
non solo, è il giorno in
cui Dio si è manifestato nel Sinai: in Es 24,16 si legge “la gloria di Jahve venne a dimorare sul
monte Sinai e la nube” (ricordiamoci di questa nube che tra poco incontreremo) “lo ricoprì per sei giorni”.
Mettendo questa indicazione “sei giorni” l’evangelista unisce e
richiama questi due momenti: il giorno della creazione dell’uomo e il giorno
della manifestazione della gloria di Jahve sul monte Sinai. Fino dalle prime
battute del suo vangelo, l’evangelista vede in Gesù la piena realizzazione della
creazione da parte di Dio.
“Sei giorni dopo, Gesù prese con sé…”: in un episodio precedente (Mt
16,21-22), è Pietro che prende Gesù dalla sua parte; Gesù fa ora il
contrario. Inoltre l’evangelista ci fa capire che le cose non si mettono bene
per Simone: il discepolo non è presentato con nome e soprannome, ma unicamente
con il soprannome dispregiativo “Pietro”(2)
il che fa comprendere che farà qualcosa di contrario a Gesù. Non solo, ma nel
testo greco è presentato come “il Pietro”, addirittura con
l’articolo determinativo, il testardo, una forma di sottolineatura che mette in
guardia il lettore.
“…Giacomo e Giovanni suo
fratello…” Gesù prende questi tre discepoli perché sono
quelli che nel vangelo di Matteo hanno il ruolo di tentatori di Gesù. Nel
deserto il diavolo prese Gesù e lo portò su un monte alto e gli offrì, se lo
avesse servito, tutta la gloria di questo mondo; questa volta è Gesù che prende
lui i tentatori e li porta lui sul monte alto e vedremo poi perché.
Vediamo innanzitutto questi personaggi:
Pietro, Giacomo e Giovanni sono coloro che, dominati dalla tradizione, avranno
le maggiori difficoltà a seguire Gesù. Pietro è stato chiamato satana. Giacomo
e Giovanni, quando chiederanno i posti d’onore nel suo regno, si sentiranno
rispondere da Gesù che l’unico posto d’onore è quello accanto alla croce e
scompariranno dal vangelo. Sono anche i tre che Gesù prenderà con se nel
momento drammatico che precede il suo arresto nel Getsemani.
“…prese con sé Pietro,
Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte…”. Queste non sono indicazioni storiche e neanche topografiche; nell’antichità
il monte era considerato il luogo di congiunzione tra la terra e il cielo e,
quindi, la dimora divina. In tutte le mitologie (vedi l’Olimpo nella cultura
greca) e le religioni, le divinità abitano tutte in cima ad un monte. Ugualmente
anche oggi i santuari sono per lo più costruiti in cima ad un monte perché il
monte è il luogo della terra più elevato e più vicino al cielo.
Gesù portandoli su un monte alto, contrappone
questo monte al monte del deserto. Lì il diavolo lo aveva portato su un monte,
offrendogli tutto il successo attraverso il potere. Gesù li porta su un monte
alto e mostra loro che la condizione divina non si ottiene attraverso il domino
e il potere, ma attraverso il servizio e il dono di sé.
“…in disparte…” Tutte le volte che nei vangeli troviamo
questa indicazione, essa ha sempre un valore negativo. Significa che Gesù
sottrae i discepoli dal resto del gruppo, dalla folla, perché sono pericolosi,
perché non capiscono.
In precedenza, nel cap. 16 del vangelo di
Matteo, si narra che questi discepoli non accettano la morte di Gesù; per
questo Gesù li prende in disparte, li porta su un monte alto, segno della
condizione divina, e, scrive l’evangelista, “…fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue
vesti divennero candide come la luce”.
L’evangelista scrive che Gesù “fu trasfigurato”(3): è Dio
che lo trasforma, in lui l’azione creatrice di Dio viene portata a compimento
realizzando in Gesù una trasformazione o meglio un cambiamento luminoso,
durante il quale il suo volto brilla come il sole.
Attraverso queste immagini: il sole, la luce,
le vesti bianche, ecc., l’evangelista intende mostrare - questo è importante
anche per le comunità dei credenti di tutti i tempi – che la condizione
dell’uomo che è passato attraverso la morte(4) non diminuisce la
persona, ma la trasforma consentendole di manifestare tutto il suo massimo
splendore.
In questo episodio, l’evangelista anticipa gli
effetti della morte in Gesù: la morte non ha distrutto Gesù, ma gli ha
consentito di manifestare quello splendore che durante l’esistenza non gli era stato
possibile manifestare. La morte, secondo i vangeli, non distrugge l’individuo,
ma gli consente di liberare tutte le energie, tutte le sue potenze vitali e di
realizzarsi in una maniera completamente nuova.
Scrive Paolo, nella seconda lettera ai Corinzi,
che questa trasformazione, questa metamorfosi, non inizia con la morte, ma inizia
già durante la vita: “E noi tutti, a viso
scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo
trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione
dello Spirito del Signore” (2Cor 3,18).
I primi cristiani non credevano che sarebbero resuscitati dopo la morte, ma
credevano di essere già resuscitati e dicevano «se non si risuscita finché si è
vivi, quando si è morti non si resuscita più».
I primi cristiani credevano di avere una vita
di una qualità tale che, attraverso un processo di trasformazione che si
operava già in questa esistenza(5), la persona raggiungeva quella
che è la soglia definitiva.
In questo avvenimento in cui Gesù dimostra
qual è la condizione dell’uomo che passa attraverso la morte, “Ed ecco apparvero loro” (quindi a Pietro, Giacomo e Giovanni) “Mosè ed Elia” -
attenzione all’indicazione che dà l’evangelista - “che conversavano con lui”.
Questi due personaggi vengono proprio per
aiutare i tre discepoli indecisi(6): gli ebrei chiamano “la Legge e
i Profeti”, quello che noi chiamiamo A.T.(7); la Legge era stata
data a Mosè e i Profeti erano rappresentati da quello che era considerato il
massimo profeta, Elia. Qui appare, detto con il nostro linguaggio, tutto
l’Antico Testamento (Mosè ed Elia) che conversano - non con Pietro, non con
Giacomo, non con Giovanni - ma soltanto con Gesù. Mosè ed Elia non hanno più
nulla da dire alla comunità cristiana, ma possono soltanto dialogare con Gesù.
Questa definizione che dà l’evangelista è
importante perché tutti gli atteggiamenti negativi di Pietro, di Giacomo e di
Giovanni vengono dall’attaccamento alle tradizioni religiose che si erano
consolidate nell’A.T.(8), dalla concezione che il regno d’Israele dovesse
diventare dominatore di tutti gli altri popoli pagani, ed il Messia inviato da Dio attraverso il potere.
Tutto questo è finito. Né Mosè, né Elia, quindi né la Legge, né i Profeti,
hanno più nulla da dire alla comunità cristiana se non in quelle parti (sono
poche, ma ci sono) che sono conciliabili con l’insegnamento e l’attività di
Gesù.
Di fronte a questa scena (Mosè ed Elia che
conversano con Gesù) “Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù” - compare col solo soprannome dispregiativo e con l’articolo(9),
perciò sappiamo che quello che propone non è in sintonia con Gesù - «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò
qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia».
Ancora una volta Simone svolge il suo ruolo di
tentatore di Gesù, e seguita a essere non la pietra da costruzione(10),
ma la pietra di inciampo.
Per comprendere la tentazione che Pietro fa a
Gesù (o la seduzione, se preferite) bisogna rifarsi alla mentalità dell’epoca.
Tra le feste che c’erano in Israele, ce ne era una talmente importante, la più
conosciuta, la più popolare al punto che non veniva neanche nominata, veniva
semplicemente detta “la festa”: era la festa delle capanne. Era una festa di
origine agricola: in autunno, una volta terminata la vendemmia, si celebrava il
raccolto dimorando per sette giorni sotto delle frasche; nel corso dei secoli questa
festa agricola venne trasformata in festa religiosa in ricordo della
liberazione dalla schiavitù egiziana. Come il popolo aveva vissuto nomade nel
deserto, così la comunità israelita, per una settimana, riviveva questa festa
della liberazione vivendo sotto delle capanne fatte di frasche. È una festa
ancora attuale in Israele.
Essendo la festa della liberazione dalla
schiavitù, c’era tutta una tradizione ebraica che diceva: il Messia, nessuno sa
né da dove viene, nè quando verrà; si sa soltanto che apparirà improvvisamente
durante la festa delle capanne. Ecco cosa vuole Pietro.
Pietro, che vede Gesù con Mosè, cioè la Legge,
e con Elia, cioè i Profeti, dice: facciamo tre capanne, cioè manifestati come
Messia, come liberatore di Israele. Notate l’ordine: quando ci sono tre
personaggi, il più importante, nella mentalità ebraica, sta sempre al centro(11).
Per Pietro, non è importante Gesù, per Pietro è importante Mosè: “facciamo tre capanne: una per te, una per
Mosè” - al centro – “e una per Elia”.
Pietro è ancora condizionato da questa mentalità della Legge di Mosè, e pensa
che il Messia sia colui che deve far osservare la Legge.
La novità portata da Gesù è stata definita “vino nuovo”(12) ed è
incompatibile con le vecchie strutture religiose, con gli “otri vecchi”. La relazione che Gesù è venuto a portare tra gli
uomini e Dio, non è possibile farla inserire nelle strutture religiose
determinate dalla Legge. Sia Mosè che Elia venivano definiti servi del Signore,
e Mosè aveva stabilito un patto, un’alleanza, un rapporto tra gli uomini e Dio
come quella di un servo nei confronti di un Signore basata sull’obbedienza e
sull’offerta.
Con Gesù tutto questo è terminato. Gesù viene
ad inaugurare una nuova alleanza che non sarà basata sull’obbedienza come
quella di un servo, ma su un processo di assomiglianza; non più sull’offerta di
doni a Dio, ma presenterà un Dio che si offre agli uomini.
Quindi sono due vie completamente differenti.
Pietro, però, vuol mettere la novità portata da Gesù dentro gli “otri vecchi”
della religione e della Legge. Ma Legge e insegnamento di Gesù sono
assolutamente incompatibili. Il processo di Gesù è di liberare le persone dalla
Legge(13), dalla religione, per trasportarle nell’ambito della fede.
Non più ciò che l’uomo deve fare nei confronti di Dio, ma ciò che Dio fa nei
confronti dell’uomo.
“Egli stava ancora
parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra”. La nube era uno dei simboli della presenza di Dio come già accennato(14).
“Ed ecco una voce
dalla nube che diceva:…”. Pietro sta ancora
parlando e viene interrotto; questo, da ora in poi, sarà il comportamento di
Dio e dello Spirito Santo con Pietro.
Gesù è stato paziente con Pietro, lo Spirito
Santo e il Padreterno un po’ meno. Ogni volta che Pietro parla, arriva lo Spirito
Santo che lo interrompe perchè non è d’accordo con quello che sta dicendo
Pietro(15). In questo caso, è Dio stesso che non è d’accordo sulla
tentazione o sulla seduzione proposta da Pietro.
“…Questi è il Figlio
mio, l'amato…”: il rapporto con Dio non è più quello dei
servi nei confronti del loro Signore basato sull’obbedienza, ma quello dei
figli con il loro padre, basato sull’amore. È una relazione completamente
differente. La voce di Dio dice: “questi
è il figlio mio”, cioè quello che mi assomiglia, vedendo lui capite chi
sono io. Potremmo tradurre anche “questi è il mio unico erede” perché questo
era allora il significato della frase; unico erede significa colui che ha tutto
ciò che ha il Padre. Questo è avvenuto nel momento del battesimo, quando Dio
gli ha riversato sopra tutta la sua capacità d’amare, tutto il suo essere
amore, cioè lo Spirito Santo: ecco l’eredità di Gesù.
“…in lui ho posto il
mio compiacimento…” Il
Padre non si è compiaciuto in Mosè, non si è compiaciuto in Elia, che sono
espressioni parziali della religione e la religione non riuscirà mai a dare
l’idea di chi è Dio perchè Dio è al
di fuori della religione.
Se Gesù è stato ammazzato è perché lui non è
un riformatore religioso, Gesù non è un profeta che è venuto a portar avanti il
cammino degli uomini, sempre nell’ambito della religione. Gesù è al di fuori
della religione, ha estratto le radici marce della religione e ha dimostrato
che quello che gli uomini credevano favorisse la comunione con Dio, era ciò che
la impediva. Per questo tutta la società si è rivoltata contro Gesù: la società
religiosa, la società civile e la sua stessa famiglia(16), perché ha
distrutto le basi del potere.
Poi l’ordine, con il verbo espresso al tempo
imperativo: “Ascoltatelo”.
Sarebbe molto più corretto seguire la costruzione
greca “Lui ascoltate” perché rende
meglio il senso voluto da Matteo: non ascoltate né Mosè, né Elia, quindi né la
Legge né i Profeti, “Lui ascoltate”.
Matteo, attraverso questo brano, invita la sua comunità a prendere le distanze
da Mosè e da Elia, profeta riformatore, per fissare l’attenzione soltanto in
Gesù, l’unico che va ascoltato, perché è l’unico che riflette pienamente la
volontà di Dio. Quindi è un invito alla comunità cristiana a fissare
l’attenzione su Gesù, sul suo insegnamento e sulle sue opere.
“All'udire ciò, i
discepoli caddero con la faccia a terra”. La traduzione letterale dice “caddero sulla
loro faccia”, che è una espressione strana. Cadere sulla faccia è una
formula che indica una sconfitta, i tre discepoli si sentono sconfitti.
Pensavano di seguire un Messia riformatore della legge di Mosè, un Messia
violento sulla scia di Elia che si vantava di aver scannato, da solo, centinaia
di sacerdoti pagani!(17).
Vedono che Dio non è d’accordo, e cadono sulla
faccia in segno di sconfitta “…e furono presi da
grande timore”: non hanno
capito Gesù, lo hanno contraddetto, lo hanno tentato e adesso si attendono una punizione
da parte di Dio.
Nonostante tutto lo sforzo di Gesù di
trasportarli dalla religione alla fede, da un rapporto con Dio basato
sull’obbedienza e sul timore dei suoi castighi, ad un rapporto con il Padre
basato su un amore misericordioso e compassionevole, nonostante che seguono
Gesù, rimangono ancora vittime dell’idea religiosa.
Questo fa capire quanto è difficile sradicare
dalla nostra vita quelle idee perverse, che la religione ci ha messo, del
castigo di Dio, della condanna di Dio, di un Dio scontento, di un Dio offeso.
Si sono impauriti perché adesso aspettano i guai, si aspettano che il Signore
li castighi.
“Ma Gesù si avvicinò,
li toccò…” Gesù li tocca, li tocca come tocca gli
infermi e i morti per restituire vita. Gesù non si arrabbia, non si offende,
non minaccia e non castiga. Di fronte a questi discepoli che cadono come morti,
comunica loro la sua vita, e “…disse: «Alzatevi e non
temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.”
I discepoli sollevano gli occhi e scoprono di
aver perso la loro sicurezza: Mosè ed Elia davano ad essi la sicurezza di
essere nel giusto. Vedono Gesù solo, è un altro segno di desolazione. “Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non
parlate a nessuno di questa visione…” Matteo vuole sottolineare che questo non è un
episodio reale, storico, ma una visione, “…prima che il Figlio
dell'uomo non sia risorto dai morti”:
Detto con parole di oggi, Gesù dice: “Voi
avete visto qual è la condizione dell’uomo, di me, che passa attraverso la
morte, ma non dite niente a nessuno, perché prima dovete assistere alla
crocifissione”. Questa condizione non si ottiene per un prodigio da parte di
Dio, ma attraverso la umiliazione della morte più infame che, nel mondo
ebraico, era riservata ai banditi, ai fuorilegge. Gesù proibisce ai discepoli
di fare alcun cenno della loro esperienza perché essi sono ancora incapaci di
seguirlo sulla croce e non comprendono che la condizione divina passa
attraverso la morte. Solo quando Gesù sarà stato già resuscitato, tutto sarà
chiaro e, scrive Matteo, potranno parlare di quanto hanno sperimentato. Questo
sarà un processo lungo, quasi interminabile. Ci vorrà di nuovo l’intervento di
Dio perché questo processo di maturazione avvenga.
La lettura degli Atti degli Apostoli dimostra
come Gesù non ha abbandonato Pietro, ma lo ha seguito passo passo nel percorso
difficile, accidentato della sua conversione. Pietro sarà l’ultimo degli
apostoli a convertirsi.
Note: 1. Questa tecnica che tutti gli evangelisti hanno seguito consiste
nell’inserire una chiave di lettura immediatamente prima degli episodi che
richiedono una attenta comprensione del testo. Nel I e II secolo tutti i
lettori avevano la sensibilità di riconoscere queste chiavi, sensibilità che si
è persa nel III secolo con la traduzione in latino e con la perdita della
conoscenza delle tradizioni ebraiche conseguenza di una latente forma di
razzismo. Nella prima metà del XX secolo è’ stato possibile recuperare questa
sensibilità dopo il reperimento in Palestina, ad opera di alcuni archeologi, di
un testo del rabbino Hillel, coevo di Gesù, nel quale si spiegavano le 18
regole che dovevano essere seguite per scrivere un testo teologico. Si è allora
scoperto che tutti gli evangelisti hanno seguito le 18 regole di Hillel. – 2.
Ricordo che il soprannome Pietro (Cefa)
nella cultura ebraica significa testardo,
cocciuto, pieno di sé, ma anche, in alcuni casi, assume il significato di irremovibile nelle prorie idee. – 3. Nel
testo greco non si parla di “trasfigurazione”
ma di “metamorfosi”, vocabolo questo
sicuramente più coerente all’evento ed al senso che vuole trasmettere Gesù.
Talvolta si ha la sensazione che chi traduce non abbia chiaro il significato
dell’episodio in traduzione. – 4. La metamorfosi di Gesù serve a Matteo per presentare l’uomo che
passa attraverso la morte; Matteo in questo modo fa dire a Gesù: voi avete
paura della morte, voi non volete la mia morte perché pensate che la morte sia
la distruzione della persona. – 5. Per questo Paolo dice “di gloria in gloria”, ed è la manifestazione visibile dell’amore per gli altri. –
6. Io sono solito chiamarli i tre discoli,
più che i tre discepoli, visto i problemi che hanno creato a Gesù. – 7. Con tale dicitura gli ebrei intendono
l’alleanza con Dio e l’insieme delle promesse collegate con l’alleanza e
manifestate dai Profeti. L’alleanza è la premessa della Legge, ma non è la
Legge. – 8. Questa situazione si ripete
oggi nella Chiesa Cattolica che, non riuscendo a staccarsi dalle sue
tradizioni, si trova ad essere così distante dalla vita odierna degli uomini da
essere da loro rifiutata (Vedi Gaudium e Spes n. 19). Se la Chiesa Cattolica
recuperasse la parola di Cristo e la mettesse in pratica, riacquisterebbe il
suo posto nella mente di ogni uomo, perché tradizione e parola di Cristo sono
spesso in contrasto tra di loro. – 9. Nel testo greco l’articolo è presente
anche in questo caso. – 10. Cfr Mt 16,18: “…Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa…” in
realtà nel testo greco la seconda “pietra” non può essere tradotta in questo
modo, ma significa mattone da costruzione e Matteo riprende questa frase da
Paolo. – 11. Vedere, a questo proposito,
la disposizione delle croci sul Golgota: Gesù è crocifisso al centro. – 12.
Vedi Mt 9,16-17. – 13. Paolo dirà: “Cristo ci ha liberati dalla maledizione
della Legge…” (Gal 3,10). – 14. Cfr Es 24,16. – 15. Questo atteggiamento
di Dio nei confronti di Pietro sarà evidente negli Atti degli Apostoli e
terminerà con la sua conversione (At
10,9-16). – 16. Cfr Mc 3, 20 –21.31-35. – 17. Cfr 1Re 18,38-40.