V Domenica di Pasqua - Gv 13,31-35
Quando Giuda fu
uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato
glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in
lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per
poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli
altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti
sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Il
brano in questione fa parte del lungo discorso di Gesù nell’ultima cena,
riportato nel vangelo di Giovanni, e costituisce la parte dell’addio ai suoi
discepoli. Nella narrazione lo precede il brusco scontro con Giuda (Gv 13,21-30) nel quale Gesù tenta
un’ultima carta per riconquistarlo: compie infatti un gesto che nella nostra
cultura non esiste, sceglie un boccone particolarmente saporito, lo intinge
nella salsa(1) e lo offre a Giuda. Nella mentalità orientale questo
è un gesto di alto onore, significa “io ti stimo, ti voglio bene, conta su di
me”; le persone dell’epoca di Giovanni ben comprendevano il significato del
gesto e capivano come Gesù avesse tentato l’ultima carta per recuperare Giuda.
Ma egli, l’ebreo nazionalista(2) che aveva seguito Gesù nella
speranza che guidasse il popolo nella rivolta contro i romani, deluso da questo
messia così diverso da quello immaginato dai rabbini(3), esce dal
cenacolo sbattendo la porta.
Non
lasciamoci trascinare dal sentimento e dalla tradizione: non giudichiamo e non
condanniamo subito Giuda. Prima di tutto perché Gesù ha detto chiaramente “non
giudicate, per non essere giudicati; perché … con la misura con la quale
misurate, sarete misurati” (Mt 7,1–2)
e poi perché non solo Giuda è stato coerente con se stesso e col proprio
convincimento(4), ma soprattutto perché, con la sua azione, ha
consentito il realizzarzi delle intenzioni di Gesù(5).
“Quando Giuda fu uscito, Gesù disse: «Ora il
Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio
è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo
glorificherà subito.”
Il tema della sua glorificazione era già stato accennato da Gesù dopo il
suo ingresso a Gerusalemme (Gv 12,23.28):
allora egli ne aveva parlato in riferimento al fatto che alcuni greci avevano
espresso il desiderio di vederlo; adesso invece presenta la sua glorificazione
come il punto di arrivo di quel processo che, iniziando dopo l’uscita di Giuda,
porterà Gesù alla morte. Il concetto di glorificazione richiama il quarto canto
del Servo di Jahweh, nel quale la descrizione della sua morte viene fatta
precedere da una dichiarazione riguardante il successo che ha avuto proprio
come conseguenza della sua dedizione totale a Dio e al suo popolo (cfr Is 52,13).
Il titolo “Figlio dell’uomo” si
rifà alla profezia di Dn 7,13-14,
nella quale viene preannunziata la venuta con le nubi del cielo di un essere
umano che riceve da Dio il potere e la gloria. Il verbo è stato glorificato (in greco edoxasthê, coniugato all’aoristo)
esprime il momento decisivo della missione di Gesù e si riferisce in modo
globale alla sua passione, morte, risurrezione e ascensione, viste come
sintetizzate nell’innalzamento sulla croce (cfr. Gv 3,14; 8,28; 12,32). È Dio che glorifica il Figlio dell’uomo;
tuttavia si sottolinea anche che Dio stesso è glorificato in lui a motivo del dono volontario di sé con cui Gesù porta a
compimento il suo disegno di salvezza. La glorificazione di Gesù appare
subordinata a quella del Padre ed è espressa al futuro: Dio stesso lo
glorificherà, ma solo in un secondo momento, quando si verificherà l’evento
finale della sua morte e risurrezione.
“Figlioli(6), ancora per poco sono
con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io
ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.”
Gesù
è giunto alla conclusione della sua missione; è cosciente di avere seminato
bene anche se non vede il frutto del lavoro fatto; deve concludere la lunga
catechesi fatta ai suoi discepoli con qualcosa che racchiuda tutto il
significato del suo messaggio, un qualcosa che, messo in pratica, distingua i
suoi discepoli da tutti gli altri: “Vi do un comandamento nuovo, che vi
amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni
gli altri”.
Gesù
dice: “come io vi ho amato”. Non è
l’amore di donazione sulla croce: Gesù non è ancora morto. Non dice come io vi
amerò, ma come io vi ho amato, infatti poco prima Gesù ha detto che il suo
amore lo ha manifestato lavando i piedi ai suoi discepoli. È questo tipo di amore che Gesù vuole che ci
scambiamo, che ci serviamo l’un l’altro.
È
questa la rivoluzione di Gesù, è questo quello che mette paura al Sinedrio e
che ha messo paura a tutti i poteri politici del mondo. Questo è ciò che ha
consesso al cristianesimo di diffondersi nel mondo in meno di 60 anni, in un
mondo senza telefono e senza televisione, con un servizio postale
prevalentemente militare(7), e quindi soggetto alla censura del
potere.
È
incredibile come la Parola di Gesù possa essersi diffusa, in quelle condizioni,
dall’Armenia alla Spagna, dall’Egitto al Marocco, dalla Tunisia alla Grecia,
fino alla Francia prima ancora che venissero scritti i vangeli nella loro
stesura definitiva(8). I vangeli sono stati scritti in greco, che
allora era come l’inglese oggi, lo studiavano tutti, se volevano un posto di
lavoro; leggendo in greco il comandamento di Gesù, si coglie una sfumatura che
in italiano è difficile percepire: il termine nuovo, in greco, si può scrivere
in due maniere. Uno, neo, che significa aggiunto nel tempo, ed è
il termine che usiamo anche nella lingua italiana; e uno che significa: una
qualità che soppianta tutto il resto. Ebbene, il comandamento che Gesù dà,
non è nuovo nel tempo, cioè ne avete già dieci, vi lascio l’undicesimo, ma è
nuovo per qualità. E’ una qualità tale che sostituisce e supera i Comandamenti
del Sinai. E’ la nuova alleanza di Gesù.
Il precetto dell’amore appare già nel contesto dell’alleanza del Sinai
come compendio di tutta la legge (cfr. Lv
19,18.34). Ma i profeti avevano predetto una nuova alleanza, in forza della
quale la legge dell’amore non sarà più scritta su tavole di pietra ma sul cuore
del popolo (Ger 31,31-34; Dt 30,6; Ez
36,24-28; cfr. 2Cor 3,3-6). Nel
contesto di questa alleanza, simboleggiata nel gesto della lavanda dei piedi e successivamente
ratificata sulla croce, il comandamento dell’amore designa la legge
fondamentale a cui devono aderire coloro che entrano a farne parte. In Giovanni,
Gesù formula questo comandamento in modo nuovo, in quanto mette in luce non
solo l’esigenza di amare l’altro (cfr. Mc 12,28-34; Rm 13,8-10), ma anche la
necessità di una risposta da parte di chi ha ricevuto l’attestazione
dell’amore. Ciò è possibile solo all’interno di un gruppo in cui sono molto
forti i rapporti di solidarietà e di condivisione.
Questo amore comporta però il rischio di una chiusura all’interno del
gruppo, con il risvolto negativo di tensioni e di dissidi che sorgono
inevitabilmente quando uno ritiene che il suo amore non sia sufficientemente
ricambiato dall’altro. Perciò nei sinottici viene messo in primo piano l’amore verso
il nemico (cfr. Mt 5,43-48), cioè verso
l’estraneo che si situa al di fuori del gruppo, con il quale perciò non esiste
un rapporto di reciprocità. Si può quindi dire che l’amore vicendevole, che
rappresenta la legge fondamentale della comunità della nuova alleanza, dimostra
la sua autenticità unicamente nella capacità di estendersi anche all’estraneo.
Solo amando anche quelli che non fanno parte del loro gruppo i discepoli di
Gesù si riveleranno veramente come tali e contribuiranno alla realizzazione di
un mondo migliore.
Gesù conclude con questa affermazione: “Da
questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli
altri».” La pratica dell’amore diventerà così il segno distintivo della comunità
di Gesù e al tempo stesso l’ambito più efficace di evangelizzazione (cfr. At 2,42-48).
E’
strano che tanti cristiani, quando si chiede loro di specificare l’insegnamento
di Gesù sull’amore, rispondono: “ama il Signore Dio tuo con tutta la tua anima,
con tutto il tuo cuore e il prossimo tuo come te stesso”. Molti cristiani
pensano che Gesù abbia insegnato questo.
Mai Gesù, alla sua comunità, risponde in
questa maniera. Questo è il massimo a cui era arrivata la spiritualità ebraica.
Gesù, quando dà queste risposte, è sempre parlando o con degli scribi o con dei
farisei, una risposta adeguata alle loro esigenze.
Quando
Gesù parla alla sua comunità non dice: “ama il prossimo tuo come te stesso” perchè
l’amore al prossimo(9) è relativo, e quindi limitato.
Note: 1. Secondo
gli studiosi dei costumi del tempo, dovrebbe trattarsi della salsa denominata charoshet,
fatta di mele grattugiate, noci, spezie, vino e farina, componente tradizionale
della cena pasquale ebraica. – 2. Alcuni
studiosi pensano che il soprannome Iscariota derivi da una deformazione
aramaica del vocabolo greco-latino sikrios-sicarius (da sica =
pugnale, da cui deriva il termine italiano sicario), che indicava i partigiani
antiromani che operavano con quell’arma, detti anche zeloti. – 3. Profondamente radicata nella mentalità giudaica era la
figura del Messia figlio di Davide, cioè il nuovo grande re atteso da secoli
che avrebbe salvato Israele, uccidendo tutti i peccatori e sconfiggendo tutti i
nemici, riducendo il mondo in schiavitù sotto Israele. – 4. È opinione comune a
molti studiosi che Giuda non fosse stato mosso da avidità del denaro (o solo da
quella: Giovanni dice che era anche un ladro, cfr. Gv 12,6, ma probabilmente tra Giuda e Giovanni doveva esistere una
vecchia ruggine), ma perché pensava, in questo modo, di spingere Gesù a
provocare finalmente la sommossa antiromana e ad assumere il ruolo di messia-re
che gli competeva. – 5. Se leggiamo attentamente i vangeli, il Sinedrio (il
termine greco Sinedrio, trascritto in aramaico Sanhedrin,
significa concesso ed indicava l’unico organo politico-religioso ebraico
riconosciuto dal potere romano) aveva tentato diverse volte di catturare Gesù
tramite le sue guardie, ma la folla che lo circondava non consentiva una
cattura priva di rischi per il Sinedrio stesso. Era quindi necessario
intervenire di notte, in un luogo sufficientemente isolato e con qualcuno che
indicasse Gesù al buio senza creare eccessivo allarme nelle case circostanti.
Questo qualcuno sarà Giuda. - 6. Gesù
si rivolge poi ai discepoli con l’appellativo affettuoso di “figlioletti” (teknia),
usato solo qui nel vangelo di Giovanni e sette volte nella prima lettera di
Giovanni. – 7. Paolo, per essere certo che le sue lettere giungessero a
destinazione, le inviava affidandole ad un suo discepolo e non al sistema
postale romano, efficiente ma certamente di parte. – 8. Sulla base dell’analisi
critica dei contenuti e dell’analisi letteraria, si ritiene che i vangeli di
Matteo e di Luca siano stati scritti tra il 70 ed l’80 d.C.; Marco
presumibilmente prima del 60, anche se molti specialisti pensano all’esistenza
di un Protovangelo di Marco datato anteriormente al 40. Quello di Giovanni è
stato scritto tra il 90 ed il 100 d.C. – 9. Attenzione
perché il prossimo non comprende tutti: il prossimo, nel mondo giudaico, era
l’appartenente al proprio clan familiare, o al massimo l’appartenente alla
propria tribù.