Resurrezione del Signore
Vangelo della notte del Sabato. Mc 16, 1-7
Passato il sabato, Maria di Màgdala,
Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a ungerlo.
Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare
del sole. Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall'ingresso
del sepolcro?». Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata
fatta rotolare, benché fosse molto grande. Entrate nel sepolcro, videro un
giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura. Ma
egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso.
È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano posto. Ma andate, dite ai
suoi discepoli e a Pietro: «Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi
ha detto»».
Il brano in questione è uno dei tanti esempi
del modo complesso ed affascinante di scrivere di Marco: ogni frase, ogni
parola, racchiudono significati teologici profondi e talora sorpendenti che si
possono cogliere appieno solo esaminando il testo greco originale.
Scrive(1) l’evangelista: “Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome
comprarono oli aromatici per andare a ungerlo”. Marco nomina le tre donne che
formavano il gruppo che aveva assistito alla morte di Gesù (Mc 15,40-41); di queste Maria di
Magdala aveva visto dove Gesù era stato
deposto (Mc 15,47).
Marco inizia il racconto della risurrezione
con un atto di accusa “passato il sabato”:
la comunità di Gesù non ha ancora accolto la novità che lui ha portato. Gesù ha
sempre ignorato, o meglio ridimensionato, la legge del sabato (Mc 2,27-28)(2), e con questo
si è procurato l’odio mortale da parte dei dirigenti religiosi e civili. Già al
capitolo 3 del vangelo di Marco Gesù trasgredisce la legge del sabato curando l’uomo
col braccio atrofizzato (Mc 3,1-6).
Nel pensiero ebraico del I secolo, il riposo
del sabato non era un comandamento uguale agli altri, ma era il comandamento
per eccellenza, era il comandamento che anche Dio osservava, per cui l’osservanza
del sabato equivaleva all’osservanza di tutta la legge, la trasgressione del
sabato equivaleva alla trasgressione di tutta la legge e per questo era
prevista la pena di morte.
Gesù ha ignorato sempre il sabato perché Gesù
ignora la legge. Nei vangeli la legge viene sempre invocata dalle autorità
religiose a difesa dei propri privilegi e del proprio prestigio; è strano, ma
non è citata una sola volta in cui la legge è invocata a favore del popolo,
segno evidente che c’è qualcosa che non va.
Per questo Gesù ha preso le distanze dalla
legge: lui inaugura un nuovo rapporto con Dio che non è più basato sulla legge,
ma sull’amore, perché il Dio di Gesù è amore e l’amore non può essere imposto
attraverso delle leggi, l’amore può essere espresso soltanto attraverso opere
che comunicano vita.
Purtroppo non è facile liberarsi dalla legge:
quando per tutta la vita si è stati educati a rispettare, venerare e osservare
la legge, chi ha il coraggio di trasgredirla? Morto Gesù, la comunità si sente
ancora sotto la dipendenza della legge e per questo le donne, invece di andare
subito al sepolcro, hanno aspettato che passasse il sabato e per colpa loro noi
oggi celebriamo la Pasqua con circa due giorni di ritardo(3).
L’accusa dell’evangelista fa capire quanto è
difficile liberarsi dalla religione, anche perché questa religione non è stata
offerta, ma è stata imposta con la paura del castigo.
L’azione delle donne comunque è inutile,
perché Gesù è già stato unto per la sua sepoltura: poco prima della sua cattura,
a Betania una donna anonima aveva unto il capo di Gesù con un profumo di grande
valore. E Gesù aveva detto “Essa ha fatto
ciò ch’era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura.”
(Mc 14,3-9): era il profumo della
vita più forte della morte.
Mentre l’effetto della morte è il fetore
della putrefazione, l’effetto della vita è il profumo che inonda tutta la casa.
Questa è l’unica azione che Gesù chiede espressamente che venga fatta conoscere
a tutti: “In verità vi dico che dovunque,
in tutto il mondo, sarà annunziato il vangelo, si racconterà pure in suo
ricordo ciò che ella ha fatto».” (Mc
14,9).
L’annunzio del vangelo, della buona notizia,
è che la vita è più forte della morte, che la morte non interrompe la vita.
Questa è la Buona Notizia che gli uomini attendono perché la morte fisica l’abbiamo
tutti nel nostro orizzonte, con essa Gesù non libera dalla paura della morte,
Gesù libera dalla morte stessa.
“Di buon mattino, il primo giorno
della settimana…”;
nel testo greco c’è l’espressione “l’uno dopo il sabato”. Marco non scrive “il
primo della settimana‟, ma si rifà al libro della Genesi (Gen 1,5), al racconto della creazione dove, appena creata la luce,
scrive l’autore, “e fu sera e fu mattina,
giorno uno”.
Quindi l’evangelista indica nel momento della
scoperta della risurrezione di Gesù, il giorno uno, quello della nuova e
definitiva creazione. Marco vuole dire: questa è la creazione realizzata da Dio,
non un uomo che finisce la sua esistenza con la morte, ma un uomo che, come
Dio, ha una vita capace di superare la morte.
“…vennero al sepolcro al levare del
sole”:
“levato il sole‟ è l’espressione che Marco ha adoperato nella parabola dei
quattro terreni (Mc 4,1-9). E’ la
parabola nella quale Gesù indica quali saranno gli effetti del suo messaggio:
il seminatore semina, una parte del seme finisce sulla strada e vengono gli
uccelli che la portano via; Gesù, spiegando lui stesso la parabola, dice che
questo accade a quanti sono vittime del satana, che nei vangeli rappresenta il
potere, ormai completamente refrattari al messaggio di Gesù. Quanti aspirano al
potere e quanti ne sono sottomessi, vedono nel messaggio di Gesù un attentato
al loro potere o alla loro ambizione o alla loro sicurezza.
Altri hanno colto il messaggio di Gesù; sono
quelli per i quali il seme cade, cerca di mettere radici ma, essendo il terreno
roccioso, “appena levato il sole” (quindi la stessa espressione), la pianta
secca. Il sole, pur essendo fonte di vita per la pianta, in questo caso invece
ha un effetto micidiale: secca la pianta. La colpa non è del sole, la colpa è
della pianta che non ha messo radici profonde.
Questa è la situazione delle donne; Gesù ha
sempre ignorato il sabato, Gesù ha sempre detto che il rapporto con Dio non è
basato sull’obbedienza alla sua legge, ma sull’accoglienza del suo amore, ma le
donne non sono riuscite a tramutare questo insegnamento in azione: il messaggio
di Gesù non ha messo radici in loro.
“Dicevano tra loro: «Chi ci farà
rotolare via la pietra dall'ingresso del sepolcro?»”. La preoccupazione
delle donne è questa pietra che impedisce la comunicazione tra il mondo dei
vivi e quello dei morti.
C’è una espressione popolare che deriva dagli
usi funerari antichi e che adoperiamo nel nostro linguaggio comune, quando
diciamo “mettiamoci una pietra sopra”. Si rifà proprio alle usanze funerarie
ebraiche; i morti venivano seppelliti in una grotta, in una caverna, e sopra
veniva posta una pietra. La pietra interrompeva radicalmente e definitivamente
il rapporto con il defunto che ormai apparteneva al regno dei morti e quindi
stava dall’altra parte. Significava qualcosa che definitivamente e in maniera
irrimediabile si era conclusa.
“Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare,
benché fosse molto grande.”. Abbiamo detto che era al mattino presto, al levar del
sole; è la luce del nuovo giorno, il nuovo e definitivo giorno in cui è stata ricreata
la luce che incomincia ad illuminare le donne che, finalmente, “osservarono” – l’evangelista non dice
che vedono, dice che osservano, cominciano ad accorgersi alzando lo sguardo –
che la pietra non chiudeva più il sepolcro. La costruzione della frase da parte
di Marco fa capire che la pietra non aveva potuto trattenere Gesù che aveva
continuato la sua vita immediatamente dopo la morte fisica, senza soluzione di
continuità.
Notate la finezza dell’evangelista, cosa
importante perché ne va anche della nostra situazione personale, del nostro
rapporto con la persona cara che è passata attraverso la morte: fintanto che le
donne erano preoccupate per la pietra, che, come abbiamo visto, era molto
grande, non sapevano come fare; ma quando cominciano ad alzare lo sguardo, e
quindi non guardare più a sé stessi, ma ad ampliare il proprio orizzonte, si
accorgono che il motivo della preoccupazione era inesistente.
La finezza psicologica di Marco è
straordinaria. Fintanto che guardano alle proprie preoccupazioni, non si
accorgono della realtà. Alzando lo sguardo, si accorgono che il motivo che
tanto le preoccupava non esisteva. E’ una finezza psicologica incredibile:
fintanto che siamo centrati sui nostri problemi, sulle nostre preoccupazioni e
sulle nostre angosce, e non alziamo lo sguardo, non vediamo che questo
problema, questa preoccupazione, quest’angoscia era inesistente.
La pietra, per quanto grande – e l’evangelista
sottolinea che la pietra era molto grande – non può impedire alla potenza della
vita di manifestarsi. La morte non è una condizione definitiva e non
interrompe la vita.
“Entrate nel sepolcro…” ecco finalmente
cominciano a vedere e trovano “…un giovane”, lo
stesso personaggio presente all’arresto di Gesù (Mc 14,51-52). Da notare che il termine greco per indicare questo
giovanetto appare nel vangelo di Marco unicamente in questi due episodi, e non
a caso(4).
“…seduto sulla destra…” di cosa? Marco non
lo dice perché si rifà alle parole di Gesù quando, di fronte al sommo
sacerdote, aveva detto (Mc 14,62): “vedrete il Figlio dell’Uomo seduto alla
destra della Potenza venire sulle nubi del cielo”, che era una citazione di
Sal 110,1, nel quale Dio si rivolgeva
al Messia dicendo “siedi alla mia destra”.
L’evangelista si rifà al cerimoniale dell’epoca
in cui, accanto all’imperatore o al re, alla loro destra, sedeva colui che
deteneva il suo stesso potere cioè il vicerè oppure l’erede designato. Allora
questo “seduto alla destra”, che
appare al momento della risurrezione, è una denuncia che l’evangelista fa alle
autorità religiose: quell’uomo che voi avete accusato come criminale e avete
assassinato come un bestemmiatore, in realtà aveva la condizione divina. Questo
giovane che siede alla destra, rappresenta Gesù nel pieno della sua condizione
divina.
All’arresto di Gesù questo giovane era
rivestito di un telo funerario; dopo la cattura lascia il telo funerario,
simbolo della sua morte in mano ai catturatori, e fugge nudo, ma non rimane a
lungo nudo: “vestito d'una veste bianca…”;
nel testo originale greco il verbo usato è “rivestire” e tale verbo appare al momento della cattura e qui. L’evangelista vuole
dirci: “attenzione che è lo stesso personaggio!”.
La veste bianca è l’abito dei risorti; attraverso
questo giovanetto, l’evangelista vuol far comprendere l’esperienza del Cristo
risuscitato fatta della comunità cristiana di Marco.
“…ed ebbero paura”: le donne però si stupiscono e sono sconvolte(5).
Le donne entrano nel sepolcro ma non trovano
un morto, trovano un vivente e lo trovano nel massimo dello splendore della
condizione divina, cioè seduto alla destra e rivestito perchè la morte non
lascia nudi. La morte permette di essere rivestiti della tunica bianca che è il
colore della risurrezione, lo stesso colore che era apparso al momento della
trasfigurazione. Quindi la morte non lascia l’uomo nella situazione di prima,
ma lo riveste di una condizione e di una situazione nuova immensamente più
grande di quella conosciuta.
“Ma egli disse loro: «Non abbiate
paura!...”.
Non è un invito, ma un ordine. “…Voi cercate Gesù Nazareno, il
crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano posto.”.
Le donne si erano sbagliate, cercavano il
cadavere del Nazareno, e invece trovano un vivo. Cercavano il cadavere del
crocifisso e invece trovano un vivo.
Ma guardiamo l’accusa che fa questo
giovanetto: “Voi cercate Gesù Nazareno”,
cioè voi cercate il terrorista, il rivoltoso. “Nazareno‟ indica il luogo dì origine
di Gesù, Nazaret in Galilea; la Galilea era la regione a nord, abitata dai
poveri ed era in continua sommossa, e Nazaret in particolare era uno dei
principali covi di questi nazionalisti. Dire che Gesù era un galileo significa
che era un rivoltoso; dire che Gesù era un Nazareno, significa che era un
ribelle. Allora la frase diviene “voi cercate il ribelle giustiziato?” Ed ecco
ancora l’accusa “cercate il crocifisso?”
Secondo la legislazione giudaica Gesù doveva
essere lapidato; secondo il diritto romano, Gesù doveva essere decapitato. Per
ucciderlo non hanno scelto il modo tradizionale di eseguire le condanne
capitali, ma la croce che era una tortura lenta, atroce, riservata alla feccia
della società. Gesù non è stato lapidato e non è stato decapitato perché questa
morte sarebbe stata troppo facile. Non bastava lapidarlo, ne avrebbero creato
un martire; non bastava decapitarlo, avrebbero suscitato un eroe contro i
romani. I sommi sacerdoti, gli scribi (loro sì che se ne intendono, che
conoscono la scrittura!) hanno cercato per Gesù una morte talmente infamante
che mettesse fine ad ogni dubbio: quest’uomo non solo non viene da Dio, ma è un
maledetto da Dio (Dt 22,23). Come
avete potuto credere a quest’uomo? Un uomo che ha detto che era sbagliata la
legge di Dio! Ma questo è un pazzo, un bestemmiatore! Ma come potete aver
seguito quest’uomo che dice di essere Figlio di Dio? Questo è il figlio di Beelzebub,
è uno stregone. Hanno scelto, in maniera perfida, veramente diabolica, la pena,
la tortura, che era riservata, secondo il libro del Deuteronomio, a quelli che
Dio ha rifiutato, ha maledetto.
Ecco, ecco che fine ha fatto il vostro Gesù!
Guardate che fine ha fatto, è crocifisso, maledetto da Dio! Quindi non è vero
quello che diceva. Mica oserete mettere in dubbio la Bibbia! La Bibbia dice che
chiunque è appeso al legno è un maledetto. Vedete che non era vero che quest’uomo
era Figlio di Dio, ma era maledetto da Dio!
Questo giovanetto, che è Gesù, li rimprovera:
“chi cercate, il ribelle? Chi cercate, il crocifisso?” “È risorto, non è qui”. Il sepolcro non è il luogo per i risorti. Questo nei vangeli
è talmente chiaro, in tutti i vangeli, che non si capisce come poi con lo
sviluppo del cristianesimo, sia venuto il
culto dei morti, il culto dei cimiteri, che è completamente estraneo all’annuncio
del Vangelo. Nel vangelo di Luca, addirittura, quando le donne cercano di
andare al sepolcro, si trovano la strada sbarrata da due individui che dicono
“cosa fate? Perché cercate tra i morti chi è vivo?”. Decidetevi, o è morto, e
allora accomodatevi al sepolcro. O è vivo, allora dietro-front; andate,
continuate sempre con lui.
Gesù lo dice molto chiaramente, “Dio non è il
Dio dei morti, è il Dio dei vivi”. Il Dio di Gesù non risuscita i morti, il Dio
di Gesù comunica ai vivi la vita di una qualità che è la sua, e che è capace di
superare la morte. I nostri cari non hanno fatto esperienza della morte, ma
continuano la loro esistenza.
Questo è l’annuncio che ci dà l’evangelista.
Il loro omaggio, gli aromi con cui volevano ungere Gesù, è completamente
inutile. Erano oli per un morto, ma Gesù non è nel sepolcro. Il luogo della
morte non può trattenere colui che è vivente.
“Ma andate,…” Quindi Gesù stesso,
il giovanetto, invita ad un dietro-front. L’orientamento della comunità
cristiana non è il sepolcro, ma è il mondo, dove c’è la vita.
“…dite ai suoi discepoli e a Pietro...”
è
strano, come mai Simone è separato dai discepoli e viene chiamato Pietro (unica
volta in cui Gesù si riferisce a Simone con il suo soprannome negativo)? Perché
è il discepolo che ha rinnegato completamente il suo maestro e non fa più parte
dei suoi discepoli.
Gesù può essere abbandonato dai discepoli,
può essere tradito da Pietro, ma non abbandona nessuno. Gesù è l’amore fedele
che può essere tradito, ma mai tradisce i suoi. Quindi recupera anche il
traditore che ha detto di non avere nulla a che fare con lui.
“…«Egli vi precede in Galilea. Là lo
vedrete, come vi ha detto»”. Il giovane, che è Gesù, incarica le donne di
andare dai discepoli e da Pietro, ma non le incarica di annunciare quello che
hanno visto. E’ strano. Avrebbe potuto dire: “andate a dire loro che il
sepolcro è vuoto”. Non è questo l’incarico.
La fede nella risurrezione non ha come
fondamento un sepolcro vuoto, oppure un annuncio o una proclamazione, ma solo
ed esclusivamente l’esperienza dell’incontro con il Cristo risuscitato. Non si
può credere che Cristo è risuscitato perché il sepolcro è vuoto; che il Cristo è
risuscitato lo si può credere soltanto per un incontro personale. Ecco perché
dice “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete”. E per vedere Gesù,
per prima cosa bisogna abbandonare Gerusalemme. Chi rimane all’interno dell’istituzione
religiosa, che è il mondo delle tenebre, non può scorgere la luce. Chi rimane
sottomesso a un mondo dominato dalla morte, non può fare l’esperienza della
vita, per cui se si vuol fare l’esperienza del Cristo risorto bisogna, senza
indugio, abbandonare Gerusalemme, il luogo della morte.
“Egli vi precede in Galilea”. La Galilea è il
luogo dove Gesù ha iniziato la sua attività, dove Gesù ha proclamato il suo
messaggio. Nel testo greco questo andare in Galilea è un verbo dinamico di
movimento e non significa naturalmente “andare fisicamente‟ in questa regione
del nord, ma “vivete il suo messaggio‟.
“Là lo vedrete”. Il verbo greco “vedere‟
che ha adoperato l’evangelista non indica una vista fisica, ma una profonda
esperienza interiore. Non sono visioni quelle che Gesù annuncia e garantisce,
ma una profonda esperienza interiore. E questo è valido per sempre. Non si può
credere che Gesù è risuscitato fintanto che non lo si sperimenta nella propria
esistenza.
Quando si accoglie il messaggio di Gesù,
interiormente, e lo si traduce in comportamenti d’amore e di servizio, di
condivisione verso gli altri, si sperimenta dentro di sé una potenza infinita,
crescente, si sperimenta dentro di sé un’energia vitale che ci fa percepire in
maniera inconfondibile che il Cristo è vivo, perché noi siamo vivi.
Quando noi innalziamo la soglia del nostro
amore, mettiamo la nostra vita in sintonia con quella di Dio, la nostra vita e
quella di Dio si legano, e da quel momento non ci sono più dubbi, da quel
momento non si crede in un avvenimento, lo si sperimenta! E la vita cambia
completamente.
Quindi l’annuncio del giovane, che
rappresenta Gesù, dice “Egli vi precede in Galilea. Là lo
vedrete”.
La morte di Gesù non ha posto fine alla sua missione, al contrario: Gesù iniziò
in Galilea la sua attività e in Galilea i discepoli devono continuare la loro. E’
come se Gesù dicesse: “Allontanatevi dall‟istituzione religiosa, non andate a
dare il messaggio ai sommi sacerdoti, agli scribi, ai farisei!”.
Dirà Gesù in un altro vangelo “non date le
cose sante ai cani”. Alle persone religiose questo messaggio non solo non
interessa, ma li disturba. “Andate in Galilea”, la Galilea era la regione degli
esclusi da Dio, era la regione della gente semi-pagana. E’ a loro che bisogna
portare la Buona Notizia, a quelli che la religione ha considerato esclusi, è
là che bisogna seminare. E non fra quelli che si ritengono al primo posto nel
regno dei cieli!
Quindi l’ordine, il mandato è chiaro. Andate
e annunziate là in Galilea, ciò che Gesù aveva detto e che qui conferma,
“quando sarò morto vi precederò in Galilea”, e quindi là hanno la possibilità
di fare questa esperienza.
Ma ecco la finale stupefacente, drammatica,
di questo Vangelo, incredibilmente(6) non compresa nel brano
liturgico: “E, uscite, fuggirono dal
sepolcro tremanti e fuori di sé e non dissero nulla a nessuno, perché avevano
paura”.
Questo è la descrizione di un fallimento,
perché neanche i seguaci di Gesù fino all’ultimo hanno creduto in lui; anzi, la
comunità di Gesù addirittura lo boicotta, boicotta il suo messaggio, tanta è la
delusione della sua morte. Quindi fuggono dal sepolcro, non vanno dai
discepoli, non vanno da Pietro, non recano l’annuncio di andare in Galilea e
non dicono nulla a nessuno. Perché l’incontro con il giovanetto, che è la
figura del Cristo risorto, è una grandissima delusione. E’ il crollo di ogni
speranza, è il crollo di ogni sogno. Nel vangelo di Luca, quando Gesù incontra
i due discepoli a Emmaus, vi è il racconto accorato della loro delusione: “noi
speravamo che fosse lui, e invece è morto” (Lc
24,21) perché se Gesù è morto, si vede che non era il Messia.
Per la tradizione ebraica il Messia non
poteva morire, quindi, paradossalmente, i discepoli erano più contenti che Gesù
fosse morto, che ritrovarselo vivo. Perché se era morto, significa “vabbè,
pazienza, ma adesso Dio susciterà senz’altro un altro Messia che finalmente
restaurerà il regno di Davide, finalmente imporrà la legge, finalmente dominerà
i pagani”; perché era questo che loro attendevano.
Se Gesù è vivo, è la fine dei sogni di
restaurazione della monarchia di Davide, è la fine dei sogni illusori di
Israele di essere il popolo eletto; ma soprattutto, caspita, Gesù è vivo, ma
attraverso cos’è passato! Che razza di morte, che razza di condanna!
Le donne erano andate a rendere omaggio a un
Messia sconfitto, come hanno detto i discepoli di Emmaus “noi speravamo che
fosse lui a liberare Israele”. Gesù era morto, ma Dio avrebbe suscitato senz’altro
un Messia più potente a liberare Israele. Invece Gesù è vivo. Il fatto che Gesù
è vivo non produce gioia, ma produce una grande delusione. La sua risurrezione
significa che non c’è da aspettarsi un altro Messia.
I sogni di gloria sono definitivamente
scomparsi. Non ci sarà la restaurazione della monarchia, né la vendetta sui
romani, né il dominio sugli altri popoli. Nulla di tutto questo. Troppo duro da
accettare, meglio non dire niente a nessuno. Questa è la finale drammatica,
sconvolgente del vangelo di Marco. Ecco perché questa finale scandalizzava, e per
questo nel II secolo sono state aggiunge ben tre finali diverse.
Quella che attualmente abbiamo non appartiene
al vangelo di Marco, quindi non ha la sua levatura letteraria né la sua
ricchezza spirituale, però è il frutto dell’esperienza della comunità cristiana
che, vuoi o non vuoi, ha fatto i conti con questo Gesù risorto e lo ha
finalmente accettato.
Note: 1.
L’esegesi che segue è stata liberamente tratta dalla conferenza “Alberi che
camminano” tenuta da padre Alberto Maggi
presso la Cittadella di Assisi dal 4 al 6 settembre 2009. – 2. “E diceva
loro: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! Perciò il
Figlio dell’uomo è signore anche del sabato»”.
– 3. Vi siete mai chiesti per quale motivo Gesù ha mangiato la Pasqua il
giovedì sera invece che il venerdì sera come era la norma dettata dal Tempio?
Il motivo più probabile è che Gesù non seguiva il calendario lunare del Tempio,
ma quello misto lunare-solare di origine babilionese in uso durante la dominazione
persiana. Da notare che i romani usavano il calendario solare cesareo, per cui
non doveva essere semplice dare un appuntamento nel I secolo in Palestina.
Negli ultimi anni si è fatta strada negli studiosi la convinzione che l’ultima
cena è stata fatta il marted’ e non il giovedì (vedi gli studi di Annie
Jaubert (1912-1980) francese, esegeta, assistente alla Sorbona in storia delle
religioni). – 4. Gli evangelisti sono dei grandi
letterati e scrivono secondo le regole letterarie dell’epoca indicate dal
grande Rabbi Hillel, le Tredici Regole per la Scrittura. Una di queste regole
dice: quando vuoi mettere in relazione due episodi, due verità, devi adoperare
uno stesso termine soltanto in questi due episodi. E’ quello che gli
evangelisti fanno. Nei vangeli certi episodi sono collegati dalla presenza,
soltanto in questi episodi, di un termine che non compare più negli altri
capitoli. E’ il caso del termine “giovinetto‟: in entrambi gli episodi presi in
considerazione si trova lo stesso identico giovanetto, quello che era fuggito
nudo. – 5. Il fatto che Gesù continui ad
essere vivo, come si vedrà più avanti, non sarà un annunzio piacevole, ma anzi
getterà nel panico e nella delusione la sua comunità. – 6. Forse, ripensandoci bene, la cosa non è poi così incredibile:
il liturgista non ha inserito nel brano liturgico questa parte per non
costringere il celebrante a spiegare nell’omelia il rifiuto della risurrezione
da parte dei seguaci di Gesù o, peggio ancora, a tacerlo. Evidentemente la
Chiesa considera ancora oggi i fedeli come bambini da non scandalizzare, come
persone da proteggere dalla verità dell’evento Gesù.
Vangelo del giorno di Pasqua. Gv 20,1-9
Il primo giorno della settimana, Maria di
Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la
pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e
dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via
il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì
insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti
e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al
sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche
Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là,
e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma
avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era
giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora
compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.
Il
brano del vangelo di Giovanni ha analoga impostazione di quello del vangelo di
Marco, ma risente del fatto che è stato scritto circa 40-50 anni dopo: nella concezione giovannea la morte di Gesù in croce rappresenta già la
sua piena glorificazione e il compimento della sua opera salvifica, che
continua ora nel mondo mediante la comunità dei suoi discepoli.
Non dovremmo quindi attenderci più un racconto
della sua risurrezione, che in questa ottica diventa completamente superfluo.
Ma Giovanni non può sacrificare un dato così importante della tradizione a una
sua concezione teologica.
Egli perciò riporta la notizia tradizionale
secondo cui il mattino di Pasqua la tomba è stata trovata vuota; ad essa fa
seguire il racconto di un’apparizione del Risorto a Maria Maddalena, poi due
volte ai discepoli, la seconda delle quali è diretta specialmente all’incredulo
Tommaso.
Spinti dalle parole di Maria di Magdala, due
discepoli, Pietro che rappresenta la parte di Israele ancora ancorata alla
Legge e alla tradizione antica e un altro discepolo, “quello che Gesù amava”(1), corrono al sepolcro. La
corsa, come abbiamo già visto, fa perdere onore e dignità a chi la effettua, ma
la cosa è così importante, così urgente da far ignorare le conseguenze ai due
discepoli.
L’evolversi della corsa è il simbolo
dell’evolversi della fede tra i discepoli: chi raggiunge la fede per primo è
chi abbandona la tradizione e si affida a Cristo e sono questi che devono
aiutare quelli che sono ancora radicati alla tradizione; per questo Pietro
viene atteso e gli si consente di entrare per primo nel sepolcro(2).
La scoperta del sepolcro vuoto e della fede dei
primi discepoli ha un significato molto importante nel quarto vangelo. Essa
vuol dire che la fede nel Risorto non si basa su prove oggettive, quali le sue
apparizioni, e neppure la scomparsa del cadavere dalla tomba. I due discepoli
infatti credono perché finalmente, stimolati da un fatto di per sé privo di
qualsiasi forza dimostrativa, improvvisamente colgono il significato delle
Scritture, secondo le quali egli doveva risorgere.
In realtà le Scritture non parlano esplicitamente
della risurrezione del Messia: sarà a partire da questo evento che i primi
cristiani rileggeranno le Scritture, ritrovando in esse quello che era
diventato il punto centrale della loro fede. Tuttavia sono proprio le Scritture
che, mettendo in luce il piano salvifico di Dio, mostrano che il suo inviato
non poteva subire la sconfitta cocente della croce, anzi proprio questa doveva
essere il segno più luminoso della sua gloria. Così viene affermato in modo
fortissimo che la gloria di Dio si distacca radicalmente dalla gloria umana:
mentre questa consiste nella sopraffazione dell’uomo sull’uomo, la gloria di
Dio significa identificarsi con gli ultimi per portarli a una vita piena che
non verrà mai meno.
Note: 1. Quando nei vangeli viene
citato un personaggio senza darne il nome, questo va inteso come un
rappresentante di una categoria e mai come un’unica persona. In questo caso il
discepolo è lo stesso presente sotto la croce e rappresenta l’insieme di tutti
i discepoli di Gesù, passati e soprattutto futuri. Ricordo che sotto la croce
Giovanni pone anche Maria, la madre di Gesù che simboleggia quella parte di
Israele che ha accettato le parole di Gesù e lo ha seguito; è solo un simbolo
perché si considera assai difficile che Maria sia sopravvissuta al figlio:
avrebbe avuto più di 49 anni quando la vita media della donna in quel periodo
raramente superava i 25. La tradizione cattolica ha erroneamente identificato
“il discepolo che Gesù amava” con la stesso evangelista Giovanni; questo è
stato possibile a causa della macroscopica mancanza di conoscenze sulla cultura
ebraica da parte della Chiesa cattolica fino alla seconda metà del XX
secolo. – 2. Questa situazione non era
tipica solo della chiesa primitiva, ma si è perpetuata per secoli appesantendo
la Chiesa cattolica e impedendole quel salto in avanti che la fede in Cristo
avrebbe potuto consentirgli. Rimanere ancorati alla tradizione, anche se questa
è legata a concetti e modi di pensiero estranei al momento attuale, impedisce
infatti di mantenere i vangeli come unica e somma luce per illuminare il
cammino del credente.
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