Contenuti del blog

Le esegesi riportate in questo blog non sono frutto delle mie capacità, in realtà molto modeste. Le ricavo leggendo diversi testi dei più importanti specialisti a livello mondiale, generalmente cattolici, ma non disdegno di verificare anche l’operato di esegeti protestanti, in particolare anglicani. Se si escludono alcuni miei approfondimenti specifici, per la parte tecnica dell’analisi critica il mio testo di riferimento è questo:

- Giovanni Leonardi
, Per saper fare esegesi nella Chiesa, 2007 Ed. Elledici (testo promosso dall’Ufficio Catechistico nazionale). Questo testo è molto semplice, veramente alla portata di tutti; per migliorare la capacità di analisi deve essere affiancato da altri due testi per la parte linguistica, anch’essi a livello divulgativo:

- Filippo Serafini,
Corso di greco del nuovo testamento, 2003 Ed. San Paolo.
- Luciana Pepi, Filippo Serafini,
Corso di ebraico biblico, 2006 Ed. San Paolo (da usare solo nel caso si voglia approfondire l’etimologia semitica sottesa ai vocaboli greci).

I testi della Bibbia in lingua originale sono pubblicati da varie case editrici; in particolare per i Vangeli segnalo l'ottimo testo della Edizioni Enaudi e quello sinottico della Edizioni Messagero in quanto hanno i testi greco ed italiano a fronte. Si trovano anche in vari siti in rete, ma non sempre sono testi aggiornati con le ultime scoperte a livello archeologico o paleografico.
Per la parte sostanziale normalmente faccio riferimento a documenti prodotti dalle fonti seguenti, che riporto in ordine decrescente di frequenza di utilizzo:

- École biblique et archéologique française de Jérusalem (EBAF), retto dai Domenicani e dove ha lavorato anche il Card. Martini.
- Centro Studi Biblici “G. Vannucci” – Montefano (An), retto dall’Ordine dei Servi di Maria.
- Sito www.Nicodemo.net gestito da P. Alessandro Sacchi.
- Università degli studi di Torino – Corso di Letteratura cristiana antica – Prof.essa Clementina Mazzucco.
- Fr. Dante Androli, OSM, docente di esegesi alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum – Roma
- Università degli studi La Sapienza di Roma – Corso di Storia del Cristianesimo e delle Chiese – Prof.essa Emanuela Prinzivalli.
- Biblia, Associazione laica di cultura biblica – Settimello (Fi)


lunedì 21 novembre 2011

Introduzione al vangelo di Marco

Domenica prossima, I domenica di Avvento Anno B, inizia il ciclo liturgico nel quale si utilizza prevalentemente il Vangelo di Marco. Queste note permettono di conoscere, almeno superficialmente, sia l'autore che la linea teologica che persegue.

 

Molti(1) studiosi ritengono che Marco si possa identificare col Giovanni Marco (talora chiamato soltanto Marco o soltanto Giovanni2), di cui parlano abbastanza spesso gli Atti degli Apostoli e alcune lettere di Paolo. Anzi, da questi cenni, si traggono elementi per ricostruire una vera e propria «vita» di Marco(3), una vita non priva di avventure.

In Atti 12,12 si racconta che Pietro, dopo essere uscito di prigione a Gerusalemme, si recò alla casa di Maria, «la madre di Giovanni chiamato Marco, dove erano radunati in preghiera un buon numero di persone». Di qui si ricaverebbe che Marco doveva essere un personaggio ben noto e di famiglia benestante, dato che la sua casa era abbastanza grande per ospitare le riunioni della comunità cristiana(4).

Le altre informazioni desumibili dagli Atti e dalle lettere di Paolo, fanno pensare che Marco fosse cugino di Barnaba (Col 4,10) e avesse partecipato per un periodo all'attività missionaria di Paolo e Barnaba come loro «aiutante», durante un viaggio in Asia Minore (At 12,25; 13,5). Ma a Perge, in Panfilia(5), Giovanni Marco li lasciò e ritornò a Gerusalemme (At 13,13). Questo abbandono dovette irritare profondamente Paolo, tanto che, quando decise di intraprendere con Barnaba un secondo viaggio missionario e questi voleva ancora portare con sé Giovanni Marco, Paolo entrò in dissidio aperto con Barnaba e preferì separarsi anche da lui(6): si scelse un altro collaboratore, mentre Barnaba partì per diversa meta col cugino (At 15,36-41).

Se si tratta sempre del medesimo Marco, si può supporre che Paolo si fosse riconciliato poi con lui, dato che in alcune lettere scritte durante la prigionia (forse a Roma) lo menziona come collaboratore al suo fianco (Col 4,10; Fm 24) e, più tardi, in 2 Tm 4,11, quando Marco non si trova più accanto a lui, chiede al destinatario (che forse è a Efeso) di condurglielo. Certo desta qualche perplessità la vicenda per cui Marco prima sarebbe stato in contatto con Pietro a Gerusalemme, poi con Paolo e infine ancora con Pietro, di cui avrebbe trasmesso la predicazione.

E non basta: altri autori antichi aggiungeranno ulteriori tappe alla biografia di Marco. Eusebio di Cesarea riporta due informazioni molto dubbie che creeranno confusione nella tradizione successiva:

- la prima (Historia Ecclesiastica II,16,1) è che Marco sarebbe stato mandato in Egitto a predicarvi il Vangelo, che già aveva scritto, e qui avrebbe fondato chiese ad Alessandria divenendone vescovo. La notizia ha scarse probabilità di essere autentica, dato che proprio gli autori alessandrini (Clemente, Dionigi, Origene) non ne parlano.

- la seconda informazione (Historia Ecclesiastica II,24) è che il suo successore nell'episcopato ad Alessandria avrebbe iniziato il ministero nell'ottavo anno di Nerone (62 d.C.), il che dovrebbe significare anche (e fu inteso in questo senso) che in quell'anno Marco sarebbe morto. Ma il dato non si concilia con le altre notizie sul rapporto con Pietro (e Paolo) a Roma, perché il 62 è anteriore all'anno della morte dei due Apostoli (che sarebbero morti martiri durante la persecuzione neroniana, tra 64 e 68). Tuttavia Gerolamo lo riprenderà e lo tramanderà, proprio come dato relativo alla morte di Marco (ad es., in De viris illustribus VIII). Di qui nasce la tradizione che è alle origini della Basilica di S. Marco a Venezia: i Veneziani nell'828 avrebbero trafugato da Alessandria le reliquie di S. Marco e le avrebbero portate a Venezia: per custodirle avrebbero quindi edificato la Basilica intitolata a lui(7).

Anche i dati ricavabili dal Vangelo stesso non sono ritenuti dalla maggior parte degli studiosi moderni utili a confermare le notizie della tradizione per quanto riguarda il rapporto di discepolato tra Marco e Pietro e la composizione del Vangelo come trascrizione della predicazione di Pietro(8).

Gli studiosi che difendono la validità della tradizione adducono il rilievo dato dall'evangelista alla figura di Pietro in molti casi, ma anche, talora, il fatto che proprio Pietro nel Vangelo di Marco non di rado faccia una «brutta figura» (indizio dell'umiltà di Pietro stesso!); la vivacità descrittiva di molti episodi che presupporrebbe il racconto di un testimone oculare, perfino la «spontaneità dello stile», ecc. Ma non sono in realtà elementi determinanti, perché non si può dimostrare che Pietro abbia nel Vangelo di Marco un ruolo maggiore rispetto agli altri Vangeli, anzi: sono omessi alcuni episodi importanti, come il primato di Pietro (cfr. Mt 16). La ricerca, poi, nel Vangelo, di tracce di una «teologia petrina», così come di una «teologia paolina», non dà poi frutto, anche perché una «teologia petrina» non esiste e le eventuali affinità con la teologia di Paolo, che invece conosciamo, si limitano a concetti non caratteristici. Gli studiosi adducono inoltre, come elemento negativo, il fatto che l'autore del vangelo non sembra conoscere esattamente i luoghi della Palestina, fatto che contrasterebbe con l'ipotesi che i racconti provenissero da un testimone come Pietro. Ma questo è un punto che meriterebbe una discussione particolare: certe «inesattezze» geografiche non sempre sono indizio di ignoranza e andrebbero interpretate(9).

In ogni caso, quand'anche Marco avesse effettivamente attinto ai ricordi di Pietro, oggi si tende a pensare che non siano questi l'unica fonte utilizzata da Marco, sebbene, essendo il primo vangelo (come oggi viene riconosciuto10) e non avendo quindi termini di confronto, sia difficile trovare nel vangelo le diverse possibili fonti.

Qualcuno ha supposto che Marco sia stato presente ad alcuni fatti della vita di Gesù e che parli di se stesso quando riporta lo strano episodio, non ripreso dagli altri vangeli, del giovinetto che al momento dell'arresto di Gesù prima si mette al suo seguito avvolto in un lenzuolo, poi fugge nudo (Mc 14,51-52). Ma si tratta di un'ipotesi priva di fondamento e del tutto improbabile(11).

Per quanto riguarda l'ambientazione a Roma della redazione del vangelo, le conferme interne al testo potrebbero essere i frequenti latinismi (kenturiôn = centurio; kodrantês = quadrantes, ecc.), certe spiegazioni di costumi ebraici (cfr. Mc 7,1-4 sulle usanze di purità) e termini aramaici (cfr. Mc 5,41; 15,34, ecc.), che sembrerebbero presupporre un pubblico non giudaico e non palestinese.

Si pensa normalmente che il Vangelo di Marco, a differenza di quello di Matteo, più nettamente di carattere giudaico, si rivolgesse a fedeli di provenienza pagana. Tuttavia, neppure tutti questi elementi sono univoci: ad esempio i latinismi, in quanto termini tecnici del gergo militare, giuridico ed economico erano diffusi in tutto l'impero e non implicano necessariamente che l'autore scrivesse a Roma o in occidente. Più forti sono gli indizi relativi a un pubblico non giudaico.

Invece si può dire che la convinzione di un'estrema fedeltà dell'evangelista Marco alla tradizione preesistente(12) sia tra le più diffuse ancora oggi, e anzi si sia rafforzata dal momento in cui si arrivò a supporre che questo vangelo fosse il primo. Recentemente, uno studioso come Jean Carmignac(13) ha rivalutato molto la testimonianza di Papia(14), che gli consente di riconoscere, dietro ai vangeli attuali, tradizioni, o addirittura vangeli antecedenti, molto più antichi, scritti originariamente in ebraico e dà credito all'esistenza di un Vangelo di Pietro, che Marco avrebbe tradotto.

II Vangelo di Marco ha poi caratteristiche sue che possono renderlo particolarmente interessante. Il primo fenomeno sorprendente è la strana "peripezia" che questo Vangelo ha subito tra l'antichità e i nostri giorni.

Nell'antichità esso, pur riconosciuto subito dalle comunità ecclesiali come libro canonico, viene gradualmente messo in secondo piano rispetto agli altri Vangeli e non viene quasi mai commentato(15). E questa situazione è perdurata fino a tutto il 1700 nell'ambito scientifico, ma nell'uso liturgico si può dire che l'ostracismo è continuato fino alla riforma del 1973, quando, in adempimento alle nuove disposizioni conciliari, le letture evangeliche sono state ripartire in tre cicli, dedicati ciascuno a uno dei Vangeli sinottici (Matteo, Marco, Luca), e il Vangelo di Marco è diventato protagonista del ciclo B.

Oggi è il Vangelo più studiato a livello scientifico(16). Il motivo principale è che viene considerato il Vangelo più antico e vicino alle origini, quindi "genuino".

L'interesse principale che ha spinto all'indagine sui Vangeli è quello di ricostruire la biografia di Gesù, di risalire ai fatti. Recentemente ha suscitato curiosità, anche nell'ambito dell'informazione giornalistica (e qualche polemica), la questione della scoperta, tra i papiri dì Qumran, di un presunto frammento di questo vangelo che potrebbe così essere datato in un'età molto "alta" (prima del 50 d.C.)

A livello divulgativo, viene propagandato come il Vangelo più vivo, più realistico, più "pittoresco": contiene pochi discorsi e più fatti, e narrati con maggior vivacità e concretezza. All'estero se ne fanno, a partire dal 1978, anche recite drammatizzate e commenti romanzati(17) .

Per quanto riguarda l'aspetto teologico dei racconti evangelici, si può riconoscere che l'interesse a prenderlo in considerazione ha avuto anche un rilievo autonomo negli studi del 1900 e ha comportato si può dire un'altra "rivoluzione" nella valutazione dei vangeli e in particolare del Vangelo di Marco, soprattutto perché ha incominciato a incrinarsi la convinzione di potersi servire dei Vangeli come documenti storici e di poter quindi arrivare sulla base di essi a una "biografia di Gesù".

Proprio partendo dalla lettura di Marco, W. Wrede(18) nel 1901 individuava la presenza in questo Vangelo di una intenzione teologica determinante, che presiede alla ricostruzione dei fatti, e che egli identificava con il famoso "segreto messianico": Marco cioè avrebbe di proposito sottolineato, fino al punto di farne un motivo caratteristico del suo Vangelo, la volontà di Gesù di imporre il silenzio sulla sua messianicità.

Lo si vede da tutta una serie di episodi analoghi: l'imposizione ai demòni di tacere sulla sua identità di Figlio di Dio, il comando più volte ripetuto a coloro che sono stati guariti da lui di non dirlo a nessuno, fino all'ordine dato anche ai discepoli, dopo il riconoscimento da parte di Pietro che egli è il Cristo, di tacere; anche a proposito della rivelazione avvenuta nella trasfigurazione, Gesù chiede loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, ma questa volta precisa: "fino alla risurrezione" (Mc 9,9). Questo motivo - è la scoperta conseguente di Wrede - è una costruzione artificiosa, fratto di riflessione teologica dell'evangelista, il quale ha ribaltato sulla vicenda di Gesù la consapevolezza acquisita dalla comunità cristiana, a proposito dell'identità di Gesù, dopo la risurrezione.

Il Gesù presentato dal vangelo non è dunque tanto il Gesù storico (sebbene Wrede sia convinto che in Marco più che negli altri vangeli restino comunque tracce di questo Gesù storico), quanto il Gesù rivisto dalla comunità cristiana.

Un aspetto importante da mettere in rilievo è che Wrede è arrivato a queste conclusioni (a intravedere, cioè, la presenza nel vangelo di uno schema unitario) attraverso un'analisi globale e sistematica del vangelo, non limitandosi più, come spesso facevano gli studiosi precedenti, a studiare singoli passi.

Anche se la tesi specifica di Wrede sarà per più versi criticata e corretta successivamente(19), si è però imposta l'esigenza di dare adeguato rilievo alla personalità dell'evangelista e alla sua visione teologica, di non limitarne il ruolo a quello di un semplice compilatore e raccoglitore di tradizioni. Un'importante sintesi storiografica di A. Schweizer sulle ricerche intorno alla "vita di Gesù" si intitolerà Von Reimarus bis Wrede, cioè "Da Reimarus a Wrede", proprio a evidenziare il mutamento di rotta che si è avuto negli studi a partire da questo momento.

Per quanto non siano mancati eccessi e conflitti tra impostazione storica e impostazione teologica, la ricerca esegetica odierna cerca di tener presenti entrambi i puliti di vista: non nega il fondamento storico del contenuto dei vangeli, ma ammette che ogni evangelista ha scelto e disposto il materiale secondo una sua prospettiva teologica, che comporta accentuazioni diverse e correzioni rispetto agli altri.

Per tutti i vangeli vale la dichiarazione di Giovanni: "Questi [segni] sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome" (Gv 20,31).

Ma al di là di questo scopo fondamentale, è diversa l'interpretazione della figura di Gesù e della sua opera nei diversi vangeli, almeno in quanto ciascuno ha messo in rilievo aspetti diversi.

Per il Vangelo di Marco, tradizionalmente considerato il più "primitivo", non solo perché più antico, ma anche nel senso di ingenuo, semplice, immediato, legato ai fatti, privo di elaborazione, e quindi di una vera e propria teologia, questa scoperta ha comportato conseguenze di rilievo per una nuova valutazione della sua opera(20). Un tempo veniva visto come l'estremo opposto rispetto al Vangelo di Giovanni, che appare indiscutibimente il più teologicamente elaborato; oggi si riconosce invece che ci sono affinità tra i due.

E così quella che sembrava semplicità, trasparenza, limpidezza, oggi si è tramutata in ambiguità e oscurità per gli studiosi. Oggi si ammette che il Vangelo di Marco è il più sfuggente e misterioso, quindi il più difficile da interpretare. E' ancora aperto il dibattito su quale sia effettivamente la teologia di Marco.

La domanda "Chi è Gesù?" è il grande tema del Vangelo di Marco, ma gli studiosi non sono d'accordo sulla risposta. C'è chi pensa che il Gesù di Marco sia innanzitutto il Risorto, il Vivente, il Signore; chi lo vede come taumaturgo, "uomo divino", superiore agli uomini divini dei pagani; chi nota la centralità della croce, l'orientamento dominante di tutto il vangelo verso la passione.

Sembrano soprattutto in opposizione il Gesù dei miracoli, quale emerge dalla prima parte del vangelo, e il Gesù delia croce, che caratterizza la seconda parte, ma già si affaccia nella prima (cfr. Mc 3,6).

Se la centralità della croce è un punto acquisito dalla ricerca, resta da spiegare la funzione della storia antecedente di Gesù, dei miracoli (che pure sono particolarmente ampi in Marco) e della presenza dei discepoli accanto a Gesù, che è costante e caratteristica (Gesù non fa nulla senza i discepoli); in particolare il rapporto di Gesù coi discepoli, la loro crescente "incomprensione" e cecità nei riguardi delle cose dette e fatte da Gesù è un altro tema peculiare di Marco, che non si può trascurare.

E' importante non puntare tutto su un solo aspetto, tener conto dell'insieme, ripercorrere tutti i momenti dall'inizio alla fine, seguire passo passo l'andamento drammatico del racconto. E' possibile riconoscere comunque che questi temi dell'identità di Gesù e dell'incomprensione dei discepoli sono alla base di uno schema complessivo del vangelo,

Certo Marco presenta, rispetto agli altri evangelisti, più contrasti, sproporzioni, paradossi, oscurità, tensioni. Gli altri cercano di semplificare, attenuare, facilitare.

Un caso è già l'episodio del battesimo di Gesù che Marco pone nel prologo stesso del suo vangelo (Mc 1,9-11), non c'è qui nessuna premessa: "venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni". Invece Matteo (Mt 3,13-17) cerca di prevenire dubbi e difficoltà spiegando le ragioni di questo battesimo con un dialogo tra Giovanni Battista e Gesù.

Si veda pure la chiamata dei primi discepoli (Mc 1,16-20): Luca la introduce (Lc 5,1-11) dopo aver parlato della predicazione di Gesù e di alcuni miracoli e la inserisce nell'episodio della pesca miracolosa, sicché si capisce meglio perché questi pescatori (Pietro, Giacomo e Giovanni) avessero seguito Gesù.

Marco invece la pone proprio all'inizio della missione di Gesù e delinea una scena assolutamente essenziale, ellittica, quasi astratta, in cui all'improvviso ordine di seguirlo, consegue l'immediata risposta dei chiamati. Gesù non sì era ancora manifestato in alcun modo, era uno sconosciuto che passava dì là, eppure quei pescatori intenti al lavoro a una semplice sua parola lasciano tutto, lavoro, barca, famiglia, per andargli dietro.

Un altro esempio è quello del grido di Gesù sulla croce che in Marco ha il carattere drammatico, quasi disperato del Salmo 22,1 (Mc15,34: "Dìo mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?"), e viene sostituito in Luca (Lc 23,45) dall'invocazione rasserenante del Salmo 31,6: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito".

Per non parlare della conclusione, che è sorprendente: dopo la scoperta della tomba vuota e l'annuncio dell'angelo, le donne fuggono spaventate senza dire niente a nessuno (Mc 16,8). Non abbiamo le apparizioni del risorto, come negli altri vangeli(21). Oggi si è portati a leggere il Vangelo di Marco appunto come un dramma aperto.

E tuttavia non si può dire che sia ancora molto praticata una lettura davvero "letteraria", cioè attenta alla redazione finale del testo nella sua unità compositiva, nelle sue coordinate interne, nei suoi elementi formali, strutturali, simbolici. Resta prevalente l'interesse storico o teologico che spinge alla ricerca delle fonti, delle tradizioni preesistenti, degli apporti personali dell'evangelista, delle differenze rispetto agli altri evangelisti, per lo più in funzione di risalire alla "storia di Gesù" e alla storia dell'elaborazione dei materiali compiuta nell'ambito della comunità. Si attraversa Marco più che leggere Marco, si cerca soprattutto ciò che non appartiene a Marco, più che ciò che Marco dice.

Note: 1. Le notizie qui riportate sono state in parte desunte dall'articolo "Marco" redatto a cura di Clementina Mazzucco e Andrea Nicolotti pubblicato sul sito www.christianismus.it e dalle dispense di letteratura cristiana antica della prof.ssa Mazzucco per l'anno accademico 2006-07. – 2. Da notare la concomitanza del nome semitico (Giovanni) con quello latino (Marco) in uso presso le persone che per lavoro od affari avevano continui contatti con i romani i quali avevano difficoltà a pronunciare i nomi ebraici. – 3. Cfr. in particolare F. M. Uricchio - G. M. Stano, Vangelo secondo Marco, Torino, Marietti, 1966, pp.1-4, paragrafo intitolato: «Cenni biografici su Marco»; oppure O. Battaglia, Introduzione al Nuovo Testamento, Assisi, Cittadella Editrice, 1998, pp. 91-92. – 4. Da quanto riportato negli Atti si evince una situazione che meriterebbe di essere approfondita: per quale motivo Pietro, uscito di prigione, non si reca da Giacomo, capo, in quel momento, della Chiesa di Gerusalemme, ma preferisce la casa di Marco dove vi erano in preghiera cristiani senza la presenza degli apostoli? Si può supporre, come prima ipotesi, che si fosse formata una scissione tra la fazione di Giacomo, legata fortemente al giudaismo farisaico, e un'altra fazione aperta ai gentili e Pietro si affida a quest'ultima che forse ritiene più vicina a lui. – 5. Zona dell'attuale Turchia. – 6. Questa è la dimostrazione del carattere collerico di Paolo, cocciuto fino alla presunzione. E' grazie a questo carattere che Paolo è riuscito diffondere per tutto il mondo greco-latino la parola di Gesù. – 7. Cfr. F. M. Uricchio - G. M. Stano, Vangelo secondo Marco, Torino, Marietti, 1966, p.3 n° 5. Analogamente Padova vanta il possesso delle spoglie di Luca, in realtà solo del corpo, perché il cranio si trova attualmente a Praga, essendo stato là trasferito in età medievale. Proprio in questi anni si stanno facendo ricerche sull'autenticità di tali spoglie: cfr. G. Leonardi, Sulle orme dell'evangelista Luca e visita alla sua tomba, in «O odigos- La guida» 18 (1999), pp. 7-11. – 8. A tutto questo si aggiungono i forti dubbi, nati nella seconda metà del XX secolo, sulla reale presenza di Pietro a Roma. E' elevata la probabilità che l'apostolo non si sia mai mosso dalla Palestina. – 9. Spesso, in tutti i vangeli, inesattezze di tipo geografico non costituidcono errori, ma chiavi di lettura appositamente inserite dall'evangelista per indicare al lettore il significato del brano evangelico al di là di quello letterale. – 10. J. Carmignac posiziona la redazione del vangelo di Marco intorno agli anni 40-50 d.C. o comunque molto prima del vangelo di Matteo (circa 40 anni); cfr La nascita dei Vangeli sinottici, traduzione italiana, Milano, Ed. Paoline, 1986 (ed. orig. Paris 1984), pp. 61. – 11. Su questo episodio cfr. C. Mazzucco L'arresto di Gesù nel Vangelo di Marco (Mc 14,43-52), in «Rivista Biblica» XXXV (1987), pp. 257-282. Si deve tener conto della fuga precedente di tutti i discepoli e del rapporto, dapprima antitetico, ma alla fine simile, del comportamento di questo giovinetto rispetto a quello dei discepoli. Con questa scena aggiunta Marco sottolinea più intensamente la solitudine e l'abbandono di Gesù nel momento in cui entra nella passione. – 12. Vedi Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica III,39,15: "Marco, divenuto interprete di Pietro, scrisse accuratamente, ma non certo in ordine, quanto si ricordava di ciò che il Signore aveva detto o fatto". – 13. J. Carmignac, La nascita dei Vangeli sinottici, traduzione italiana, Milano, Ed. Paoline, 1986 (ed. orig. Paris 1984), pp. 61 ss. – 14. Vescovo di Gerapoli nel II secolo. – 15. Agostino non considerava Marco un vero evangelista, ma un "valletto e compendiatore" di Matteo, una sorta di Bignami ante litteram (cfr De consensu evangelistarum I,2); ma rilevare errori macroscopici nell'opera di Agostino è diventato ormai un fatto comune. – 16. La bibliografia è ormai immensa: si consideri che nel 1981 uno studioso, H M. Humphrey, ha pubblicato un intero volume bibliografico relativo agli studi usciti tra il 1954 e il 1980; F. Neirynck ha fatto uscire nel 1992 un altro volume, di ben 718 pagine, sulla bibliografia 1950-1990. Alcuni commenti recenti sono davvero imponenti; si pensi ai due volumi di R. Pesch, rispettivamente di pp 664 e 840, tradotti in italiano nel 1980-1982; al volume, di pp. 964, di J. Gnilka, tradotto nel 1987; ai due volumi, complessivamente di pp. 842, di J. Ernst, tradotti nel 1991, ecc. - 17. Cfr. B. Standaert, II Vangelo secondo Marco, traduzione italiana, Roma, Boria, 1984 (ed. orig. Paris 1983), p,7. – 18. Das Messiasgeheimnis in den Evangelien zugleich ein Beitrag zum Verstàndnis des Markusevangeliums (Il segreto messianico nei Vangeli insieme a un contributo per la comprensione del Vangelo di Marco), Gottingen 1901. – 19. Nel senso che si è pensato che già Gesù avesse effettivamente consapevolezza della propria morte e risurrezione e intendesse già lui servirsi del segreto a scopo didattico: per guidare gradualmente a comprendere il senso della sua missione. Oggi, dopo circa un secolo, questa convinzione è sottoposta a nuove elaborazioni. – 20. E' significativo da questo punto di vista, uno studio come quello di J. Ernst, che si intitola Marco. Un ritratto teologico, Brescia, Morcelliana, 1990. – 21. I versetti di Mc 16,9 e seguenti riportati nel testo CEI non sono di Marco, ma sono stati aggiunti in seguito (presumibilmente nel II secolo) da un autore che ha cercato così di riempire quello che sembrava un vuoto. In realtà l'assenza della descrizione delle apparizioni del Risorto testimoniano l'antichità del testo in quanto negli anni 40 – 50 ancora non si era formata e sedimentata la tradizione relativa alle apparizioni stesse.

Nessun commento:

Posta un commento