(segue
dalla domenica precedente)
4.4. Gli Esseni(1)
Sulla loro
origine e sul significato del nome (puri, bagnanti, silenziosi, pii) non c’è
accordo tra gli studiosi, ma il termine si applica anche a numerosi gruppi diffusi
in tutta la Palestina che includevano anche la comunità di Qumran. Il
riferimento di Giuseppe Flavio ad un “cancello degli esseni” nel tempio
suggerisce che una comunità essena visse in un quartiere della città o che
regolarmente accedesse a quella parte del tempio.
Come già
detto, molto probabilmente le loro comunità ebbero inizio dalla metà circa del
II secolo a.C. durante il regno dei Maccabei, dalla scissione degli assidei(2)
in farisei ed esseni, come ci ha riportato Giuseppe Flavio. Alcune fonti li
fanno discendere da una separazione dai farisei. Tra i gruppi ebraici di età
ellenistico-romana, conosciuti e documentati anche da autori greci e latini,
quello degli esseni è forse oggi il più noto, grazie alla scoperta, effettuata
a Qumran nel 1947, dei manoscritti detti “del Mar Morto”, appartenenti a una
comunità di questo tipo. Già nell'antichità avevano scritto su di loro, per
ricordare i più rilevanti, Filone Alessandrino, Giuseppe Flavio (Guerra
Giudaica), che ci attesta di averne fatto parte e Plinio il Vecchio (Naturalis
Historia).
Di vita
appartata e solitaria, si erano organizzati, fuori dal contesto sociale, in
comunità isolate. Protetti da Erode il Grande, al tempo di Gesù erano oltre
4000 e vivevano dispersi in tutto il paese; circa 150 erano quelli residenti a
Qumran.
Questo sito
andò incontro ad una fine violenta nel 68 d.C. ad opera dei romani a causa del
coinvolgimento degli esseni nelle sommosse negli anni della guerra che si
concluse con il crollo di Gerusalemme. Prima della fine però, riuscirono a
nascondere la loro biblioteca nelle grotte presenti nel loro territorio. Qui,
grazie alle particolari condizioni ambientali, i manoscritti si sono conservati
fini ai giorni nostri. Alcuni esseni scampati ai romani, sembra, si unirono
agli zeloti di Masada e ne condivisero la sorte. Lo proverebbe il ritrovamento,
duranti gli scavi del 1963 a Masada, di un frammento di pergamena dei “canti
della santificazione del sabato”.
Dopo questo
evento, non se ne seppe più nulla, segno che gli asceti avevano lasciato il
posto ai guerrieri. La comunità essena era un elemento di completa rottura
nell'atmosfera di continui e sanguinosi conflitti che agitavano la Palestina
dell'epoca. La loro ideologia di rifiuto dell'oppressione, ma anche della
battaglia aperta, può considerarsi come un riflesso delle sconfitte subite dai
movimenti anti-romani.
Di fronte
all'oppressione dei legionari romani, gli esseni si ritirarono dalle città e
crearono comunità con tratti che ricordano il villaggio rurale basato su una
struttura sociale di tipo gentilizio. Le testimonianze che abbiamo sulla loro
vita sono di un rigoroso comunismo basato sulla proprietà comune dei mezzi di
produzione e di consumo.
Filone
Alessandrino racconta che non solo il cibo ma anche i vestiti erano in comune e
usa un'espressione felicissima: "quello che uno possiede tutti lo
considerano loro, quello che tutti possiedono ognuno lo considera
proprio". Gli esseni rifiutavano la schiavitù e vivevano della terra e di
artigianato. Era loro vietata la produzione di oggetti di lusso e di armi, così
come il commercio. Filone ci descrive la loro comunità in questi termini:
“Prima di
tutto non v'è alcuna casa che sia di proprietà di una persona: ogni casa è di
tutti. Giacché oltre al fatto che abitano insieme in confraternite, la loro
casa è aperta a tutti i visitatori, da qualsiasi parte giungano, che
condividano le loro convinzioni. In secondo luogo, hanno un'unica cassa per
tutti e le spese sono comuni: in comune sono i vestiti, in comune è preso il
vitto, avendo essi adottato l'uso dei pasti in comune. Una maggiore
realizzazione dello stesso tetto, dello stesso genere di vita e della stessa
mensa invano la si cercherebbe altrove.
Giacché tutto
ciò che ricevono come salario giornaliero del lavoro non lo conservano in
proprio, ma lo depongono nel fondo comune, affinché sia impiegato a beneficio
di tutti quanti desiderano servirsene. Non sono trascurati i malati per il
fatto che non possono produrre nulla. Infatti, quanto occorre per curarli è a
loro disposizione grazie ai fondi comuni e non temono di fare larghe spese
attingendo a ricchezze sicure. I vecchi sono circondati di rispetto e cure come
genitori assistiti nella loro vecchiaia da veri figli con larghezza generosa,
aiutandoli con innumerevoli mani e circondandoli di premurosa attenzione...”.
Questa
descrizione può essere paragonata solo ad una società socialista realizzata e
lega idealmente il passato dell'uomo, nel comunismo tribale. Ovviamente,
mancando il livello di sviluppo economico e sociale sufficiente, il comunismo
esseno presentava diversi punti deboli e, in ultima analisi, non superava le
comunità rurali di stampo mediorientale.
Allo stesso
modo, faceva parte dell'ideologia essena l'odio per la famiglia patriarcale e
per il matrimonio, visti come pratiche corrompitrici dell'ordine gentilizio.
Ciò induce a credere che anche le donne fossero in comune come le altre cose.
Sempre
secondo Giuseppe Flavio, gli esseni dimoravano “non in una sola città” ma “in
moltitudine in ogni città”. Filone parla di “più di quattromila” esseni che
vivevano nella “Siria Palestinese”, più precisamente, “in molte città della
Giudea e in molti villaggi e raggruppati in grandi comunità composte da
numerosi membri”.
Alcuni
studiosi ed archeologi moderni hanno individuato un insediamento abitato dagli
esseni a Qumran, un altopiano nel Deserto della Giudea lungo il Mar Morto.
Mentre la testimonianza di Plinio tende ad essere utilizzata a supporto di
questa identificazione, non esiste tuttavia nessun'altra prova conclusiva di
questa ipotesi. Ciò nonostante, essa ha finito per dominare la discussione
scientifica e la percezione collettiva sugli esseni.
I resoconti
di Giuseppe Flavio e Filone Alessandrino ci dicono che gli esseni conducevano
una vita celibe, ma non casta(3), comunitaria, spesso paragonata
dagli studiosi alla vita monastica buddista e, in seguito cristiana, anche se
Giuseppe Flavio parla di un altro “rango di esseni” che si sposavano. Secondo
lui, avevano usanze e osservanze come la proprietà collettiva, eleggevano un
capo che attendeva agli interessi di tutti e i cui ordini erano obbediti, gli
era vietato prestare giuramento e sacrificare animali, controllavano la loro
collera e fungevano da canali di pace, portavano armi solo per protezione
contro i rapinatori e non avevano schiavi, ma si servivano a vicenda e, come
conseguenza della proprietà comune, non erano dediti ai commerci. Sia Giuseppe
Flavio che Filone danno lunghi resoconti dei loro incontri comunitari, pranzi e
celebrazioni religiose.
Da quanto si
è dedotto, il cibo degli esseni non poteva essere alterato (ad esempio,
evitando la cottura) e potrebbero essere stati strettamente vegetariani,
mangiando principalmente pane, radici selvatiche e frutta.
Dopo tre
anni di prova, i membri, appena aggregatisi, prestavano un giuramento che
comprendeva l'impegno a praticare la pietà verso la divinità e l'aderenza a
principi morali verso l'umanità, mantenere uno stile di vita puro, di astenersi
da attività criminose e immorali, di trasmettere intatte le loro leggi e di
preservare il libro degli esseni e quello degli angeli(4). La loro
teologia includeva il credo nell'immortalità dell'anima e il fatto che
avrebbero ricevuto indietro le loro anime dopo la morte.
4.5. I Farisei(5)
La corrente
dei farisei, la più numerosa, ebbe origine, secondo lo storico Giuseppe Flavio,
dalla scissione degli assidei in farisei ed esseni verso il 150 a.C., durante
il regno dei Maccabei (detti anche Asmonei), anche se esistono ancora opinioni
contrastanti tra gli studiosi.
Infatti,
secondo altre fonti che sembrano più attendibili, sacerdoti e scribi formarono
due sette in forte conflitto tra loro: dalla classe dei sacerdoti sarebbero
nati i sadducei e da quella degli scribi, i farisei.
I farisei
costituirono, probabilmente, il gruppo religioso più significativo all'interno
del giudaismo, nel periodo che va dalla seconda metà del II secolo a.C. al 70
d.C. ed oltre.
Le
testimonianze più note sui farisei le troviamo nel Nuovo Testamento e nelle
opere di Giuseppe Flavio; poiché, tuttavia, l'ebraismo rabbinico o moderno è
essenzialmente derivato dal fariseismo, in questo si trovano molti aspetti
della dottrina e del pensiero di tale corrente spirituale.
I farisei
alla nascita corrispondevano ad una nuova aristocrazia fondata sulla cultura,
ossia sulla conoscenza della Scrittura. Con essi si creò, nella società
ebraica, una classe di intellettuali e di persone colte, in opposizione alla
vecchia aristocrazia, chiusa e tradizionalista, dei sacerdoti e delle famiglie
ad essi collegate.
L'ambiente
fariseo comprendeva gli scribi, vale a dire quanti insegnavano la Legge; ma gli
scribi non erano necessariamente farisei. Pur annoverando nel suo seno
individui spregiudicati, il movimento fariseo rappresentava nel giudaismo la
corrente più fervente, più aperta e più moderata.
Emersi sulla
scena sociale alla fine del II secolo a.C. durante la dinastia degli Maccabei,
partecipano alla reazione non solo culturale, ma anche religiosa, contro
l'ellenismo imposto dai seleucidi e accettato dai sadducei.
A differenza
dei sadducei che non uscirono mai dalla Palestina, i farisei erano molto
diffusi anche tra gli ebrei della diaspora. I farisei ruppero con la casa
regnante degli Asmonei, sotto Giovanni Ircano, etnarca e sommo sacerdote (134 –
104 a.C.) e fu verso quest’epoca che apparvero costituiti in partito, chiamati
da Giuseppe Flavio col nome di farisei, ossia i “separati”. Probabilmente il
termine fu coniato dagli oppositori con intento dispregiativo; tra loro si
chiamavano invece chaverim (“congregati”, “compagni”).
Sul piano
dottrinale, caratteristica dei farisei è l’adozione contemporanea della Legge e
della Torah orale, quest’ultima come ulteriore rivelazione di Dio a Mosè sul
monte Sinai. Intransigenti sulla sostanza della fede e della Legge, si
mostravano duttili sulle sue applicazioni. Le tendenze progressiste dei farisei
si ritrovano sul piano teologico. Anzitutto le troviamo sullo sviluppo delle
dottrine sul destino dell’uomo dopo la morte e sulla fine del mondo
(escatologia): “... per loro ogni anima è eterna, ma soltanto quella dei buoni
passa in un altro corpo, mentre quella dei malvagi è punita con un castigo
eterno...” (Giuseppe Flavio, “Guerra Giudaica”).
Grandi
figure di farisei hanno costellato il periodo ellenistico-romano: Hillel, sotto
il regno di Erode il Grande, fu l'iniziatore della cultura farisea. Questi, di
posizioni moderate, aveva in Shammai un interlocutore dalle rigide tesi
dottrinali.
Tra il 30 e
il 70 circa, incontriamo Gamaliele, che intervenne nel sinedrio in favore dei
cristiani e fu maestro di Paolo di Tarso. Il fariseo Gamaliele, dottore della
Legge, fece rilasciare gli apostoli appena arrestati paragonandoli a due famosi
capi zeloti, Giuda il Galileo e Teuda. Si riporta a proposito un passo dagli
Atti degli Apostoli:
«...essi,
udendo queste cose fremevano d'ira e si proponevano di ucciderli. Ma un
fariseo, di nome Gamaliele, dottore della legge, onorato da tutto il popolo,
alzatosi in piedi nel sinedrio, comandò che gli apostoli venissero un momento
allontanati. Poi disse loro: «Uomini d'Israele, badate bene a quello che state
per fare circa questi uomini. Poiché, prima d'ora, sorse Teuda, dicendo di
essere qualcuno; presso di lui si raccolsero circa quattrocento uomini. Egli fu
ucciso, e tutti quelli che gli avevano dato ascolto furono dispersi e ridotti a
nulla. Dopo di lui sorse Giuda il Galileo, ai giorni del censimento e si
trascinò dietro della gente; anch'egli perì, e tutti quelli che gli avevano dato
ascolto furono dispersi. E ora vi dico: tenetevi lontani da loro e ritiratevi
da questi uomini, perché, se questo disegno o quest'opera viene dagli uomini,
sarà distrutta, ma se viene da Dio, voi non potrete distruggerli, se non volete
trovarvi a combattere anche contro Dio».
Circa la
contiguità tra i farisei e gli zeloti, leggiamo la testimonianza di Giuseppe
Flavio (“Antichità Giudaica”):
«Giuda il
Galileo introdusse una quarta setta i cui membri sono in tutto d'accordo con i
farisei, eccetto un invincibile amore per la libertà che fa loro accettare solo
Dio come signore e padrone. Essi disprezzano i diversi tipi di morte e i
supplizi dei loro parenti e non chiamano nessun uomo signore.»
Fallita la
ribellione dei giudei ai romani nel 73 d.C. con la distruzione di Gerusalemme
nel 70, i farisei emersero dalla catastrofe che aveva travolto la loro nazione
quale unica corrente spirituale vitale, capace di coagularne attorno a sé i
resti che non furono assimilati dalla società romano-ellenica o che non si convertirono
al Cristianesimo. Uno dei maestri sopravvissuti, Jochanan Ben Zakkai, fondò
l’Accademia di Javeh e riorganizzò il giudaismo, permettendogli di sopravvivere
ed arrivare ai giorni nostri. Dai farisei trae quindi origine l'ebraismo
rabbinico o moderno.
4.6. Sadducei(6)
I sadducei
costituirono un’importante corrente spirituale del tardo giudaismo, che si
costituì anche quale distinta fazione politica verso il 130 a.C. sotto la
dinastia regnante dei Maccabei. Rappresentava principalmente l'aristocrazia di
nascita e di ricchezza delle antiche famiglie terriere, nell'ambito delle quali
erano reclutati i sacerdoti dei ranghi più alti, nonché, in particolare, il
sommo sacerdote.
La corrente
dei sadducei si richiamava, nel proprio nome, all'antico e leggendario Zadok,
sommo sacerdote al tempo di Salomone. Cercavano di vivere un giudaismo
illuminato, consono allo standard spirituale del corpo e quindi di trovare un
compromesso anche con il potere, dei seleucidi prima e dei romani dopo.
La loro fazione,
ritenuta colpevole di collaborazionismo nei confronti dei romani, fu
letteralmente sterminata, durante la rivolta giudaica del 66 d.C., dagli
insorti più esagitati e violenti, probabilmente gli zeloti, come ci narra lo
storico Giuseppe Flavio in quella “Guerra Giudaica” che, oltre ad essere stata
una lotta di liberazione dalla dominazione romana, fu anche una vera e propria
guerra civile, cruenta e spietata.
Gli
eventuali residui superstiti dei sadducei o furono assimilati dalla società
romano-ellenica nella quale si rifugiarono, oppure si convertirono al
cristianesimo. In ogni caso, dopo la catastrofe nazionale giudaica del 73 d.C.,
che vide la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio tre anni prima,
l'ebraismo riemerge, coagulandosi attorno alla corrente spirituale dei farisei,
avversaria dei sadducei e di questi ultimi non vi è più alcuna traccia.
Sui sadducei
cala, quindi, un velo che assomiglia molto ad una sorta di punizione: i romani,
che si erano appoggiati a loro per governare la Giudea, dovettero constatare il sostanziale fallimento della setta in quanto amministratori ed alleati. Dai farisei, che già ne avevano avversato la dottrina, i sadducei furono parimenti ritenuti responsabili della catastrofe che aveva colpito la nazione ed il tempio nel 70 d.C.; per i cristiani, infine, i sadducei rimasero indelebilmente associati alle figure di Caifa ed Anna, rispettivamente, il sommo sacerdote che fece arrestare e condannare a morte Gesù e suo suocero. In buona sostanza, mancarono ai sadducei buoni avvocati che ne perpetuassero la memoria storica con dovizia di particolari.
che si erano appoggiati a loro per governare la Giudea, dovettero constatare il sostanziale fallimento della setta in quanto amministratori ed alleati. Dai farisei, che già ne avevano avversato la dottrina, i sadducei furono parimenti ritenuti responsabili della catastrofe che aveva colpito la nazione ed il tempio nel 70 d.C.; per i cristiani, infine, i sadducei rimasero indelebilmente associati alle figure di Caifa ed Anna, rispettivamente, il sommo sacerdote che fece arrestare e condannare a morte Gesù e suo suocero. In buona sostanza, mancarono ai sadducei buoni avvocati che ne perpetuassero la memoria storica con dovizia di particolari.
Sul piano
dottrinale, si ritiene, in base alle scarse informazioni pervenuteci, che i
sadducei, a differenza dei farisei, considerassero vincolante solamente la così
detta Legge scritta, ossia quanto tramandato nei libri della bibbia ebraica, o
Torah, costituita dai cinque libri del Pentateuco. Al contrario dei farisei, i
sadducei non credevano alla resurrezione dei morti, ossia alla perpetuazione
dell'individuo dopo la morte, in corpo e spirito.
Sembra che
essi respingessero anche l'esistenza di un'anima immortale, tuttavia, è lecito
dubitare che avessero, al riguardo, una posizione di netta preclusione, sia
perché ciò non si concilierebbe con il contenuto della stessa Legge scritta,
sia perché l'evidenza archeologica delle modalità di sepoltura seguite dai
sadducei attesta, in ogni caso, una fede nella esistenza di un mondo
ultraterreno del quale il defunto, alla morte, entra a far parte. Pare che non
accettassero nemmeno la dottrina degli angeli(7).
Il rifiuto
della tradizione orale, fu, probabilmente, il fattore che consentì ai sadducei
di aprirsi alla cultura dell'ellenismo, pur conservando la fede nel giudaismo.
Ciò fece di loro un’elite intellettuale ed imprenditoriale, detentrice del
potere e capace di esercitare notevole influsso persino nell'ambito della
politica imperiale romana. La loro permeabilità agli influssi stranieri
connessa alla capacità di mantenere intatta la propria identità, è tipica dei
ceti aristocratici di ogni tempo e di ogni nazione e l’opposizione ai sadducei
da parte dei farisei, riecheggia motivi di orgoglio nazionale e di rivalsa
anti-aristocratica che troviamo, nella storia umana, replicati infinite volte
in contesti diversi.
Il
calendario liturgico dei sadducei differiva leggermente da quello adoperato dai
farisei, la qual cosa spiega le lievi divergenze temporali relative ai racconti
della Passione tra i Vangeli sinottici e quello di Giovanni.
Note: 1. Fonte: Stemberger Günter, Farisei, sadducei,
esseni, 1980, Ed. Paideia. – 2. Raggruppamento
religioso ebraico sorto per difendere le tradizioni mosaiche dagli attacchi
dell’ellenismo. – 3. Un comandamento fondamentale dell’ebraismo è quello
contenuto nel libro della Genesi 1,26-29 e ripetuto in Es
21,12-14, 28 e Nu 35,18-21,31-33. Per cui era inconcepibile per un ebreo
astenersi da rapporti sessuali mirati alla generazione di prole. – 4. Gli angeli hanno una storia molto antica,
risalente ai tempi dei Sumeri e degli Egizi, prima che si parlasse di serafini
e cherubini o che la religione ebraica si desse una propria dottrina su queste
creature, successiva all'Antico Testamento, e che la setta degli Esseni
teorizzasse la lotta finale tra creature del Bene e del Male per il destino
dell'Uomo. – 5. Fonti: Saldarini Anthony J., Farisei, scribi e sadducei nella società palestinese. Ricerca
sociologica, 1980, Ed Paideia; Stemberger Günter, Farisei, sadducei, esseni, 1980, Ed. Paideia. – 6. Fonti: Saldarini
Anthony J., Farisei, scribi e sadducei
nella società palestinese. Ricerca sociologica, 1980, Ed. Paideia;
Stemberger Günter, Farisei, sadducei,
esseni, 1980, Ed. Paideia. – 7. Nel periodo
del Secondo Tempio si affermò la convinzione per cui solo i grandi profeti dei
tempi antichi si fossero confrontati in modo diretto con Dio, mentre per gli
esseri umani contemporanei si poteva raggiungere quel contatto unicamente per
mezzo degli angeli (in greco messaggi o messaggeri). In base a questa nuova
concezione del ruolo degli angeli si cominciò perciò a studiare la loro natura
e le caratteristiche individuali. Si finì con l'affermare che la verità sul
creato e la sua fine fosse oltre i mezzi umani e si potesse conoscere
unicamente tramite gli angeli. In aggiunta, la deportazione del popolo ebraico
a Babilonia comportò anche una profonda contaminazione delle due culture. Gli
ebrei vennero in contatto con i miti babilonesi della creazione, del diluvio e
della creazione dell'uomo, nonché con le numerose leggende sui contatti tra Dei
e Uomini, con messaggeri divini nel mezzo.
Per poter conciliare quei miti politeisti col monoteismo
sviluppatosi nei secoli in cui gli Ebrei erano rimasti lontani dalle loro terre
d'origine semitiche, attribuirono gran parte di quelle storie al mondo
angelico. In particolare, con riferimento a questa evoluzione, si può
analizzare la figura di Enoch, personaggio creatosi sotto chiara influenza
babilonese, considerato come protettore e creatore della cultura umana, grazie
alla trasmissione della saggezza divina agli uomini, e che svolge quell'attività
di intermediazione tra Dio e Uomo tipica della religione ebraica.
Altre fonti trattano anche Noè e Abramo allo stesso modo,
ascrivendo le loro capacità speciali di conoscenza e saggezza al mondo
angelico. Si può quindi affermare che gli influssi culturali esterni legati al
mondo della demonologia pagana siano stati assimilati dagli Ebrei
introducendoli nel mondo angelico.
(continua la prossima
domenica)
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